Fare il bagno dentro un lago non è sempre semplice, in modo particolare quando si comincia a percepire quella problematica impressione di milioni, se non miliardi di occhi che ti guardano da ogni direzione. Non a coppie situate dentro il cranio di un singolo animale, bensì tutti liberi e del tutto indipendenti, concentrati in macchie nebulose che si aggirano nell’acqua limpida, troppo limpida di un luogo un tempo colmo di vite. Ovvero l’esistenza congeniale di una pletora di specie differenti, così come la natura aveva decretato, nel prosieguo di moltissimi millenni d’evoluzione. Eppure dove neanche il susseguirsi delle epoche geologiche, l’incombenza di fattori esterni e addirittura il mutamento climatico dei tempi odierni avevano potuto rallentare l’ingranaggio di quel meccanismo lungamente oliato, l’operato di una singola creatura, in grado di clonarsi all’infinito, avrebbe aperto il transito verso regioni nuove per l’appiattimento dei processi biologici riproduttivi. Verso l’assoluta e inarrestabile proliferazione del Bythotrephes longimanus, con in misura minore il suo parente prossimo Cercopagis pengoi, presenze maggiormente giustificabili presso luoghi all’altro lato dell’Atlantico, come il Mar Caspio ed altri vasti bacini acquatici dell’Eurasia. Ma… Non… Qui.
Condanna dell’Ontario. Dannazione dello Huron. Mannaro del Michigan e vampiro del Superiore. Il piccolo crostaceo della famiglia Cercopagididae, comunemente definito come pulce d’acqua “spinosa” costituisce l’impressionante esempio di una presenza che mette alla prova la definizione stessa di animale planktonico. Con i suoi imponenti 15 millimetri di lunghezza, il 70% dei quali costituiti dall’equivalenza corporea di un lungo spadone medievale. La spina, per l’appunto, dalle minacciose ramificazioni e addirittura un uncino finale nel caso del C. pengoi, alla base del terrore implicito che parrebbe accompagnare l’avvistamento di siffatti esseri all’interno di precisi, ed inadatti recessi idrografici di vari continenti terrestri. Questo perché i nostri piccoli nemici, nell’ecosistema che finisce per ospitarli dove la stragrande maggioranza dei pesci al di sotto di una certa dimensione non riesce per ovvie ragioni a trangugiarli, tendono a diventare dei feroci predatori dei loro simili più piccoli, gli onnipresenti e microscopici crostacei del genere Daphnia, anch’essi definiti pulci d’acqua, pur essendo non più lunghi di 5 mm complessivi. Primo passo di quel tipo di catastrofe ecologica che prende il nome di cascata trofica: poiché ogni cosa è intimamente connessa all’interno di un singolo bioma. E quando un nuovo agente ad alto impatto grava sui sistemi collaudati che permettono a creature di qualsiasi dimensione di prosperare, ciò che segue è l’inesauribile mescolanza delle carte in gioco. Fino all’ottenimento di una singola, rigida e immutabile mano di poker…
La presenza delle pulci d’acqua spinose fu certificata per la prima volta in Nord America verso l’inizio degli anni ’80, presumibilmente a causa della contaminazione delle acque di sentina di imbarcazioni transatlantiche, capaci di percorrere i lunghi tragitti fluviali che risalgono la riva di questi remoti e vasti lidi. Per poi scaricare, senza troppe cerimonie, i temuti clandestini dove non avevano alcun luogo ad essere né la struttura di un appropriato conteso di sopravvivenza ulteriore. “Eppur si muove” come direbbe qualcuno, puntando il dito verso l’acqua brulicante in luoghi dove l’effettiva densità di 20, 140 di queste “pulci” per metro cubo, tale che un ricercatore, immergendo un secchio sotto il pelo delle increspate acque lacustri, lo troverà probabilmente e parzialmente annerito dalla soluzione colloidale del minuto popolo fluttuante, un segno preoccupante del periodo che stiamo attualmente vivendo. Perfettamente adattato alle condizioni climatiche dell’intera zona Paleartica, il Cercopagididae vanta molte ulteriori frecce di efficienti