88, il numero che vola tra le fronde della giungla sudamericana

La prova che la matematica non è soltanto un metodo finalizzato a incapsulare, ridurre e in qualche modo contenere la natura: in molti hanno trascorso la migliore parte della propria vita, tentando faticosamente di trovarla. I filosofi del Mondo Antico, primi a interrogarsi sulla forma materiale dell’universo. Gli studiosi dei fenomeni e gli artisti del Rinascimento. I primi utilizzatori del metodo scientifico, emersi da quel calderone d’idee e di tecniche ai princìpi dell’era moderna, che oggi siamo soliti chiamare Illuminismo. Laddove appare estremamente chiaro, per chi ha soltanto voglia di studiare il senso critico alla base della scienza, che se soltanto sparissero dal mondo i numeri con tutte quelle cifre, ciò non basterebbe a rendere impossibile un approccio logico allo studio delle cause e delle conseguenze; mediante l’attribuzione, successivamente effettuata, di un valore agli elementi di questa terra. 1, 2, 4, 6, 8, come le zampe di ciascun insieme di esseri viventi. 3, 5, 7, 9 etc, Il numero di vertici previsti nei cristalli provenienti dalla solidificazione di diversi tipi di sostanze. E al di sopra, così via a seguire: le volute di una singola spirale. Il numero di rami di un arbusto e le diramazioni di un intero fiume, i picchi che costituiscono la cima delle montagne. Le armonie del canto del passero solitario, tendenti all’infinito. Mentre per quanto riguarda quantità specifiche, ma relativamente meno elevate… Ecco, vi basterà abbassare il tenore delle vostre aspettative. Diciamo, insomma, che i vostri risultati possono sembrare un’approssimazione! Perché come tutte le strade portano a Roma, alcune operazioni sembreranno dare sempre lo stesso, identico risultato…
Ad esempio attribuiamo un numero arbitrario al nostro vecchio amico, il bruco verde come la sua foglia: 1. E sommiamo ad esso il succedersi del ritmo di un intero ciclo stagionale, ovvero 4, per giungere al numero delle nostre dita. Quindi dividiamolo per il numero di ali, elevato alle diramazioni tipiche di un gran paio di corna d’ungulato (cervo di campagna, cervo di montagna, fate un po’ voi). Una ricetta estremamente chiara, vero? Il cui totale sarà sempre 88, 89 o 90: apoteosi. E per chi non fosse pronto a crederci, basterà guardare in alto. Tra i raggi del Sole che filtrano oltre il tetto di quei rami, ove un tale Risultato ancora fluttua e vola, insinuandosi visivamente al centro esatto del nostro ragionamento. Guarda: è Diaethria, la farfalla della tribù Callicorini, particolarmente comune negli ambienti umidi del Sudamerica, ma non del tutto ignota anche in Messico e talvolta, fino in Texas, dove si spinge nel corso delle proprie esplorazioni migratorie senza un obiettivo estremamente preciso. Tranne di trovare, grazie all’uso dei suoi occhi sfaccettati, l’equivalente numero che incorpora il destino della propria stessa esistenza: chiaro segno, più di ogni altro, della compagna con cui mettersi a produrre la nuova generazioni d’uova, da attaccare sulla foglia della pianta ospite, affinché il mondo possa conoscere di nuovo il senso estetico della sua specie. E di che senso facile da fraintendere, quale eccezionale dualismo funzionale siamo qui a parlare: non molti ricordano, in effetti, quale sia il più importante tratto distintivo tra farfalle e falene. Non l’ora principale della loro attività (talvolta le prime si alzano in volo oltre il crepuscolo, e viceversa) né la quantità di colori presenti sulle loro ali (ci sono falene coloratissime) bensì il modo in cui si posano con le ali rispettivamente perpendicolari al suolo oppure parallele ad esso. Per mostrare, nel primo dei casi, lo speciale disegno nascosto al di sotto di una tanto funzionale simmetria!

Riuscire a riprendere una farfalla 88 durante i pochi secondi del suo riposo non è certo un risultato da poco. Ma riprendere il numero situato nella parte inferiore risulta essere ancor più difficile, visto il modo in cui esse preferiscono posarsi al livello del terreno stesso.

