Ptychozoon è il genere di piccole lucertole, principalmente arboricole, all’interno della famiglia dei gechi dell’Asia Meridionale, famosa per il proprio aspetto distintivo ed alcuni tratti insoliti del proprio comportamento difensivo. Pur possedendo la stessa fondamentale caratteristica dei piedi lamellari, capaci di aderire a qualsiasi superficie verticale e camminare invertiti sui soffitti, la loro strategia principale nel momento in cui subiscono una minaccia prevede l’immediato distacco dalla relativa sicurezza di un punto d’appoggio sopraelevato. Per fluttuare, librandosi, giù dalla canopia e verso rami, tronchi o il suolo distante. Ciò sfruttando principalmente il proprio peso ridotto e l’agilità che ne consegue, ma anche la sovrabbondanza di pelle che circonda i loro fianchi, zampe, coda e i lati della testa, tale da giustificare un altro noto soprannome nel linguaggio comune: geco dal paracadute, sempre pronto da sfruttare nel momento del bisogno assieme all’ottimismo di un punto d’atterraggio migliore. Così descritto e classificato dal punto di vista tassonomico già nel secondo decennio del XIX secolo, grazie all’opera in parallelo dei naturalisti Kuhl e van Hasselt, questo gruppo di astuti corridori tra i recessi cortecciosi dell’esistenza, notturni e principalmente insettivori, hanno affascinato gli studiosi nell’intero corso dello scorso secolo fino all’individuazione di 12 specie distinte, differenziate per livrea, stazza e rapporto delle dimensioni tra gli arti e la coda, nonché nel corso dell’ultimo decennio particolari aspetti del loro codice genetico, emersi grazie agli utili strumenti dell’analisi molecolare. Nessuno delle quali soggette a significativi rischi di conservazione grazie all’areale ampio e la buona capacità di adattamento di queste creature, con una distribuzione alquanto prevedibile tra i territori di India, Cina e l’intero Sud-Est Asiatico inclusa l’Indonesia. Incluse le remote, difficilmente raggiungibili montagne di Arakam al confine con il Tibet, dove si riteneva prosperasse soprattutto la specie del G. lionotum o geco volante burmese dalla schiena liscia, almeno finché lo scorso aprile non è stato pubblicato lo studio incoraggiato da Zeeshan A. Mirza dell’Istituto Max Planck di Biologia, assieme ad alcuni colleghi del dipartimento zoologico della locale Università di Mizoram, capace di mettere in discussione l’assunto accademico latente. E dare il benvenuto, nel novero di questi distintivi abitanti della foresta, ad un nuovo imprescindibile protagonista…
Si tratta d’altra parte di un processo che potremmo definire tutt’altro che raro in simili campi accademici: con l’avanzamento e perfezionamento degli strumenti disponibili, talune differenze non immediatamente osservabili vengono poste in evidenza nel catalogo di un gruppo di specie ritenuto funzionalmente completo, verso l’ampliamento di orizzonti ed emersione di nuovi tratti tra categorie d’un tratto distinte. Portando lo stesso Mirza a far notare in effetti, nei materiali di supporto e le dichiarazioni rilasciate a supporto del nuovo studio, la relativa ed apparente somiglianza dei gechi volanti in questione ad una specie geograficamente molto distante, quella del G. popaense attestato soltanto sul monte Popa, un vulcano nel bacino di Ayeyarwady entro i confini della Birmania e derivante da una linea di discendenza per lo più misteriosa. E che oggi potremmo rivedere, grazie alla corrispondenza della disposizione delle scaglie dorsali e la riconoscibile combinazione delle protuberanze sovranasali, come potenziale residuo di una specie ancestrale dalla diffusione in buona parte dell’Asia Meridionale, i cui discendenti recentemente individuati sui monti Arakam troverebbero importanti elementi di distinzione nell’assenza di una linea dal diverso colore in corrispondenza degli occhi e la ricca dotazione di tubercoli lungo l’estendersi dell’intera coda, una dote non rara nei gechi paracadute ma del tutto assente nella variante di Popa. Quest’ultima impiegata, in maniera tipica di questo genere, in un’affascinante esibizione aposematica simile all’oscillazione di un serpente, probabilmente utile a spaventare un’ampia selezione tra i suoi potenziali nemici, tra cui uno studio del 2022 (Gamalo, Erikson et al.) riportava in modo sorprendente una particolare specie di primate, il macaco dalla coda lunga (M.fascicularis). Non che tale ricorso paia risultare frequentemente necessario, come anche l’iconica propensione al balzo della fede con planata controllata almeno in parte dalla posizione delle zampe, vista la straordinaria capacità mimetica di questi gechi, che sono soliti restare quasi perfettamente immobili durante le ore diurne, spostandosi soltanto per tentare di mantenersi per quanto possibile in ombra al fine di minimizzare il rischio di venire avvistati. Potendo beneficiare in tale approccio, oltre alle loro colorazioni difficilmente individuabili, della sagoma irregolare offerta dal prototipico “paracadute” che aderisce nel contempo alla corteccia degli alberi, scongiurando per quanto possibile la proiezione di alcun tipo di ombra. Verso una ragionevole approssimazione all’invisibilità, in buona parte responsabile delle difficoltà riscontrate nella classificazione ed osservazione approfondita di questa intera categoria di specie.
Scaltri dinosauri dinamici propensi a saettare da un recesso all’altro degli anfratti a loro maggiormente consoni, i gechi sono forse i rettili che maggiormente ci ricordano il nostro distante grado di parentela con questa intera diramazione del grande albero della vita. Che pur apparendo totalmente differenti per aspirazioni, aspetto e priorità situazionali, possiedono pur sempre identiche prerogative ad ogni specie di mammifero, inclusa la nostra: sopravvivere, prosperare, proteggere i confini delle proprie imprescindibili pertinenze. Intersecantisi, in maniera non sempre gradevole, con le nostre: come spiegare, altrimenti, l’immediata riconoscibilità di tale sagoma, talvolta incline a comparire sulle mura delle nostre stesse abitazioni verso l’apice dei mesi più caldi? Eppure il drago dei muretti, di per se, non è mai inutile risultando piuttosto un alleato del benessere di chi vi abita all’interno, per la propensione a divorare larve di zanzare e una miriade di altri insetti nocivi. E pesante quello che potrebbe riuscire a fare, nella nostra vecchia Europa, un geco volante!