fenotipi al suo arco. Prima tra tutte, la capacità di riprodursi nei periodi di abbondanza tramite l’impiego della partenogenesi, consistente nell’autonoma clonazione di esemplari femminili a vantaggio di loro copie indistinguibili, di loro conto in grado di arrivare nel giro di poche settimane alla capacità di fare esattamente lo stesso. Mentre l’insorgere di generazioni composte almeno parzialmente da esemplari maschi risulta essere comparativamente più raro, ovvero limitato a quei momenti storici in cui la sopravvivenza appare complicata e la mescolanza dei geni pare fornire più eminenti presupposti di flessibilità alla formazione dei nuovi nati. Ciò in quanto il piccolo mostro, abituato a seguire il resto del plankton di cui si nutre durante le sue migrazioni verticali diurne mediante filtratura dell’acqua tramite l’impiego delle sei zampe remiformi, tende nel contempo a diventare più piccolo quando ci sono troppi pesci capaci d’inseguirlo, o più grande e spinoso se il pericolo proviene dallo stadio larvale dei cicli vitali contrapposti, siano questi di pinnuti o i pochi artropodi capaci di costituire per lui una minaccia. Per lo meno fino al raggiungimento dell’età riproduttiva ed adulta, fino alla deposizione di un particolare tipo di uova che prendono l’appellativo di ephippia. Essendo caratterizzate dalla capacità inerente di sopravvivere per lunghissimi periodi fuori dall’acqua ed in situazioni particolarmente scomode, quasi come si trattasse di spore, nello stato sospeso della diapausa, che rimette in modo lo sviluppo soltanto una volta che determinati segnali vengono ricevuti dalla creatura situata all’interno. Quelli appartenenti, per l’appunto, ad un bacino idrico pronto a sostenerne la successiva clonazione ad oltranza. Ragion per cui Canada e Stati Uniti hanno implementato nell’ultima decade norme stringenti sulla depurazione dell’acqua di sentina, oltre a linee guida per i pescatori e proprietari di barche in merito alla pulizia ed asciugatura dei loro materiali da immergere in acqua. Ancorché il risultato in termini di effettiva riduzione dell’infestazione si sia dimostrato alquanto deludente, forse per il poco rispetto delle norme da parte della popolazione, oppure a causa del progressivo aumento delle creature dotate di un sufficiente grado di resilienza.
Il che è un problema, non solo a lungo termine e non tanto per la balneabilità dei laghi (le pulci d’acqua, infatti, non possiedono la capacità di pungere o mordere l’uomo) quanto a causa dell’impatto dimostrato sulla quantità di materia biologica commestibile a vantaggio dell’Ichthyoplankton, con impatti largamente misurabili a svantaggio delle condizioni locali. Vedi la maniera in cui l’immissione sistematica di pesci persici all’interno delle acque dedicate alla pesca turistica, un’industria multimilionaria da queste parti, sia stata progressivamente ridotta o persino eliminata, proprio per la mancanza delle risorse di sostentamento necessarie al supporto di un efficace processo riproduttivo allo stato brado. Per non parlare del modo in cui le stesse pulci spinose, restando impigliate con la coda nel filo della canna, tendano a formare dei veri e propri ingorghi gelatinosi, capaci d’inficiare il normale impiego del mulinello. E tutto il resto… È storia, come si dice; una vicenda dal costo prospettato, nella speranza di tornare ad uno stato di equilibrio precedente all’invasione, di appena 140 milioni di dollari (Walsh, Carpenter et al. – 2016) che comunque non può offrire garanzie in merito ad eventuali ricadute future. Poiché una volta che è avvenuto il cambiamento, non è detto che sussistano efficaci metodi per poter sperare in seguito di far ritorno all’epoca dei primordi. E tutto quello che ci resta è far da spettatori, fin troppo direttamente coinvolti, alle catastrofi al rallentatore che abbiamo finito per causare, tramite l’incuria, la distrazione, l’implicita ed inevitabile mancanza di cautela.