Le alte croci ove riposano i quattro re di Persia, scolpite nella nuda roccia della montagna

“Un grande dio è Ahuramazda, che ha creato questa Terra, che ha creato il cielo soprastante, che ha creato l’uomo, che ha creato la felicità per l’uomo, che ha fatto Dario re, un re di molti, un signore di molti”. Così recita l’invocazione cuneiforme d’apertura in una delle più importanti iscrizioni dell’archeologia persiana, chiaramente databile al 490 a.C. Quattro anni prima della morte di uno dei sovrani più importanti che quel vasto impero abbia potuto vantare, per cui vengono citate a seguire le sue plurime conquiste militari in Assiria, Grecia, Babilonia, Egitto, Armenia… Situata innanzi alla caratteristica struttura del suo sepolcro, pochi chilometri a nord-ovest dall’antica capitale politica e religiosa di Persepoli, tale fondamentale elemento sarebbe stato l’unico, per nostra sfortuna, a non essere imitato dai suoi successori. Lasciando le tre tombe simili e adiacenti, facilmente attribuibili ad altri re Achemenidi, come di attribuzione meramente ipotizzata, sulla base di fattori contestuali non del tutto immuni alla confutazione. Una scelta stranamente anonima, per i supremi governanti di un territorio tanto vasto e potente, utile a comprendere il profondo scopo rituale, piuttosto che meramente celebrativo, attribuito al possesso e l’impiego postumo di tali imponenti strutture. Questa è Naqsh-e Rostam, il “Murale” dell’eponimo eroe mitologico, collegato in modo meramente folkloristico all’importante sito fin da tempi antecedenti all’arrivo degli studiosi; chiamata dai cristiani, lungamente affascinati dai personaggi biblici qui sepolti, il cimitero delle croci, causa la forma osservabile dell’ingresso delle quattro tombe, capaci di presentarsi come aperture verticalmente ed orizzontalmente simmetriche nella roccia monolitica che si erge in mezzo al deserto di Fars. Ciascuna dominata dall’ingresso monumentale sopraelevato, decorato con un sofisticato e identico bassorilievo concepito per assomigliare all’ingresso di un grande tempio o residenza reale. Il cui falso architrave sostiene una vasta e identica raffigurazione del re visto di profilo, intento a ricevere il sacro mandato da un’entità divina dello zoroastrismo, possibilmente Ahuramazda in persona. Sito usato in precedenza dalle popolazioni locali degli elamiti, poi sconfitti e sottomessi dai persiani, questo importante spazio sacro sarebbe stato quindi a secoli di distanza utilizzato dalla successiva dinastia Sassanide, che pur senza introdurre elementi di pari imponenza, avrebbe fatto intagliare nello spazio sottostante alle tombe figure guerresche intente a sconfiggere i nemici del regno, inclusi gli imperatori romani Valeriano, mentre viene preso in ostaggio da Shapur I nel 361 a.C. e Filippo l’Arabo che implora la pace nel 241 a.C. Un momento di gloria imperitura, per il discendenti di coloro che costituirono una potenza tanto significativa da imporre la lingua franca dell’Aramaico in tutto il Medio Oriente, venendo anche citati a tal proposito tra le immortali pagine del Vecchio Testamento…

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La torre post-apocalittica creata per imporsi tra i rigorosi poligoni tokyoiti

