I nuovi social sono una risorsa anche per la rivisitazione del cinema wuxia cinese

In bilico sul bordo esterno di un mondo ed una società che vanno verso l’auto-annientamento, i seguaci dell’antico codice continuano a considerare i meriti di un comportamento retto e indifferente alle ingiustizie e semplificazioni: essi sono gli yóuxiá (遊俠, – eroi itineranti) che col filo della loro spada, o la testa del bastone, o ancora la semplice punta acciaiosa delle sue dita, sono soliti intervenire al fine di correggere le deviazioni dalla ragionevolezza dall’innata empatia umana. Torti ed omicidi, corruzione dei funzionari governativi, furti ai danni di chi aveva la necessità o minacce armate nei confronti dei buoni amministratori… Tutte situazioni in cui ogni cosa sembrò perduta, finché il misterioso viaggiatore non si presentò all’estremità finale del suo cammino, rivelando tutta la potenza risolutiva che deriva dall’applicazione quotidiana delle tecniche e gli addestramenti delle arti marziali. Un viaggio di scoperta fondamentalmente differente dal nostro bildungsroman, poiché ruota attorno ad un protagonista che ha già raggiunto l’apice della propria formazione, mentre si utilizza il punto di vista della gente comune per accrescere la portata della sua leggenda. Uomini e donne come appare il giovane filmmaker del Sichuan, Zhu Xian, nella sua ultima creazione ispirata al repertorio della cinematografia e narrativa più esportate dal Paese di Mezzo verso l’Occidente, mentre viaggia all’interno della cupa quanto imprescindibile ambientazione della foresta di bambù. Un luogo tipico del jianghu (江湖 – fiumi e laghi) tipico scenario vagamente fantastico impiegato come sfondo per il rilevante genere, liberamente tratto dall’ambientazione storica di un non meglio definito “Medioevo cinese”. Lontano dai centri abitati ed ogni tentennante tentativo di far rispettare la legge, così da costituire il luogo ideale per imboscate, conflitti all’ultimo sangue ed ogni sorta di altro ostacolo difficilmente aggirabile senza ricorrere all’impiego delle proprie caratteristiche variabilmente sopra l’umano. Specie quando l’aggressore in questione, il qui presente collega creativo Feng Wangyun, si presenta alleggerito dal gravoso peso gravitazionale mentre balza giù roteando come un elicottero, coperto dal cappello conico di paglia che noi ben sappiamo essere predestinato a diventare un proiettile ancor più letale di un missile cruise. Da qui l’impiego dei necessari e imprescindibili artifici, tra cui decollare agevolmente dal suolo ingombro del sottobosco, sdoppiandosi nei cloni magici che vogliono simboleggiare un qualche tipo d’imperscrutabile mossa speciale. Seguita da uno scambio di colpi tanto ineffabile e perfetto da ricordare grandi classici internazionali, come la Tigre e il Dragone (2000) o Hero (2002). Di un’epoca in cui per essere dei portavoce di questo particolare campo espressivo, serviva ancora conoscerle davvero, le arti marziali…

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Le avventure del ciclista che pedala nello spazio-tempo

