L’esperimento del distretto Pullman, un feudo medievale nella Chicago dell’Ottocento

Lungi dall’essere considerato fino agli ultimi anni della sua esistenza una sorta di Ebenezer Scrooge della sua parte dell’Atlantico, in una versione drammaticamente realistica del Canto di Natale, il grande industriale, inventore e supremo capitalista George Pullman (1831-1897) ebbe la capacità di coltivare l’immagine di un magnate illuminato, attento al benessere dei propri dipendenti all’interno delle sue molte iniziative utili al miglioramento della loro vita. Giungendo persino a far costruire per loro una ragionevole approssimazione dell’Eden, la città “perfetta” situata nella parte meridionale di Chicago, in cui l’esistenza trascorreva in superficie priva di problemi sociali, senza distrazioni, alcol e gioco d’azzardo. Tra gli edifici progettati in base ai crismi di un’estetica gradevole e pittoresca, fino al culmine della suprema sede della Compagnia, con la sua svettante fabbrica dotata di una fiabesca e stranamente superflua torre dell’orologio. Che qualcuno potrebbe riconoscere dal film animato di Robert Zemeckis del 2004, Polar Express, giungendo al punto di essere riutilizzata come elemento caratterizzante della sede operativa di Babbo Natale. Una scelta presa in forza dell’associazione imprescindibile tra questo luogo con le ferrovie, data l’importanza di una forza lavoro giovane ed esperta nella costruzione delle eponime carrozze Pullman, vagoni dotati di ogni comfort per il pubblico crescente dei commessi viaggiatori, una categoria sociale in forte crescita sul finire del XIX secolo. Di sicuro più costose della concorrenza ma anche standardizzate e facilmente intercambiabili, con grande semplificazione logistica per compagnie ferroviarie. Un prodotto dallo straordinario successo, dunque, sufficiente all’accumulo di un capitale tale da permettere al suo padrone ed esclusivo detentore dei diritti, nel 1880, di acquistare un terreno di 4.000 acri in prossimità del lago Calumet sui confini della sua città d’adozione, dove aveva fatto fortuna in precedenza importando un particolare sistema di spostamento con martinetti idraulici degli edifici, impiegato all’epoca della costruzione del canale Erie a New York. Così che assunto a tal fine l’architetto Solon Spencer Beman, già famoso per aver contribuito al revivalismo gotico di quel secolo e la costruzione del Campidoglio del Connecticut, iniziò la realizzazione del suo ultimo e più ambizioso sogno: un luogo che potesse dirsi il culmine e la suprema realizzazione della sua visione del mondo. L’ultimo in ordine di tempo e forse il più famoso esempio del concetto di città aziendale, un agglomerato urbano attentamente pianificato per permettere al personale di una particolare attività del mondo industrializzato di vivere a ridosso del proprio luogo di lavoro, il distretto Pullman avrebbe mantenuto per diversi anni un’immagine di straordinaria serenità apparente. Con reiterati articoli di giornali e trattazioni a più livelli della straordinaria qualità delle sue residenze, universalmente dotate di amenità piuttosto avveniristiche per l’epoca, quali acqua corrente ed elettricità, tanto da essere già diventato una letterale attrazione turistica durante l’Esposizione Mondiale tenutasi a partire dal maggio del 1893. Ma era già dai primi mesi di quell’anno che le cose avevano preso una piega inaspettata, rivelando la cupa realtà dei fatti dietro la facciata d’apparente perfezione, ovvero lo spietato volto nascosto e le sinistre conseguenze di di una casa così falsamente attraente…

Lo stile impiegato da Beman per il villaggio Pullman viene in genere definito come eclettismo pittoresco, con diversi riferimenti alla storia dell’architettura americana ed una particolare attenzione per i dettagli. Soltanto nel 1894, successivamente al fallimento del sistema istituito dal suo creatore, la città di Chicago avrebbe decretato come tali qualità esteriori non dovessero riflettersi nel costo dell’affitto, in quanto poco significative per gli occupanti.