Scegliere una strada nella vita può essere, a seconda dei casi, molto più o molto meno di quanto serva a definire una persona. Ma è decisamente raro che una simile espressione, in senso letterale, finisca per riferirsi in modo letterale al posto in cui costui intenderebbe andare ad abitare. Con il condizionale d’obbligo, nel caso di Keisuke Oka, eccentrico ingegnere, architetto, ballerino, scultore, muratore, operaio, costruttore del sogno e tutto ciò che in esso è contenuto. Meno la possibilità di passare inosservato. Il che risulta essere tanto più eccezionale, visto il luogo in cui ha potuto scegliere di dar sfogo al suo ineccepibile senso creativo: 4 Chome-15 Mita, Minato City, non troppo distante dal porto di Tokyo. Quasi di fronte, in effetti, al prestigioso edificio dell’ambasciata del Kuwait, un avveniristico esempio di modernismo progettato dal celebre architetto Kenzo Tange. Il cui profilo iconico, vagamente simile ad un’astronave, potrebbe letteralmente figurare in un minor numero di foto, ora che l’Arimaston Building, ufficialmente terminato dopo oltre 20 anni di tribolazioni, ha visto rimuovere la propria pudica copertura da cantiere. Rivelando… Ah, è davvero possibile descriverlo a parole? Guardate, stupite. Dimenticate per qualche secondo da dove venite. Quest’oggetto fuori dal contesto, a suo modo non meno incredibile di quanto potrebbe esserlo una manifestazione interdimensionale, il Castello Errante o la scuola di Harry Potter, appare come un edificio fuso e rimesso assieme col calore del fuoco di drago. La casa infestata del perfetto romanzo J-Horror. Un bunker bombardato nel futuro derelitto mostrato nella serie cinematografica Terminator. Le sue mura organiche e contorte, che a quanto si narra sarebbero valse al creatore il soprannome parzialmente meritato di “Antoni Gaudì di Mito” s’intrecciano in un susseguirsi di superficie oblique interconnesse, sghembe ed improbabili, mentre pezzi di armatura in acciaio fuoriescono come altrettante costole arrugginite, dai lati e dal tetto, inframezzati da finestre geometricamente simili agli occhi di un insetto fuori misura. Persino le grondaie, spiraleggianti e trasparenti, ricordano le bocche di un fantastico strumento musicale. Questa palazzina costruita interamente in un calcestruzzo speciale, il cui nome costituisce un’amalgama delle parole giapponesi Formica-Pesce-Falco (c’è anche un cartello illustrato) si erge dunque come la grigiastra dimostrazione di quale punto estremo possa essere raggiunto in architettura, se davvero si ha il coraggio di lasciarsi indietro ogni residuale convenzione acquisita.
Potendo fare d’altro canto affidamento su risorse pecuniarie non indifferenti, tempo da vendere e la capacità d’interfacciarsi in modo diplomatico con le autorità edilizie della singola città più popolosa al mondo. Con quest’ultima dote, nel ricco repertorio di Oka, capace indubbiamente di costituire quella più singolarmente sviluppata, vista l’improbabile capacità d’imporsi con il proprio monumento urbano, nel contesto culturale in cui il conformismo e la capacità di passare inosservati costituiscono delle qualità da elogiare nell’individuo. Soprattutto, nel moderno Giappone, per quanto concerne l’accurata scelta di una carriera…

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Datemi neutrini: lamine di luce per l’enorme calice nel sottosuolo della montagna

Scrutare l’invisibile tende a richiedere l’impiego di uno sfondo adeguato. Il che significa, un mezzo entro il quale lo status quo possa essere influenzato dal passaggio di un’entità che sfugge normalmente alla percezione e la coscienza dell’uomo. Questo è il principio dell’utile strumento del contatore Geiger, sostanzialmente un piccolo tubo pieno di gas, elio, neon o argon, all’interno del quale particelle di radiazioni ionizzanti producono una leggera carica elettrica, tradotta dal sistema in numeri del display situato all’esterno. Perciò ingrandisci quello stesso approccio funzionale mille, duemila volte, ed ogni cosa diventerà possibile; persino scrutare fino al nocciolo dell’annosa questione, sulla natura stessa ed il funzionamento dell’Universo. Leptoni: particelle facenti parte della materia la cui infinitesimale piccolezza permette di accertare l’esistenza soltanto indirettamente, in funzione degli effetti che producono nei rispettivi contesti d’appartenenza. Eppure persino tra queste, esistono classi diverse d’impercettibilità inerente. Laddove fondamentale per la produzione degli stessi legami chimici in quanto tali, risulta essere il microscopico elettrone, portatore di una carica negativa che si riflette nella costruzione di qualsiasi molecola a noi nota. Mentre meramente teorico sarebbe rimasto, fino al 1930 grazie al lavoro di Wolfgang Pauli, l’esistenza del suo cugino neutrino, privo d’interazione elettromagnetica di qualsivoglia tipo. Tanto che, inerti all’interazione forte, sarebbero stati considerati per quasi un secolo del tutto privi di una massa funzionale apparente.
E probabilmente lo sarebbero ancora oggi, se non fosse per l’intercorsa efficacia dimostrata a più riprese dall’osservatorio del monte Ikeno nella prefettura giapponese di Gifu, costruito a una profondità di 1.000 metri nell’ex-miniera di Mozumi con l’originale scopo di rilevare il decadimento protonico (missione destinata a rimanere ancora oggi incompleta) sotto la supervisione dell’Istituto della Ricerca sui Raggi Cosmici dell’Università di Tokyo. Ferma restando la stretta associazione del neutrino con tali fenomeni spaziali, per la cognizione acclarata che il passaggio di questi ultimi attraverso l’atmosfera terrestre tendesse ad indurre un decadimento delle particelle, tale da generarne una certa quantità inerente. Ragion per cui la prima iterazione del progetto, operativa per due anni a partire dal 1983, fu da subito associata all’osservazione cronologica delle ondate d’energia capaci d’investire la Terra, successivamente all’esplosione di una supernova distante, all’origine di diffusione di radiazioni oltre il grande vuoto del medium galattico interstellare. Già, ma come, esattamente? Grazie all’impiego apparente di una quantità spropositata di “lampadine”…

