La bolla pulsante che libera questa lucertola dall’incombenza di prendere fiato

Per i serpenti predatori del Costa Rica e il resto dell’America Centrale, la velocità è diventata una dote primaria nella cattura del loro pasto quotidiano. Questo perché molte delle loro prede, attraverso i secoli successivi, hanno appreso una speciale via per guadagnarsi la salvezza: immobili, attente, rigide nella muscolatura e nello sguardo. Le lucertole anolidi dell’ecomorfo arboricolo, che tanto bene sanno del pericolo, non son più solite aspettare la venuta dell’ora fatidica in mezzo alle fronde della volta forestale. Bensì sulla punta più estrema dei rami degli alberi, presso un ruscello o fiume dall’acque relativamente scorrevoli, in assenza per lo meno apparente di una qualsivoglia valida via di fuga. Illusione che ben presto si dissolve, nel preciso momento in cui la morte strisciante fa il suo tentativo d’avvicinamento, e il rettile dalle quattro corte zampe, senza nessun tipo d’esitazione, tranquillamente salta giù e sparisce tra le limpide acque sottostanti. Letteralmente e nel senso che, per riuscire a vederlo riemergere, occorrerà aspettare tra i 15 e i 18 minuti, in maniera analoga a quanto succede con le rane. Il che costituisce, di sicuro, una questione in grado di suscitare un certo grado di perplessità e sorpresa, quando si considera come dal punto di vista morfologico l’Anolis aquaticus, unico piccolo rettile, distante parente dell’iguana, che era stato associato a partire dal 2008 e fino al giorno d’oggi ad una simile distintiva abitudine, appaia per il resto del tutto simile a qualsiasi altro membro del suo vasto genere d’appartenenza. Mentre uno studio pubblicato lo scorso 12 maggio sulla rivista Current Biology, da Mahler, Swierk e colleghi, chiarisce e rende al tempo stesso ancor più notevole l’intera questione. Riuscendo ad attribuire, mediante una lunga e complicata serie d’osservazioni, questa stessa propensione all’immersione ad un minimo di 18 specie differenti, molti delle quali appartenenti a regioni geografiche nettamente distinte, ciascuna osservata mettere a frutto in condizioni controllate lo stesso, notevole espediente. A partire dalla cattura pressoché spontanea, nei primi attimi successivi all’immersione, di una o più goccioline facenti parte del flusso acquatico, grazie alle naturali doti idrofobiche della loro pelle scagliosa, con una particolare efficienza riscontrata a tale fine proprio dell’estremità draconicamente appuntita del loro muso. Presso cui, come ampiamente documentato in una serie di video diventati in seguito famosi, il globo gassoso è solito apparire e scomparire a ritmo controllato, mentre la lucertola inala, e conseguentemente esala, i propri rapidi respiri sommersi. Giungendo a dimostrare l’innegabile capacità di riempire i propri polmoni con la stessa aria che vi è già passata in precedenza, in maniera non dissimile da quella possibile per gli utilizzatori umani di un rebreather, meccanismo tecnologico in grado di bloccare, eliminare o smaltire in qualche modo l’accumulo nocivo di CO2. Un sistema del tutto paragonabile per intento e funzionamento a quello posseduto dalla lucertola, il cui approccio della bolla giunge effettivamente a formare una sorta di membrana permeabile, da cui tutto il gas prodotto tramite lo sforzo polmonare tenderà rapidamente a fuggire, causa l’aumento di pressione, mentre il molto ossigeno contenuto nelle acque turbinanti del ruscello, un po’ alla volta, giungerà ad occupare il suo posto. E così via per il più lungo tempo possibile, in maniera analoga a quanto fatto da talune specie d’insetto quali lo scarabeo tuffatore (gen. Dytiscus) o altri artropodi come il ragno palombaro (Argyroneta aquatica, vedi precedente trattazione) sebbene per un periodo dall’estensione più breve causa la maggiore necessità d’apporto gassoso al sostentamento efficace di organismi dalle dimensioni decisamente superiori. E abbastanza variabili, se è vero che il nuovo studio brilla indubbiamente per varietà e tipologie dei suoi soggetti dimostratosi capaci di realizzar l’acquatica impresa…

Analogamente a quanto fatto dall’iguana, gli anolidi si affidano alle proprie gorgiere per colpire l’attenzione di una possibile controparte per l’accoppiamento. C’è da dire, tuttavia, come viste le diverse proporzioni il risultato appaia essere decisamente più grazioso.