I sogni sono una breve pazzia, e la pazzia un lungo sogno. (Arthur Schopenhauer) E adesso, qualcosa di diverso. Per un pubblico, quello di Internet, da molto tempo abituato alle sfrenate evoluzioni, le discese a rotta di collo, le corse folli organizzate dagli sponsor più importanti, come la Red Bull. Tutti abbiamo sognato, almeno una volta, di staccare i nostri piedi dal terreno e mettere le ali. E voi pensate, forse, che gli uccelli non si sentano incompleti, quando guardano qualcuno camminare? Così come uno sportivo, nelle ore diurne, può tentare di seguire i grandi nomi, per tentare di veder iscritto il proprio nome negli annali. Ma è soltanto nel profondo della notte che può esprimere il suo vero io. Tutto, tutto, TUTTO questo non può che si svolgersi all’interno di una stanza. Della quale, a conti fatti, ci viene mostrato molto poco: il cuscino azzurro, i quadri alle pareti, la coperta a righe stile Navajo, Mike Hopkins a occhi chiusi, dormiente placido e sereno. Già lo conoscevate? Mike Hopkins, il ciclista e discesista del freeskiing, protagonista ormai da qualche tempo delle splendide pubblicità della compagnia Diamondback, specializzata in biciclette in materiali dell’epoca spaziale, adatte per gli impieghi più diversi. Visto il prezzo medio, preferibilmente di tipo professionale. Oggetti in grado di aprire molte porte. Soltanto chi davvero lo capisce, può trovare la chiave segreta per aprirle. Come…lui? Anzi loro: perché siamo appena alla terza o quarta inquadratura, quando di ciclista ne compare un altro uguale, a palesarsi lì, dal fondo della stanza. Il doppelgänger, l’alter-ego, il Puer aeternus, l’interiore spirito di Peter Pan? Può essere. Io preferisco pensare che si tratti di quello vero, mentre l’altro, addormentato, resta solamente un guscio vuoto fino al ritornare della sua anima incorporea. Per la quale, a quanto pare, il copione della scena aveva in serbo una sfrenata serie di avventure. Titolo: DreamRide 2.
Quindi forza, bando ai sentimentalismi. “Vecchio amico, eccoti qui” (un saluto nostalgico alla nuovissima bicicletta Release 3, prezzo di listino appena sopra i 4.000 dollaroni, ma mentre scrivo… È scontata, che fortuna!) Si comincia… Dalle Hawaii, l’isola omonima dell’arcipelago volendo essere specifici, forse dalle parti delle coste di Hamakua. Prima Vera Scena, il Viaggiatore è in mezzo a una foresta. Primordiale, ancor prima che pluviale, di un verde intenso come la polpa di un Kiwi, grazie a un mare di eucalipti e alcuni dei bambù più grandi che io abbia mai visto. Ma poiché siamo in un sogno, dove tutto è lecito come direbbe Assassin’s Creed, non poi c’è una grandissima attenzione alle ragioni dell’umana prudenza, né del resto è un corpo vero, soggetto ad alcun tipo d’infortunio… Il protagonista corre dunque a una velocità ben oltre l’umano, schivando tronchi a destra e a manca come fossero fuscelli, in una fedele riproposizione dell’inseguimento celebre nell’unico e solo terzo film di Guerre Stellari. Meno gli orsetti assatanati, i nazisti spaziali e l’incombente raggio della morte planetario. Meri e semplici dettagli. Finché non si giunge, giustamente, all’imboccatura di un’oscura caverna, dentro la quale pare che albergasse il buco nero a verme della misteriosa Singolarità. Visto come, al primo giro dei secondi, Mike si trova all’improvviso sopra un lago ghiacciato, che dalla regia ci svelano essere, molto gentilmente, Abraham Lake, nell’Alberta canadese. Subito seguìto da una ripida discesa per i monti della zona di Revelstoke, Columbia Inglese, fino ad un paesaggio di nubi incorporee, turbinanti, sopra un grande e incomparabile vuoto. Per poi tuffarsi nuovamente, nelle fiamme del Monte Fato, ed al di là di esse, una pianura d’ossidiana fusa, di ritorno sulle coste di quell’isola, perennemente in crescita, dalla furia mai sopìta. Dove sulla costa, finalmente, si ritrova quella porta che conduce alla sua camera da letto. Nient’altro che un rettangolo d’assi di legno, il cui contenuto, a conti fatti, appare totalmente scollegato dall’ambiente circostante. Una volta attraversata, quindi, essa sparisce. Ma chi può dire, realmente, quando avrà ragione di spalancarsi di nuovo con tutta la sua luce?

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Uno sguardo allarmante sul domani della realtà aumentata

