L’archivio attrezzato per intrappolare il vento sopra l’ultima scogliera della Tasmania

Terribile fu l’esperienza, per diversi secoli, degli equipaggi che intendevano spostarsi con le proprie imbarcazioni negli spazi tra i diversi continenti, particolarmente se necessitavano di oltrepassare le propaggini meridionali della Terra del Fuoco, oltre il leggendario promontorio di Capo Horn. Là dove gli spostamenti delle masse d’aria planetarie, in assenza delle tipiche ostruzioni costituite dai rilievi di superficie, raggiungevano velocità così elevate da produrre suoni distintivi tra il sartiame dei vecchi velieri: un “ruggito” al di sotto del 40° parallelo, ed un vero e proprio grido, una volta oltrepassato la 50° linea equidistante a partire dall’equatore. Segnali egualmente preoccupanti, di aver lasciato ormai alle spalle ogni proposito di ragionevolezza. Avendo imposto il proprio scafo presso le regioni equivalenti di un’iperborea corsa con gli stivali del dio Mercurio.
Eppure tanto è significativa l’arte in divenire di suo fratello Eolo, tanto per dar seguito alla metafora strettamente interconnessa alla proverbiale divisione dei compiti tra le auguste sale dell’Olimpo, da aver suscitato in epoche pregresse l’attenzione di studiosi fermamente intenzionati a caratterizzare il nostro passato, presente e futuro in questo mondo che conserva numerosi misteri. Inclusa la domanda fondamentale: quante speranze abbiamo, oggi, di possedere ancora un futuro? Tale il quesito che anima, ormai dal remoto 1976, il modus operandi dell’installazione che potremmo definire maggiormente distintiva nell’intero repertorio del Servizio Meteorologico Australiano. Posizionata nell’estrema punta nord-orientale detta dai nativi “Kennaook” di una delle isole abitate più meridionali al mondo, la Tasmania. A difesa di un luogo di valli verdeggianti, alte rocce a strapiombo sul mare ed al di sopra di esse, alcuni dei pochi luoghi dove il soffio di quelle vaste distese oceaniche giunge a toccare terra, senza le trascorse contaminazioni motivate dal passaggio in luoghi soltanto leggermente meno ameni. Il che finisce per costituire la “linea di base” nonché spunto di un’analisi continuativa dello stato vigente in materia di purezza dell’aria. Quella stessa sostanza che pur consapevoli dell’effetto inquinante prodotto dalle nostre tecnologie industriali ad alto impatto, non possiamo in alcun modo fare a meno di respirare. Del tutto comprensibile, e persino encomiabile, appare a questo punto il modo in cui qualcuno, almeno, si preoccupa di catturarne dei campioni posti in condizione di stasi pluriennale, per il beneficio continuativo di tutti quei ricercatori che abbiano deciso di occuparsi di quel campo problematico dello scibile applicato all’analisi di un’ecologia dolorosamente soggetta allo scorrere degli anni. Fin da quando, ai primordi dell’iniziativa singolare, gli scienziati e i tecnici addetti si erano divisi l’incombenza di riempire con salienti metri cubi le bombole vuote per l’ossigeno acquisite come surplus degli aerei ormai dismessi risalenti al secondo conflitto mondiale. Nient’altro che l’inizio, di un sistema che oggi riesce ad essere notevolmente più complesso, ed al tempo stesso caratterizzato da passaggi collaudati per diminuire il più possibile la contaminazione…

Compito di un tipo potenzialmente desiderabile, come quello del tradizionale guardiano del faro, per individui che amano la solitudine o il trascorrere lunghi periodi lontani dal caotico stile di vita comunitario, l’assegnazione a capo Grim (“Terribile”) così ribattezzato dall’esploratore britannico Matthew Flinders per la natura inaccessibile del suo promontorio a partire dal mare, costituisce una sorta di rito di passaggio, nonché occasione di crescita professionale, per tutti i climatologi che non intendano necessariamente affidarsi ad informazioni passate per un numero eccessivo di mani. Essendo il progetto effettivamente sostenuto da una prassi alquanto semplice, consistente nel posizionamento in luoghi strategici di bombole speciali oggigiorno prodotte dall’azienda Essex Industries del Missouri statunitense, previo riempimento dell’interstizio esterno mediante l’appropriata quantità di gas criogenico finalizzato ad ottenere il più estremo raffreddamento. Così da renderne progressivamente più denso il contenuto invisibile, ed al tempo stesso comprimerlo al raggiungimento di una quantità di pressione giudicata idonea ad una quantità soddisfacente di esperimenti futuri. Evento cui fa seguito, in maniera niente meno che fondamentale, l’inserimento della bombola all’interno di capienti rastrelliere, ordinate per anno essendo concettualmente non dissimili dagli scaffali di una biblioteca. Affinché generazioni di scienziati, sia presenti che futuri, possano accedervi annotando l’eventuale incremento di sostanze nocive nel cocktail gassoso che costituisce il nostro fluido vitale. Suggerendo ed implementando eventuali misure di contenimento, finché ancora ne abbiamo l’effettiva possibilità. Una situazione già verificatosi effettivamente grazie al contributo offerto dalla stazione nella documentazione a supporto del Protocollo di Montreal del 1987, per la riduzione internazionale di sostanze a base di CFC (clorofluorocarburi) negli aerosol e refrigeranti, dato il loro effetto negativo per le condizioni dell’ozono terrestre. Nonché un progetto maggiormente a lungo termine, che ancora oggi attende di essere notato dai governi, per quanto concerne la notazione della quantità di anidride carbonica nell’aria che persiste, un’oggettiva e per questo volontariamente accantonata dimostrazione della problematica deriva climatica a cui stiamo già da tempo assistendo. Una tendenza ormai giunta a tal punto, da necessitare l’implementazione di politiche che non piacciono a molti, ma soprattutto minacciano di ridurre i presupposti dell’imprescindibile crescita continua dei profitti nazionali e conseguenti prodotti interni lordi.

Dal che l’essenziale fraintendimento in termini, capace di operare a plurimi livelli nello stato condiviso dei fatti, secondo cui le priorità opportune guarderebbero soltanto all’immediato domani piuttosto che il destino già segnato delle imponderabili generazioni a venire. Tanto esteso da riuscire a coinvolgere persino gli abitanti locali della Tasmania, ripetutamente inclini a definire la propria landa come quella dotata “dell’aria più pulita al mondo” nonostante le condizioni ideali utilizzate dalla stazione di capo Grim non corrispondano necessariamente a quelle dell’ossigeno inalato nell’entroterra. E persino lassù, la cattura possa avvenire soltanto quando il vento soffia da opportune direzioni, garantendo in questo modo di non essere passato sopra le terre industrializzate dell’Australia meridionale.
Ma forse è proprio questa capacità di porsi all’interno di un’eccezione predestinata, a caratterizzare maggiormente il contegno ed il comportamento umano. Come quando i coloni del XIX secolo nell’allora terra di Van Diemen si trovarono a gestire un conflitto territoriale con gli abitanti nativi di lingua Peerapper, per il controllo di alcuni pascoli circostanti il terreno dell’attuale centrale meteorologica. Dando inizio ad una serie di spedizioni punitive, culminanti con l’uccisione di una quantità stimata di 30 aborigeni mediante l’utilizzo dei fucili a ripetizione, per poi gettare le loro salme giù dall’alta scogliera. Evento profetico di quanto sarebbe successo in seguito. E l’inizio, se vogliamo, di un accumulo di karma negativo, capace di porre fin troppo solide basi per l’attuale capitolo della nostra storia.

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