Creature come l’anolide nero di Eugene (A. eugenegrahami) della lunghezza di 60-72 mm, oltre al già citato A. Aquaticus che può raggiungere i 77 mm, con una colorazione mimetica tendente al marrone scuro della corteccia degli alberi. Mentre tendente a un rossastro quasi autunnale appare il più grande A. barkeri (fino a 92 mm) capace tra l’altro di restare immerso per periodi ancor superiori ai 18 minuti ufficialmente registrati, benché sia stato impossibile giungere a una precisa misurazione data l’osservazione effettuata su un esemplare allo stato brado. Notevole anche il caso dell’A. maculigula della Colombia dalla caratteristica livrea a strisce verdi sottoposto ad una delle analisi più approfondite in laboratorio, mediante l’impiego di un sensore per l’ossigeno a forma di cannuccia rivelatosi funzionale alla conferma della teoria sulla scomparsa graduale dell’indesiderabile anidride carbonica all’interno della bolla sul naso della scaltra e agile creatura. Soluzione chiamata dal gruppo degli studiosi con il termine latino plastron, normalmente riferito alla parte inferiore del guscio di una tartaruga. Giungendo così a dimostrare una certa convergenza dei fattori evolutivi, del resto già largamente connessa all’intera metodologia biologica delle lucertole anolidi, notoriamente presenti in molti ambienti tropicali del Nuovo Mondo anche distanti tra di loro, lasciando sospettare l’emergenza spontanea e coincidente degli stessi tratti all’interno di lignaggi ereditari geograficamente distinti. Come quello, assai evidente, della vistosa giogaia o gorgiera che dir si voglia tipica dell’intera famiglia degli iguanidi, presente sulla gola dei maschi di queste lucertole ed impiegata comunemente al fine di far colpo sulle potenziali partner per l’accoppiamento. Oppure in una sorta di danza guerriera al fine di spaventare gli aspiranti rivali che mettano piede all’interno del proprio territorio, come antefatto a un combattimento che può tendere ad avere conseguenze fisiche anche piuttosto gravi.
Esseri non particolarmente prolifici ed inclini a deporre una quantità di uova che può variare, in base alla specie, tra 1 e 15 benché deposti più volte l’anno, gli anolidi mostrano quindi abitudini genitoriali piuttosto variabili, con l’A. carolinensis nordamericano che ad esempio resta presso il luogo della schiusa per proteggere i nuovi nati, mentre l’anolide bronzeo (A. aeneus) dell’isola di Grenada è incline ad abbandonare immediatamente il sito del proprio nido, lasciando che il destino faccia il suo corso per quanto concerne il possibile futuro della sua prossima generazione. Una volta raggiunta l’età adulta, quindi, simili creature scattanti saranno solite nutrirsi primariamente d’insetti ed altri artropodi terreni, benché sia stata elaborata recentemente una teoria secondo cui gli anolidi dotati della capacità d’immersione prolungata siano soliti ricorrervi non soltanto per autodifesa, ma anche per accedere agli ulteriori territori di caccia sommersi, catturando l’occasionale gamberetto o mollusco nascosto tra le acque del proprio fiume. Ancora una volta ed in base alle particolari preferenze gastronomiche riconfermando, indipendentemente dal territorio di provenienza, il sistema di classificazione in gruppi ecomorfologici trasversali ancorché divergenti, convenzionalmente distinti in anolidi arboricoli della chioma, del tronco alto, basso ed infine del terreno. Distinti tra di loro tramite adattamenti specifici, come grandezza e forma dei cuscinetti d’adesione sulle loro zampe, nonché la lunghezza di quest’ultime, a seconda della quantità di arrampicate necessarie. Gruppi cui potremmo a questo punto aggiungere, idealmente, la congrega insospettata ed ulteriore degli anolidi anfibi, un certo tipo di creature che salientemente appaiono divergere da ogni preconcetto precedentemente acquisito.

Ovviamente il naturalista d’assalto Coyote Peterson si è avventurato alla ricerca dell’anolide acquatico durante una delle sue spedizioni centro-americane. Ed altrettanto naturalmente, il frangente si è trasformato nell’opportunità di descrivere approfonditamente le caratteristiche e il funzionamento della sua notevole capacità anfibia.

Immergersi, volare, spingersi la dove nessun altro appartenente al proprio gruppo biologico ha mai scelto d’avventurarsi prima. Questi gli obiettivi di chi dovesse trovarsi a far uso di un sistema di polmoni artificiali, ovvero il cosiddetto rebreather (vedi articolo) inventato originariamente la fine di riuscire a sabotare le navi da guerra del secondo conflitto mondiale. Ma che oggi è indiscutibilmente associato ad un obiettivo, sopra ogni altro: l’esplorazione spaziale.
Per portare a compimento la quale, oggi ancor più che in precedenza, potremmo trarre ispirazione dai più sorprendenti piccoli rettili inclini ad esplorare una pluralità d’elementi anche parecchio differenti tra di loro: aria, terra ed acqua della foresta pluviale. Con un chiaro intento di sopravvivenza nei confronti delle serpi Galattiche da cui soltanto in apparenza, potremmo tendere a prendere le distanze. Dopo tutto chi non ricorda quale tipo di annuncio venne all’epoca fornito, dalla venuta dell’argenteo supereroe Silver Surfer, precedentemente ornato dal lucore di un tutt’altro tipo di bolla cosmica viaggiante… Ed una tavola dalla possibile importazione californiana. Colui che condannando i popoli della Terra, fece in seguito tutto il possibile per salvarli! Ma niente di tutto ciò avrebbe potuto realizzarsi, se soltanto alcuni individui fantastici avessero mancato di fare la loro parte.

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