Hyper-Reality

Una domanda…Estenuante. Quella che sceglie di porsi il designer pubblicitario ed artista con base a Londra, Keiichi Matsuda, creativo che ospita sul suo curriculum dei grandi nomi e loghi dell’attuale panorama commerciale, tra cui il colosso italiano Bulgari, per il quale ha realizzato un affascinante cortometraggio pubblicitario intitolato Vedute di Roma. Ma se quella è la parte del suo lavoro che potremmo anche considerare, se vogliamo, come maggiormente remunerativa, all’altro lato dello spettro troviamo un’opera come questo HYPER-REALITY, una breve sequenza di apparente fantascienza speculativa che appare al tempo stesso, tuttavia, distopica e stranamente seducente, sia pure solo per il semplice fatto che è così terribilmente simile alla nostra situazione attuale. Con l’unico corollario, tutt’altro che improbabile allo stato attuale dei fatti, di aver sostituito i nostri inseparabili smartphone con un visore virtuale in grado di creare la AR (Augmented Reality) ovvero una sovrapposizione basata sui nostri gesti e movimenti di fisicità e finzione, un vero e proprio “miglioramento” di tutto ciò che condiziona e osteggia il più utopistico svolgersi del nostro quotidiano.
Chi tra voi frequenta assiduamente certi lidi dello spazio digitale, come forum, bulletin boards, gruppi di discussione o addirittura videogames, avrà probabilmente familiarità con l’espressione spesso usata, sopratutto dagli anglofoni, di “IRL” ovvero l’acronimo che sta per “In Real Life” (nella vita reale). Una locuzione dai molti utilizzi, che tuttavia scaturisce dalla fondamentale astrazione, più o meno veritiera, che esista un velo impenetrabile che separa Internet dalla nostra fisica quotidianità, esattamente come c’è tra mente ed anima, muscoli e sentimenti. “Vedo che siete amici! Conosci quello stregone di livello 45…IRL?” Oppure: “Ieri non mi hai risposto fino a tarda sera, per caso hai avuto qualcosa da fare…IRL?” Sono soltanto due esempi di comunicazione efficace, perché trasmette in pochi termini un concetto che il ricevente, a meno d’imprevisti, comprenderà senza grossi presupposti di fraintendimento. Eppure, pensateci: non c’è niente di più “Vero” del web. In questo preciso istante, posso visitare un sito di e-commerce ed inserire la mia carta di credito, per ottenere che un’azienda sita a molti chilometri da me prepari un pacco coi prodotti di cui ho bisogno, quindi li spedisca prontamente fino a casa mia. Oppure, potrei aprire Facebook per rivelare istantaneamente i miei pensieri segreti a una compagna di università, per intraprendere un sentiero che potrebbe rivoluzionare, chi può dirlo, entrambe le nostre vite prevedibili e noiose. Posso trovare lavoro, su Internet. Potrei addirittura utilizzare un simile strumento per violare la legge, se mi svegliassi un giorno con una diversa personalità. Ed io dovrei pensare, a questo punto, che tutto ciò sia ancora niente più che”Virtuale”… Suvvia! Dev’esserci un’ottima ragione se un tale termine, tanto popolare verso la metà degli anni ’90, al punto che si ritrovava addirittura sulle buste delle patatine, è finito per passare in secondo piano rispetto a ben altri, assai più pregni e significativi. Come per l’appunto, la realtà aumentata. Ed anche…Un qualche tipo di ottimismo, immotivato e latente.
Una vita trascorsa di fronte al computer. Svegliarsi la mattina, di buon ora, per recarsi fino al luogo di lavoro, dove nella maggior parte dei casi ci si troverà dinnanzi ad uno schermo fluorescente. È una semplice realtà del mondo di oggi: non importa che si faccia gli avvocati, i commercialisti, gli impiegati delle poste. Addirittura ormai, i professori o i commercianti. Un’alta percentuale del proprio sapere professionale, acquisito magari tramite i molti anni di esperienza, dovrà tradursi nella pressione ripetuta di una serie di pulsanti su tastiera, al fine di ottenere un qualche prezioso, desiderabile risultato. Come in una sorta di materialistico MMORPG (gioco di ruolo online). E parlando di quest’ultimo, o altri simili passatempi, non è nemmeno improbabile che consumato il proprio pasto serale, l’impiegato al di sotto di una certa età scelga d’accendere nuovamente il PC di casa, per mettersi a combattere gloriosamente contro orchi, nani, carri armati ed elfi. In quella stessa, identica, fisicamente statica maniera. Così l’unico momento in cui siamo davvero liberi, in un certo senso, diventa quello degli spostamenti tra un computer e l’altro, quando nonostante tutto ci troviamo costretti a fare attenzione a dove mettiamo i piedi, al colore dei semafori e alle schiene da schivare, oppure i fanalini di coda, dei nostri consimili e conviventi, in pura carne e dure ossa. E se persino quei fugaci momenti in cui torniamo simili alle generazioni dello scorso secolo (e tutti quelli venuti prima) d’un tratto all’improvviso, dovessero sparire?