Un tratto notevole di riconoscimento ed identificazione delle volatrici appartenenti al genus Diaethria, di cui esiste una quantità stimata di oltre 70 specie, è in effetti la dissonanza estetica presente tra la loro parte inferiore, tanto matematicamente rilevante e quella superiore, per così dire, dedicata al mondo della geometria. Per l’armonia tendente al blu, viola ed azzurro a seconda dei casi, attraversata da una serie di linee contrastanti presumibilmente finalizzate a confondere i predatori. Mentre la sopra descritta fantasia di numeri si trova, di sua parte, sotto l’ombra che produce l’insetto (8-9 cm di larghezza) e compare all’improvviso, ogni qualvolta esso si posa a riposarsi, evento che tende ad avvenire nelle ore diurne solo in aree frequentate dai suoi simili, possibilmente dell’altro sesso. Contesti non propriamente attraenti, come pozze di fango, urina o feci (anche il sudore non dispiace) dove questi lepidotteri hanno l’abitudine di estrarre i sali minerali tramite l’impiego della propria proboscide retrattile, per i pochi giorni, o settimane, della propria frenetica esistenza adulta.
Evanescenti quanto una brezza primaverile, transitorie come il fiore di una pianta: le farfalle ci ricordano quanto sia breve il tempo a disposizione degli esseri viventi, per disporre i pezzi a loro disposizione sulla scacchiera immutabile dell’esistenza. Ovvero la splendente nonché sopra menzionata collezione di capsule appiccicose, ciascuna contenente un nascituro e connotata da una sorta di riconoscibile corona apicale, da attaccare sull’arbusto ospite, proprio malgrado. Dal momento della successiva schiusa, generalmente richiedente appena quattro o cinque giorni, il bruco dovrà quindi attraversare ben cinque fasi di crescita con conseguente muta, frutto della progressiva fagocitazione di materia vegetale. Un processo lungo quasi un mese, durante cui l’insetto si trova nel secondo periodo più vulnerabile della propria vita, pur non essendo del tutto privo di difese: potendo contare, in primo luogo, sulla più incredibile coppia di scoli (corna spinose) mai possedute da una larva delle proprie piccole dimensioni, simili all’incrocio tra un’antenna satellitare e i palchi del padre di Bambi in persona. Agitati con furia dall’insetto, ogni qualvolta percepisce l’ombra inquietante di un predatore; mentre per quanto riguarda nemici più piccoli, come formiche o altri artropodi predatori, il bruco delle Diaethria può contare sulla tecnica estremamente efficace della cosiddetta catena di escrementi: ovvero la costruzione di un susseguirsi delle proprie stesse deiezioni, attentamente fatte aderire l’una all’altra e mantenute attaccate alla parte posteriore del corpo, con l’altra estremità che viene fatta partire dal moncone della propria foglia parzialmente fagocitata. Affinché un simile ponte, così poco appetibile, possa dissuadere dall’avvicinarsi di ospiti indesiderati. Sarà quindi soltanto dopo il raggiungimento della quinta fase, che il bruco lascerà il luogo della nascita, spostandosi su una pianta vicina di una specie differente (ragion per cui la risultante crisalide viene raramente osservata in natura) per poi chiudersi in un bozzolo disposto orizzontalmente SOPRA la nuova foglia: una scelta certamente originale e per certi versi, strategicamente opinabile. Ma che ne sappiamo noi, di cosa passa per la mente di un bruco di farfalla 88, 89 o 90…

I bruchi, piccoli guerrieri dell’esistenza artropode, ciascuno armato di strumenti utili ad imporsi nel proprio ambiente. Poiché l’evoluzione ben sapeva che essi, purtroppo, non avrebbero potuto fare affidamento sull’intelligenza.

Dopo la schiusa della pupa sempre rigorosamente di colore verde, richiedente tra gli 8 e i 9 giorni, la metamorfosi sarà compiuta: eterno e reiterato miracolo studiato dalla scienza, attraverso cui l’insetto si riduce ad un ammasso cellulare informe, fino a ricostituirsi in un qualcosa di radicalmente diverso. E all’asciugarsi ed i dischiudersi di quelle ali, comparirà finalmente il senso innato di ciò che avrebbe potuto costituire forse, in circostanze differenti, il tipico esempio di ocello: un tipo di mimetismo finalizzato a ricordare lo sguardo attento di una creatura ben più grande in agguato, spaventando i potenziali aggressori. Ovvero se non si fosse trovato, per l’appunto, nella parte inferiore delle ali, servendo piuttosto come bersaglio per il partner in cerca d’accoppiamento. Una spiegazione possibile di tale apparente contraddizione in termini, dunque, potrebbe essere che al mondo esiste soltanto un certo numero di geni. Come quelli del WntA o Apterous A, identificato nel 2017 dal biologo Robert Reed e colleghi dell’Università Cornell di Ithaca Stati Uniti, e dimostrato, tramite l’applicazione del sistema di manipolazione genetica basato sull’interruzione delle sequenze del DNA CRISPR, essere l’elemento determinante nella costituzione di particolari pattern o disegni specifici nei lepidotteri. Al punto che la sua attestazione può essere evidente soltanto nella parte superiore, o inferiore, delle ali di una farfalla.
Sarebbe quindi tanto assurdo pensare che per una serie di particolari situazioni o frangenti, attraverso il lungo corso dell’evoluzione nell’ambiente mutevole della giungla sudamericana, la disposizione dei geni posseduti dalla farfalla 88, 89 e 90 abbia finito per invertire se stessa? Tutti sanno che alterando l’ordine degli addendi il risultato non cambia! É soltanto il nostro approccio matematico allo sfuggente senso dell’Esistenza, che può subire qualche sostanziale modifica di modus, locus e colore, sulla base del valore arbitrario attribuito ad X.

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