La configurazione ideale del villaggio Pullman era dunque simile ad un’utopia, da cui il suo proprietario si era prevedibilmente preoccupato di escludere gli appartenenti all’etnia afroamericana. Luogo straordinariamente pulito, soprattutto rispetto agli standard della sua epoca, esso possedeva una chiesa, un centro commerciale ed un hotel, pensato per dimostrare al mondo le straordinarie qualità del suo sistema. Tale edificio, dallo stile gotico vagamente riconducibile al Bates Motel nonché denominato con l’appellativo della figlia Florence del grand’uomo al centro di tutto questo, era tra l’altro l’unico luogo dotato di un bar cui era permesso di servire alcolici, risultando rigorosamente vietato ai dipendenti della compagnia. A cui era rigorosamente vietato possedere alcuna delle proprie residenze, dovendo continuare a pagare l’affitto al proprietario per l’intero corso della propria esistenza. Essi venivano inoltre valutati in base al rendimento e le qualifiche, riservando l’accesso alle case più pregevoli soltanto a chi era maggiormente qualificato sulla base di opache graduatorie aziendali. Così venendo costantemente sottoposti ad ispezioni e controlli, oltre ad essere profondamente incoraggiati a partecipare a pubblici eventi di aggregazione, tra cui messe, pranzi sociali e vari eventi sotto la supervisione di speciali incaricati di quella che talvolta tendeva ad assumere l’aspetto di una vera ed anacronistica baronia. Ciononostante, la quotidianità di questo luogo proseguì senza particolari ribellioni per quasi 15 anni in condizioni relativamente stabili, poiché i bisogni basilari delle famiglie erano ragionevolmente garantiti, tramite la percezione di uno stipendio ed il pagamento di un affitto adeguati.
In una data generalmente collocata a ridosso dell’inaugurazione della presidenza di Grover Cleveland, nel febbraio del 1893, una bolla degli investimenti su scala internazionale raggiunse tuttavia l’attimo finale della sua rivelazione. Con il crollo drastico del prezzo del grano, dovuto in parte alla difficile situazione politica in Argentina, il valore delle azioni crollò drasticamente, mentre il Congresso tentava disperatamente di bloccare il prezzo dell’argento. Ma la situazione era ormai degenerata e gli agenti di cambio delle borse, soprattutto negli Stati Uniti, furono colti da quel panico collettivo che dà il nome all’episodio storico, appesantendo ulteriormente la portata della crisi. Con un fallimento a catena di 15.000 aziende e 500 banche entro un periodo di pochi anni, era praticamente finita in modo disastroso la cosiddetta Gilded Age, età dell’oro che aveva condotto al predominio economico incontrastato da diverse decadi della nazione statunitense. Tanto che il ragionevole George Pullman, come la stragrande maggioranza degli altri capi d’azienda dei suoi tempi, non poté far altro che abbassare gli stipendi dei suoi dipendenti di una quantità pari a circa il 20% del totale, il che sarebbe stato anche potenzialmente accettabile in quella particolare contingenza, se non per un piccolo e terribile “dettaglio”: l’aver lasciato immutati gli affitti che dovevano al tempo stesso pagargli, in qualità di singolo proprietario di ogni singola abitazione in cui avevano la propria residenza. Il che portò alla situazione paradossale, di molte migliaia di operai che si trovarono a percepire 7 dollari e 7 centesimi di stipendio mensile, di cui la maggior parte veniva “legittimamente” detratta pare pagare l’affitto. Lasciandogli soltanto i 7 centesimi per provvedere alla propria famiglia. Nel distretto Pullman c’erano padri di fino a 9 figli…

Lo sciopero Pullman viene considerato un punto di svolta nella storia dei diritti dei lavoratori statunitensi, benché non sia riuscito ad ottenere alcuna riduzione degli affitti o aumento degli stipendi. Bensì l’unica concessione relativamente significativa, concretizzatosi diversi anni dopo, d’istituire come giorno di vacanza il Labour Day (4 settembre).

L’imprescindibile e tremenda ribellione ci mise del tempo a concretizzarsi ma quando lo fece, ebbe proporzioni letteralmente prive di precedenti. Il cosiddetto sciopero Pullman, messo in atto in due fasi a partire dal 1894, ebbe tutto il supporto del Sindacato Ferroviario Americano (ARU) e il beneficio dell’attenta pianificazione di Eugene V. Debs, rinomato socialista e futuro candidato per cinque inconcludenti volte (dopo aver trascorso sei mesi in prigione) alla carica di presidente degli Stati Uniti. Una figura estremamente attenta e ragionevole, che tuttavia non riuscì a prevedere l’impressionante portata di quanto stava per accadere: circa 250.000 lavoratori in 27 stati, avendo istituito un boicottaggio su scala continentale delle ormai onnipresenti carrozze Pullman, paralizzarono l’intero sistema ferroviario nordamericano entro la primavera di quell’anno, mentre gli asset della compagnia venivano sistematicamente demoliti, giungendo a una perdita di capitale stimata attorno agli 80 milioni di dollari. Ma cosa ancor peggiore, in quanto riconducibile ad un crimine federale, le poste nazionali cessarono di funzionare, offrendo un pretesto al presidente Cleveland per far intervenire le forze armate. Furono perciò inviati 12.000 soldati nei punti chiave dello sciopero, portando ad una dura e formidabile repressione, il cui costo fu dolorosamente significativo: 27 persone persero la vita, mentre ulteriori 57 furono ferite (ma la cifra reale fu probabilmente molto più elevata) il che bastò, in un certo senso, a ristabilire la pace.
Considerato a suo tempo come un fallimento procedurale, poiché non portò ad alcun tipo di concessione pratica ai suoi esecutori, lo sciopero Pullman fu tuttavia il segno di un cambiamento profondo nella qualità della sua epoca, istituendo un senso di ragionevole paura nei confronti delle conseguenze dell’avidità individuale e le ultime, inevitabili conseguenze di un comportamento dei potenti privo di regolamenti o limiti morali. Fortunatamente nel 1897, dopo la morte del supremo George Pullman, la città di Chicago decretò che il mantenimento dello status quo vigente non era più possibile. E le case del suo villaggio vennero messe forzatamente in vendita, offrendo il diritto di prelazione ai loro attuali abitanti. Entro una decina d’anni, il villaggio “ideale” era diventato semplicemente un altro distretto della città di Chicago, pur avendo mantenuto la sua estetica particolare ed interessante.
I familiari del suo creatore, nel frattempo, dovettero prendere una scelta complicata. Nel seppellire lo stimato creatore della propria fortuna, disposero che una tomba fosse scavata a molti metri di profondità sotto il cimitero di Graceland, venendo ricoperta da uno spesso strato di cemento. L’intera struttura sotterranea sotto una magnifica colonna, inoltre, venne incapsulata in una gabbia d’acciaio, nel legittimo timore che gli ex dipendenti della compagnia, per vendetta, potessero profanare i suoi resti mortali. Forse il più evidente ed innegabile dei paradossi, utile a chiarire la posizione critica dei grandi detentori del potere commerciale al culmine dell’Era Moderna.

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