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Catarsi nel Caucaso: la tragedia del maestro che precipitò dal tetto del monastero

La conoscenza approfondita della storia di un luogo nel corso del Medioevo è frequentemente la diretta risultanza del lavoro di un cronista, personalità istruita che a vantaggio dei contemporanei e la posterità ulteriore, fece impiego delle proprie conoscenze per tradurre in una cronaca la dettagliata memoria dei trascorsi di un popolo, un paese, una famiglia. Lavoro che fu compiuto, per quanto riguarda l’Armenia dall’XI al XIII secolo d.C, dal vescovo metropolitano ortodosso Stepanos Orbelian, discendente dell’omonima e prestigiosa famiglia di feudatari della provincia di caucasica di Syunik. Che si misero al servizio, nel 1177, del nipote del re della Georgia, il principe Denma, durante la ribellione contro il sovrano usurpatore Giorgio III Bagration. Destinata a naufragare nel sangue e la severa punizione di quest’ultimo, nonché l’esilio dei suoi più fedeli sostenitori. Ma i signori di Syunik sarebbero tornati in patria la generazione successiva, per assistere la figlia del re Tamar e il suo successore nonché nipote, Giorgio IV Lasha contro l’invasione del Turchi Selgiuchidi, il che valse a Liparit III Orbelian la qualifica di viceré di Georgia e tutti i suoi domini. Seguì un’epoca di ricchezza e prosperità nella provincia, capace di riflettersi in quell’epoca dal forte sentimento religioso nella costruzione di splendidi edifici ecclesiastici, svettanti chiese e notevoli monasteri. Il più celebre dei quali, senza ombra di dubbio, sarebbe rimasto nel millennio successivo quello di Noravank, situato a 122 Km dalla città di Yerevan dentro un angusto canyon scavato nell’arenaria dal fiume Amaghu, vicino al villaggio di Yeghegnadzor. Un complesso architettonico indicativo delle tecniche costruttive dell’epoca, usato anche come residenza e mausoleo della famiglia a partire dal completamento della chiesa cruciforme di Surb Karapet, dedicata alla figura di Giovanni Battista.  Ma le cui vette più elevate, in più di un senso, sarebbero state raggiunte nel 1339 con l’adiacente santuario dedicato ad Astvatsatsin (la “Santa Madre di Dio”) struttura alta 26 metri costituita da due piani, dalla forma di un rettangolo sormontato da una croce greca. Dietro le cui svettanti mura, aguzzando la vista, un osservatore ideale di quel panorama potrà scorgere una piccola khachkar, la tipica croce decorata con bassorilievi dei luoghi sacri e cimiteri Armeni, così istantaneamente diversa dalle altre contenute entro il perimetro del monastero, proprio perché umile nell’aspetto e semplice nel progetto artistico di colui che dovette crearla. Si tratta, molto chiaramente di una tomba, dedicata a niente meno che Momik, il leggendario scultore, architetto e illustratore di manoscritti del XIII secolo, la cui ultima creazione fu proprio la chiesa di Astvatsatsin. Ed il cui completamento, secondo una leggenda collegata all’ultimo periodo della sua vita, non avrebbe mai avuto l’occasione di vedere. Causa il tradimento supremo, subìto proprio per il tramite di colui che gli doveva maggiore riconoscenza…

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