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Google porta il suo migliore alieno “virtuale” su YouTube

Google Help

Conseguire risultati tangibili in un tempo ragionevole, quindi cambiare il proprio target, l’obiettivo. È questo un metodo operativo che, per quanto possa sembrare all’opposto di un tipico iter creativo, non può che essere alla base di qualunque impresa commerciale del contemporaneo. Che poi vorrebbe dire, il gesto proficuo o la missione di qualsiasi grande compagnia, sia questa operativa nell’ambiente tecnologico, ludico oppure cinematografico. Ed era quindi naturale e inevitabile, ad esattamente un anno dal suo rilascio in esclusiva per alcuni cellulari Motorola poi allargato all’intera area degli Android, che il cortometraggio interattivo ad alto tasso di effetti speciali HELP giungesse infine presso la più celebre ed aperta piattaforma di distribuzione video, usata fianco a fianco dalle major dell’entertainment e dai proprietari di… Micetti, che fanno cose carine. Proprio così: c’è qualcosa di nuovo su YouTube, che non è un felino, e che potreste anche non avere visto. Ed è un kolossal nel suo settore, dei video di effetti speciali lunghi poco più di tre minuti, un vero genere creatosi negli ultimi anni per dare soddisfazione alla curva d’attenzione dei moderni, che sempre più spesso incorpora una gobba brusca come quella di un cammello; sarebbe a dire, irrimediabile entusiasmo, seguito da immediata noia e un cambio di canale. Ma vi sfido, io, a guardare soltanto una parte di questa vicenda a 360 gradi! Definibile in tal modo, non tanto nel modo in cui disanima la familiare questione della bestiolina aliena, un tema che comunque affronta con stile, quanto per la maniera in cui lo spettatore era chiamato, per lo meno nella sua versione originale, a riorientare l’inquadratura grazie a bruschi movimenti del suo smartphone, tanto per, nell’idea pubblicamente nota della sua istigatrice a capo del dipartimento Google ATAP (Advanced Technology and Projects) “Sfruttare finalmente il processore video e gli accelerometri fin troppo spesso trascurati” Beh, si. Da chi non gioca affatto ai videogame, aggiungerei. Ora, nella versione proposta al pubblico dell’ormai vecchio web cliccabile col mouse, questo particolare aspetto funzionale è ovviamente venuto a mancare. [Per] ora, si controlla con il mouse. E forse è anche meglio così! Una tale meraviglia visuale, ridotta alla grandezza di 7, al massimo 10 pollici di schermo, magari posizionati dinnanzi agli occhi grazie all’uso di una scatoletta di cartone? Quale indubbia crudeltà. Soprattutto con l’incombente tecnologia dei nuovi splendidi visori virtuali all’orizzonte, vedi Oculus, HTC Vive e tutto il resto della compagnia.
Definito brevemente l’interessante fenomeno, passiamo ora al corto propriamente detto. Che è l’opera per una volta, va notato, di comprovati professionisti di Hollywood, tra i quali spicca niente meno che il regista di Fast & Furious 4, 5, e 6, nonché del prossimo film in uscita appartenente all’interminabile serie di Star Trek. Il quale, accogliendo con gioia la proposta e la sfida del colosso delle ricerche online verso l’inizio del 2014, ha affrontato l’occasione creativa come una sorta di sfida, cercando un piglio emozionale che potremmo definire quasi Spielberg-iano. È dopotutto innegabile che la breve vicenda di HELP, infarcita d’azione ultra-moderna nello stile del franchise Man in Black, presenti anche degli evidenti richiami ai due classici del maestro Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) ed E.T. l’extra-terrestre (1982) sopratutto nei momenti d’apertura e nel suo epilogo, in qualche maniera, positivo. Anche la scelta del luogo dell’azione è significativa: niente meno che Los Angeles, la vasta città simbolo dell’industria cinematografica occidentale, tra le cui strade, e nei cui canali di drenaggio, si sono svolti alcuni dei più fantastici e memorabili inseguimenti nella storia della cellulosa narrativa. Ma forse mai prima d’ora, con questa specifica metodologia stilistica…

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