La vita e la morte permeano l’immenso ammasso di vegetazione, che come una nube tempestosa viene trasportato su un tragitto non del tutto prevedibile dall’energia incessante della Terra. Progressivamente più massiccio, per l’accumulo di nitrogeno ed altre sostanze nutrienti, il tipico groviglio è condannato all’ultimo destino di finire, un giorno, ad arenarsi sulle coste di un continente. Ma prima di quel fatidico momento, in esso crescerà un ecosistema, l’intero avvicendarsi di creature progettate dall’evoluzione con il fine ultimo di trarre beneficio da quelle particolari circostanze: i neuston, gli organismi della superficie marina (e non solo) come cnidari, molluschi, isopodi e varie tipologie di vertebrati. Pesci, soprattutto, che trangugiano e riciclano, trasformando gli scarti biologici in prezioso concime del tappeto erboso. In mezzo ad essi, tuttavia, persiste una terribile leggenda. Del modo in cui nuotando in situazione d’assoluta tranquillità, senza nessun tipo di preavviso, la vegetazione può improvvisamente prendere vita. Avendo generato in una convergenza il piccolo e compatto nodulo bitorzoluto che costituisce l’incubo di quel mondo fluttuante. Capace di passare all’improvviso dall’immobilità ad un fervido balzo in avanti. Mentre le sue fauci giungono a serrarsi, con tutta la forza necessaria e non più di quella, per riuscire a trangugiare l’inconsapevole preda di turno. Possibile? Questo non è il funzionamento di una pianta carnivora. Né l’ambiente sommerso sembrerebbe aver prodotto, da un punto di vista evolutivo, molte varietà apprezzabili di tali occorrenze vegetative. Ecco allora che uno sguardo maggiormente attento, possibilmente quello di un sapiente paio di occhi umani, giunge a rivelare al raro esploratore l’effettiva verità dei fatti. La voracità in persona è un temibile carnivoro di questi ambienti. Ciò che il buon Linneo ebbe la cura di chiamare Histrio histrio, binomio tautologico in lingua latina che deriva dalla figura classica dell’istrio, intrattenitore o giullare dell’antica Roma e in seguito, l’arcaico modo di evocare l’archetipo del dissacrante Arlecchino. Creando a tal proposito un elenco delle primarie caratteristiche esteriori del pesce, raramente lungo più 20 cm, sarà difficile non riservare uno spazio preponderante alle sue molteplici frange e strisce multicolori, simili ed aventi una funzione paragonabile alla tipica livrea tigresca dei felini di superficie. Con la sublime e accattivante differenza di arrivare a rendere il profilo dell’animale stesso discontinuo e perciò difficile da collocare nel contesto. Uno strumento niente meno che essenziale, quando la cattura del bersaglio non presuppone alcun tipo di rincorsa ed inseguimento verso i margini ulteriori dell’orizzonte…
Quasi nessuna delle creature tipicamente endemiche del bioma che concede il nome alla regione atlantica dei gialli Sargassi, a loro volta battezzati da una rosa di montagna originaria del Portogallo, nuota in modo abile e costante nel corso della propria ripetitiva esistenza. Questo perché le alghe stesse, fittamente intricate fino alla costituzione di un ammasso semi-solido, si spostano vagando in modo estemporaneo nel flusso delle correnti. Creando l’opportunità per i propri occupanti di girare letteralmente il mondo, mentre si aggirano per pochi metri a partire dall’uscio di quella che potrebbero decidere di definire la propria “casa”. Ed è proprio in tale dualismo di circostanze che l’anomalia ambientale dell’Histro, alias sargassum fish ha ragione di perpetrarsi, essendo questa piccola creatura un’esponente a tutti gli effetti della famiglia degli antennaridi o cosiddette rane pescatrici, predatori che frequentano normalmente le profondità abissali spostandosi appoggiate sul fondale, tramite l’impiego delle proprie pinne pettorali modificate. Laddove in modo straordinariamente atipico il nostro protagonista possiede anche l’aiuto di una vescica natatoria, tale da permettergli di frequentare qualsiasi svettante altezza della colonna acquatica, ivi inclusi gli interstizi filamentosi del suo bosco verticale di appartenenza. Laddove una specifica caratteristica, quanto meno, lo accomuna chiaramente ai suoi cugini senza-scaglie, rintracciabile nel primo aculeo situato in corrispondenza di quell’inconfondibile fronte, modificato nella forma suggestiva dell’illicium, un’esca biomimetica capace di attirare l’attenzione di più piccoli carnivori, così da poterli ghermire con le proprie fauci dall’energia cinetica del tutto fuori misura, capaci d’ingrandirsi fino a 12 volte per poi serrarsi nel giro di appena 6 millisecondi, meno di un letterale battito di ciglia. Basti aggiungere a questo lo stomaco sovradimensionato ed elastico che occupa quasi l’intero corpo dell’animale, tale da permettergli la fagocitazione di creature persino più grandi di lui, per comprendere la natura niente meno che mostruosa del pressoché invisibile mangiatore all’interno dell’ombreggiata foresta marina. Il quale non si esime, quando capita, di praticare persino il cannibalismo. Giacché nulla, tranne che essere il più grande in assoluto, può realmente mettere al sicuro un pesce nell’oceano, ragion per cui l’Histrio possiede come seconda linea di difesa una strategia degna di nota: la capacità di balzare letteralmente fuori dall’acqua fino alla superficie esposta e compatta dell’ammasso di alghe. Rimanendo lì, sotto il sole dell’Atlantico, respirando ossigeno per tutto il tempo necessario a scoraggiare l’agguato del suo nemico. La riproduzione, nel frattempo, avviene tramite l’incontro occasionale dei due sessi distinti, con fecondazione esterna delle uova preventivamente deposte dalla femmina sui fili verticali del dorato mantello.
Creatura che non occupa uno spazio normalmente frequentato dai pescatori e perciò di poca rilevanza economica, il pesce dei sargassi non vede attualmente particolari minacce ecologiche nei confronti della sua sopravvivenza. Anche perché nei rari casi in cui qualcuno ha tentato di mangiarlo, sono stati rilevati problematici livelli di ciguatossina, una sostanza nociva per l’uomo normalmente collegata a predatori medio-grandi dell’ambiente marino, come barracuda, lutanidi e cernie. Ad incrementare ulteriormente la percezione malsana dell’ambiente tipico delle alghe dei sargassi, particolarmente invise ai bagnanti durante gli eventi di spiaggiamento, occorrenza pressoché annuale sulle coste della Florida ed altri stati del Sud-est americano.
Ancorché sia necessario sottolinearlo, proliferazioni vegetative di tale natura risultano essere parte dei sistemi naturali del singolo ambiente, quello marino, che risente maggiormente di manomissioni esterne dovute al mutamento dei fattori esterni. Il che significa che le proliferazioni, in ultima analisi, sono spesso dovute ai gesti stessi degli umani e non vanno sempre a beneficio della coincidente biosfera. Con la possibile eccezione di chi resta immobile, in attesa, nella speranza che qualcuno dei suoi nuovi vicini non abbia ancora sentito parlare di lui. E dello stratagemma che, per una ragione o l’altra, sembra funzionare sempre con la stesso significativo grado di efficienza.