Il ponte super-solido situato sopra il balzo fragoroso del grande fiume Iguazu

Chiunque abbia frequentato per un tempo sufficientemente lungo certi distretti di Internet avrà familiarità intrinseca con la coscienza videografica, pulsione collettiva che allontana l’istintiva percezione del pericolo ogni qual volta si stringe saldamente in mano il cellulare, puntando l’obiettivo della videocamera verso qualcosa di unico, meraviglioso e dunque memorabile per chiunque potrà osservarlo in differita, sui social o altrove. È il segreto pretesto dietro al tipico comportamento di coloro che scavalcano i parapetti del Grand Canyon, o si sdraiano agli estremi margini della Trolltunga, pietra norvegese in bilico sopra l’ondoso abisso del fiordo antistante. Eppure esistono dei luoghi, presso alcuni dei siti turistici potenzialmente più pericolosi al mondo, dove simili comportamenti vengono sapientemente veicolati. Tramite l’installazione d’infrastrutture che paiono soltanto all’ultimo stadio di precarietà evidente; ma costituiscono, in ogni loro singola parte, l’espressione di uno studio ingegneristico davvero approfondito. Offrendo il massimo della sicurezza possibile, considerato un contesto come il colossale ferro di cavallo scrosciante di Iguazu, al confine esatto tra Brasile e Argentina. Per coloro che, atterrati al vicino aeroporto eponimo e saliti sopra il treno dei visitatori che accompagna le persone all’ottava cascata del mondo per flusso idrico complessivo (e certamente una delle più spettacolari, assieme a Niagara e Victoria) ogni predisposizione all’effettivo sdegno del pericolo parrebbe allora realizzarsi, nel momento in cui mettono il primo piede sul cosiddetto Circuito Superiore, una rete d’interconnesse passerelle, costruite primariamente sul lato di Buenos Aires, capaci di condurli a pochissima distanza da un balzo di 40 metri giù nel colossale inferno bianco di schizzi e gorghi fluviali. E fin qui nulla di strano, finché non si guarda verso il basso per prendere atto del flusso medio di 1746 metri cubi al secondo, che in determinati momenti parrebbe concentrato concentrato in buona parte contro quei piloni ben piantati nel suolo basaltico sottostante. Soprattutto quando nel periodo della stagione delle piogge, il livello delle acque s’innalza ulteriormente, evocando l’immagine esecrabile degli abitanti di un centro abitato, che si affollano per raggiungere attraverso un battistrada instabile l’altro lato di un precario attraversamento prossimo alla chiusura. Nulla di più diverso potrebbe d’altronde costituire la realtà, vista la lunga storia ed i trascorsi di acclarata sicurezza degli stretti corridoi, esistenti ormai in diverse iterazioni da un periodo di quasi cent’anni a questa parte…

Fu dunque sul finire degli anni ’30 del Novecento che la moglie Elenaor del presidente Roosevelt, durante una trasferta sudamericana, venne portata a vedere le cascate e pronunciò la frase rimasta celebre: “Povero Niagara!” Esattamente poco dopo aver sperimentato, presumibilmente, l’esperienza di trovarsi temporaneamente in bilico sopra quell’universo rapido e scorrevole, mediante ciò che da ormai un paio di decadi costituiva l’attrazione principale del parco. Un’istituzione nazionale, quest’ultima, già nel 1934 sul lato argentino contenente l’80% delle cascate sebbene provvedimenti specifici di tutela fossero già stati implementati contestualmente alla creazione di quello di Yellowstone, prima della fine del XIX secolo. Con il coinvolgimento nel 1902 tra gli altri del rinomato architetto di giardini di origini francesi Carlos Thays, studente ed erede professionale del rinomato Édouard André. Il quale dopo aver rinnovato una significativa percentuale degli spazi verdi della capitale, Buenos Aires, divenne tra i principali sostenitori della creazione di un sistema architettonico che potesse massimizzare la visitabilità di un sito tanto a lungo ingiustamente sottovalutato, contribuendo alla creazione della prima versione delle passerelle sospese delle Iguazu. L’inaugurazione quindi, verificatosi nel 1912 grazie alle donazioni ottenute dalla facoltosa ereditiera Victoria Aguirre, fu istantaneamente giudicata un significativo miglioramento, rispetto alle imbarcazioni che precedentemente venivano impiegate dai locali, remando freneticamente in senso opposto alla corrente, per permettere ai turisti di sperimentare la furia senza filtri delle immense cascate. Una pratica che d’altra parte non fu esplicitamente vietata fino al 1938, quando un’intera comitiva di visitatori tedeschi cadde oltre il bordo, con conseguenze tristemente facili da immaginare.
Frutto di un lavoro costante di ripristino e sostituzione, le passerelle conobbero dunque il picco della popolarità negli anni ’70, con l’apertura della rotta aerea a ridosso di questo paesaggio unico al mondo, contribuendo alla creazione di specifici profili di rischio e contromisure. Entrate per la prima volta in funzione nel 1992, quando l’attrazione fortunatamente chiusa per precauzione venne parzialmente spazzata via da un periodo di piogge particolarmente intenso. Eventualità destinata a ripetersi nel giugno del 2014, ma non prima che al volgere del millennio le piattaforme fossero state complessivamente rinnovate mediante l’utilizzo di un sistema modulare, capace di permettere lo smontaggio in tempi relativamente rapidi delle sezioni giudicate in condizioni critiche prima del verificarsi dell’irreparabile devastazione. Un progetto costato alle casse pubbliche argentine, a quanto si scopre online, un investimento di 15 milioni di dollari ormai da tempo riguadagnati, almeno a giudicare dalla popolarità su Internet dei video realizzati da quelle compatte moltitudini che parrebbero fermamente intenzionate a farne l’esperienza instagrammabile definitiva.

“Mettere a rischio l’incolumità personale per girare pochi minuti di video uguale a milioni di altri? Giammai!” Proclamano con entusiastico dissenso i commentatori, in realtà più che altro invidiosi del momento cardine di un viaggio certamente degno di essere ricordato. Mentre i più attenti sospettano, dopo aver visitato il sito ufficiale che parla anche di accessibilità a sedie e rotelle e carrozzine per i neonati, che le passerelle in questione non siano poi tanto pericolose come sembrano, né altrettanto precarie. Dal punto di vista del tipico abitante angolofono del Nord del mondo, convinto che gli standard di sicurezza dell’emisfero meridionale (Oceania esclusa, almeno in parte) debbano necessariamente trovarsi su un livello differente rispetto a quelli dei propri rispettivi paesi di provenienza. Dimenticando come non ci sia misura che tenga, di fronte all’intento inconsapevolmente autodistruttivo di alcuni. Ma una cosa, almeno, va detta: per coloro a cui il telefono dovesse cadere nelle acque sottostanti, qui, nessuna spregiudicata estensione in bilico oltre le barriere dei parapetti si renderà possibile, ne necessaria. Mentre il beneamato oggetto dei fotografi sbadati, sparato a gran velocità, sarà già finito in mezzo ai pesci della valle tramite la più straordinaria rampa di lancio mai prodotta dalla Natura.

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