L’acqua della palude ribolliva come fosse riscaldata da una fonte sotterranea, poco prima d’illuminarsi a giorno per l’effetto di molte magiche lanterne che fluttuavano nell’aria, poco prima dell’alba mattutina. Ed allora i pescatori che si erano recati a riva al fiume per salpare con le loro barche seppero che il loro tempo era prossimo a concludersi, poiché la profezia lungamente paventata stava per compiersi: “Quando il Nagaraja (Re dei Naga) famoso con il nome di Nonno U-Lu sorgerà e volgerà il suo sguardo verso oriente, nulla potrà più placare la sua ira. L’intera città di Rattaphana verrà completamente distrutta, fatta eccezione per tre templi dedicati ad insegnare il verbo di Buddha.” Una forma sinuosa e gigantesca, in quel momento, s’innalzò dai flutti, stagliandosi contro la Luna. E contorcendo la sua bocca dai lineamenti quasi umani, si rivolse direttamente al suo equivalente umano, il sovrano Phra U-Lue-Racha che aveva bandito la giovane principessa dei Naga, incapace di mantenere la forma umana: “Restituisci le insegne sacre, rendi adesso gli ancestrali simboli del mio popolo.” Ma nessuna risposta venne dall’orgoglio ed alto palazzo dei dinasti umani, poiché gli oggetti in questione erano stati trasformati, oppure venduti. Ed allora migliaia di uomini-serpenti sollevarono le proprie armi, mentre avanzavano coi propri piedi sulla riva scoscesa. L’epoca della diplomazia, ormai, dimenticata.
La leggenda del nonno U-Lu racconta dell’ira funesta di un essere dai poteri e la longevità sovrumana, in seguito all’amore non corrisposto di sua figlia Nākrinthranī, che aveva rinunciato all’immortalità dopo essersi innamorata del principe umano Fahrung, l’erede splendido di quel regno ancestrale. E del modo in cui la giovane consorte, dimostratasi incapace di mettere al mondo figli, venne smascherata e bandita nuovamente nella palude. Suscitando l’immediata furia di quel semidio, e la conseguente demolizione della più popolosa città dei tempi antichi, fatta sprofondare con un mero pretesto sotto le acque del bacino idrico che sarebbe in seguito diventato il lago “a forma di corno di mucca” di Bueng Long Khong, mentre Fahrung riusciva a salvarsi scappando via lontano. Perciò una volta compiuta la devastazione predestinata, il Nonno decise di non uccidere semplicemente il sovrano, Phra U-Lue-Racha. Bensì trasformarlo in un membro sovradimensionato del suo popolo, con il compito futuro di proteggere in eterno il lago e le sue coste. Una mansione a cui non avrebbe mai più potuto sottrarsi, essendo stato in modo molto pratico trasformato in solida pietra.
L’idea che la colossale statua di un serpente potesse trovarsi nascosta, da qualche parte, entro i confini dell’odierna provincia di Bueng Kan sembrò dunque per lungo tempo una mera leggenda. Questo finché un gruppo di escursionisti nel recente 2020, avendo imboccato per puro caso un sentiero tra i meno battuti, si trovarono improvvisamente a fare il proprio ingresso in una caverna. Ed osservandone con occhi spalancati le mura scoscese, non incominciarono a scorgere l’ombra di un preciso pattern ripetuto. Quello di una serie di scaglie, come il fianco di un pitone attorcigliato nel paesaggio e sotto ad esso. Nell’attesa, sempiterna, di venire un giorno risvegliato. Non ci volle dunque molto, per decidere di battezzare il luogo come caverna (Tham) dei Naga (o Nakha). Trasformandolo in un’attrazione turistica di primissimo piano…
La nascita di un sito popolare è in effetti la normale conseguenza di un passaparola, soprattutto nel caso di attrazioni naturali o paesaggistiche che in un modo o nell’altro, si sono sempre trovate sul territorio. Non è facile d’altronde sopravvalutare l’effetto in tal senso del potere di Internet, capace di amplificare a dismisura l’esperienza memorabile vissuta da individui anche attraverso le barriere un tempo insuperabili dell’idioma. Così all’apice dell’epoca Covid, quando i viaggi internazionali risultavano virtualmente congelati per la stragrande maggioranza dei paesi al mondo, la questione della grotta dei Naga iniziò ad essere fatta rimbalzare da un lato all’altro di Internet. Poco importava che i monaci locali, a quanto pare, conoscessero già il sito e fossero talvolta inclini ad impiegarlo per meditare. Una massa critica si stava accumulando, che con il finire delle restrizioni avrebbe portato letterali centinaia di persone ad effettuare l’escursione di circa un’ora nelle verdeggianti valli del parco naturale di Phu Lanka, per poter sperimentare e farsi le foto di rito tra le spire della torreggiante Tham Nakha. Molte furono le voci contrastanti, a quel punto, capaci di soverchiarsi a vicenda sul tema di un simile luogo pregno di significato, inclusa l’idea spesso ripetuta che potesse trattarsi del fossile di un’antica bestia preistorica, trasformata in pietra a seguito di dell’eruzione di un vulcano. Il che risulta particolarmente poco probabile, essendo l’intrigante formazione rocciosa composta primariamente formata da arenaria con talune estrusioni di pietra calcarea. Il cui aspetto a scaglie sovrapposte dovrebbe nei fatti derivare in modo molto più semplice dal fenomeno geologicamente noto come pillowing o “formazione a cuscini”. Per cui il reiterato e repentino mutamento di temperatura, tra il tramonto e l’alba, tende a generare una serie di gibbosità nella pietra poi accentuate dal flusso dei venti e la caduta della pioggia, distintamente regolari e per questo inclini a ricordare il profilo di un gigantesco serpente. Con l’aspetto serpeggiante e sinuoso del pertugio, presumibilmente, frutto del passaggio di un corso d’acqua prosciugatosi millenni d’anni a questa parte. Mentre la “testa” del Naga potrebbe anche costituire, almeno in linea di principio, una scultura di epoche remote parzialmente erosa per l’effetto degli elementi.
Poco importerà d’altronde delle origini di tale meraviglia naturale d’altronde, se negli anni a venire non verranno implementate delle misure pratiche per la sua protezione. Troppo facilmente accessibile, eccessivamente popolare, la Tham Nakha è diventata a tal proposito negli ultimi anni una meta quasi obbligata dei molti cultori dell’esperienza diretta, soprattutto quando trasformabile in fotografie da pubblicare per accentuare la visibilità della propria immagine online. I quali molto chiaramente, giacché sarebbe impossibile aspettarsi l’opposto, non possono fare a meno di trattenersi dal toccare con mano ogni cosa, avendo dato inizio ad un processo che potrà soltanto accelerare la disgregazione della friabile arenaria che costituisce questa fantastica creazione naturale, antecedente alla nascita stessa della civiltà Thailandese. Ma che potrebbe anche non sopravvivere, come tanti altri luoghi simili, all’epoca dei selfie e dei netizen inclini a fare dell’immagine la più desiderabile moneta d’interscambio dei nostri giorni.
Del tutto indifferenti o ancor più facilmente inconsapevoli, delle conseguenze di un risveglio anticipato del velenoso gigante del lago di Bueng Long Khong.