Lo stratagemma del bruco travestito per rubare tra gli avanzi degli aracnidi hawaiani

Un’osservazione spassionata della più popolosa isola dell’arcipelago del fuoco nel mezzo dell’Oceano Pacifico, la spesso visitata O’ahu, può risultare sufficiente a comprenderne l’unicità geologica, come parte della crosta continentale riemersa, col passaggio dei millenni, dalle oscuri abissi sottomarini. Su più livelli che risultano allo stato attuale adiacenti, incluse quelle due “catene” montuose di Koʻolau e Waiʻanae, così chiamate nonostante rappresentino la parte sommitale di altrettanti massicci vulcanici, la cui forma simile a uno scudo è andata persa innumerevoli generazioni prima della venuta dell’uomo su queste terre. Ma generazioni di cosa, esattamente? Secondo Daniel Rubinoff, professore di entomologia presso l’Università di Manoa, tra i più antichi esseri a poter vantare una linea d’esistenza ininterrotta da simile piattaforme paesaggistiche privilegiate, da oltre 6 milioni di anni può essere esplicitamente annoverata una minuscola falena. E conseguentemente a tale affermazione, quello che per circa un paio di decadi lui e il suo team hanno fatto il possibile per confermare essere il suo bruco. La ragione di tale insolita incertezza può esser dunque rintracciata in una caratteristica molto particolare della creatura, finalmente descritta sul finire di aprile (ma non ancora fornita di un nome scientifico) nella rivista Science, abituata come gli altri esponenti del genere Hyposmocoma a formarsi un’armatura protettiva con vari tipi di detriti ed ogni altro oggetto funzionale allo scopo che gli riesca di trovare in giro. Ma di un tipo molto più sofisticato e protettivo rispetto alle specie cognate, proprio a causa del pericoloso stile di vita che caratterizza la creatura in questione. In bilico per fame in mezzo a fili appiccicosi che in condizioni normali non sarebbero affatto raccomandabili, in quanto costruiti dal più stereotipico e temuto predatore tra gli artropodi: il ragno. Di ogni varietà e voracità possibile, nella diversificata biosfera isolana, tra la totale indifferenza di un intruso consumato la cui esperienza evolutiva ben conosce l’efficacia del singolare espediente. Questo perché il nostro amico lepidottero, soprannominato non a caso dalla stampa come il “collezionista d’ossa” può vantare la macabra ed originale abitudine di vestirsi degli avanzi dei cadaveri, lasciati in giro per la ragnatela dopo ciascun pasto del suo nemico…

Qui la piastra dorsale di uno scarabeo, lì l’addome di una vespa, ancora completo di leggiadre e diafane ali. Con la testa di una formica incuneata in mezzo ed una zampa di mosca che sporge a lato. Di certo se gli esseri umani potessero provare empatia per gli insetti, più di quanto riesca a farlo persino un esperto come Rubinoff, il bruco collezionista risulterebbe una visione niente meno che terrificante. Uno strumento questo, la paura, che non rappresenta per essere chiari il metodo impiegato per deviare gli istinti assassini dell’aracnide in casa, sottoposto in via specifica ad un più sofisticato e collaudato inganno. Giacché l’esperta larva interessata a trarre nutrimento dai bocconi accantonati dal padrone della dispensa, oltre a risultare efficacemente mimetizzata, possiede a questo punto la più efficace delle barriere nei confronti di un carnivoro di tale schiatta, ovvero il pratico possesso di un pessimo sapore. Qualora finisse in effetti per attaccarlo, l’avversario si ritroverebbe a mordere in prima e seconda battuta unicamente i suoi stessi accantonati ed incommestibili avanzi. Così da risultarne, pressoché immediatamente, scoraggiato ai più istintivi livelli.
Un sistema atipico che pone questo Hyposmocoma ancor più ai margini, dei sistemi ecologici comunemente accomunati agli esponenti dell’ordine cui appartengono falene e farfalle. Tra cui si stima che le specie carnivore, siano queste predatrici o più che altro mangiatrici di cadaveri come il collezionista, ammontino a meno di un punto percentuale di tutti i bruchi esistenti. Almeno un’altra appartenente a questo stesso genere, come dimostrato dai video reperibili online della H. molluscivora, altra volatrice la cui larva si costruisce un’armatura, prima di andare all’attacco di lumache che intrappola e quindi inizia spietatamente a fagocitare. Fino al raggiungimento della dimensione opportuna per passare alla seconda fase della propria esistenza, la costruzione del bozzolo da cui riemergerà, a qualche settimana di distanza, nella guisa di un mini-lepidottero non più grande di un chicco di riso, dalle antenne ricurve dotato di ali pelose ed altrettanto sottili. Declinato in tante e tali specie possibili, nel solo massiccio di Waiʻanae, che lo stesso Rubinoff ha deciso di metterle a confronto per importanza, sul suo sito ufficiale, con l’estrema varietà delle mosche drosofile, diffuse abitanti delle isole in mezzo ad ombrose foreste, anche nel bel mezzo del Pacifico esterno.

Ecologicamente insolita, concettualmente significativa, la falena di montagna che si veste di cadaveri può essere per questo vista come una sorta di specie ambasciatrice trasversale, già guadagnatosi l’ambìta qualifica di un repost virale su molteplici portali e distretti del Web. Il che potrebbe risultare già più necessario ed addirittura auspicabile viste le condizioni vigenti, di creatura endemica accertata in una minima frazione di una singola terra emersa. Per di più soggetta a sfruttamento turistico ed edificazione immobiliare non del tutto sostenibile già da più di mezzo secolo, vista l’importanza economica e turistica di O’ahu. Dove il ragno il ragno più temibile è quello dotato di due sole gambe ed altrettante braccia, le cui costruzioni tendono ad espandersi e rimuovere intere sezioni di natura un tempo priva di contaminazioni. E non ha bisogno di essere affamato, prima di mandare all’altro mondo un semplice bruco. Non importa quanto elegante o terribile possa presentarsi la sua guisa. A meno di poter comprenderne, in un modo o nell’altro, le più sottili e affascinanti implicazioni nascoste.

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