Sfogliando l’enciclopedia degli animali creata dal grande illustratore del XIX secolo Félix Édouard Guérin-Méneville, nonché presidente della Società Entomologica di Francia, si possono ammirare rappresentazioni eccezionalmente vivide di creature provenienti da ogni angolo del mondo, tra cui mammiferi, rettili, pesci, uccelli e naturalmente gli insetti, che furono sempre la sua passione. Al raggiungimento del capitolo sui lepidotteri, d’altronde, sarà particolarmente difficile non fermarsi ad ammirare una pagina particolarmente riuscita: piuttosto che una tavola condivisa tra più specie, mostrati a seconda dei casi mentre interagiscono all’interno di un ambiente naturale o isolate sulla pagina bianca, qui compare un’unica ed immensa figura. Le ali a forma di triangolo invertito, di un colore giallo ocra inframezzato da quattro grandi occhielli rossi. E in mezzo il dorso peloso della falena. Ma diversamente da quanto si potrebbe tendere a pensare, essa non finisce per occupare solamente la parte superiore dello spazio impaginato, sconfinando piuttosto fino in fondo al foglio, grazie alle propaggini sfumate di un vistoso paio di code. L’insetto, in altri termini, è vestito a festa. Una folle, epica, drammatica estasi della durata di cinque giorni.
Tutto aveva avuto inizio circa 25 giorni fa. Un’eternità, per la sua percezione soggettiva del tempo. Di un bruco grande, lungo e verde, nato da un piccolo uovo attaccato sotto la foglia del prugno africano. Anche detto l’albero della marula, alto e splendido, i cui fiori possono vantare due origini ben distinte. Una è quella tipica delle creature vegetali. L’altra, all’apice dell’estate tropicale, frutto di una convergenza di fattori particolarmente notevoli ed assai distintivi. Quelli che portano il suddetto essere a nutrirsi, giorno dopo giorno, aumentando progressivamente le sue dimensioni e abbandonando per ben quattro volte l’involucro esterno del suo corpo. Fino a poter giudicare, lietamente, di aver fatto abbastanza. E provvedere quindi a chiudersi all’interno di un involucro speciale. Méneville concesse tanto spazio nel suo libro a questo essere perché costituiva chiaramente la sua passione; essendo stato, tra tutte le figure scientifiche del suo ambiente parigino di provenienza, la prima ad interessarsi e favorire l’importazione del baco da seta. Lo stesso materiale prodotto, nella profondità delle giungle del Madagascar, dall’incredibile specie Argema mittrei, comunemente detta falena cometa per la lunghezza estremamente distintiva delle sue ali. E il piccolo dettaglio, certamente degno di essere annotato, dei 20 cm di apertura alare sufficienti a farne una delle tre o quattro specie più imponenti di questo pianeta. E senz’altro la più lunga (c’era bisogno di specificarlo?) mentre fluttua agevolmente nei pochi giorni che separano il raggiungimento dell’età adulta dall’imprescindibile dipartita, causa una totale incapacità di nutrirsi. Farfalle o falene come questa rappresentano in tal senso l’assoluta perfezione del principio che ricerca l’ideale realizzazione ultima, piuttosto che il prosaico senso della quotidiana sopravvivenza. Ovvero in altri termini, l’essenziale ed innegabile soddisfazione dell’amore. Quando finalmente questo alloggiamento per crisalidi, caratterizzato dalla presenza di un alto numero di fori (possibilmente finalizzati a far scorrere via l’acqua delle grandi piogge stagionali) al trascorrere di una ventina di giorni provvederà ad aprirsi. Lasciando scaturire, laboriosamente, la più chiara rappresentazione dell’indole artistica della natura.
Quale possa essere, a seguire, il destino della farfalla cometa africana è largamente determinato dal suo sesso di appartenenza. Laddove le sue femmine prive di alcun tipo di coda, oggettivamente inclini a rilassarsi, non faranno altro che restare immobili attaccate al bozzolo, sperando di non essere notate da un predatore. Il che risulta sorprendentemente praticabile, visto come l’immobilità possa contribuire a farle sembrare delle foglie o dei fiori. Mentre saranno i maschi, unicamente, a vivere il primo ed ultimo capitolo di una favolosa avventura…
Forse un valzer sincopato, piuttosto che un drammatico bolero. Magari addirittura celebri pezzi di musica classica, come una melodia scritta da Tchaikovsky, Mozart o Rachmaninov; qualunque sia la melodia scelta per accompagnare quel volo, non ci sono dubbi che la falena cometa maschio possa dire di riuscire a danzarlo con un innegabile senso stile. Quello di colui che svolazzando a media altezza nelle ore della sera, deve al tempo stesso percepire i feromoni tramite l’impiego delle proprie enormi antenne piumate. Mentre usa, nel contempo, gli occhi per trovare ed evitare i suoi pericolosi nemici. Pipistrelli che sorvegliano la notte, soprattutto, come avremmo potuto desumere dal nome alternativo di questo particolare segmento della vasta famiglia delle Saturniidae, comunemente detto delle falene (o farfalle) lunari. Ed è qui che entra in gioco, a quanto è stato determinato in una serie di studi del tutto indipendenti tra di loro (ad es. Barber 2014) la caratteristica maggiormente distintiva delle sue particolari strategie di sopravvivenza: quel paio di code che, lungi dal divergere diagonalmente come avviene nelle raffigurazioni grafiche o gli esemplari preservati all’interno di una teca, in vita si agitano nel vento, inseguendo con moto oscillatorio il corpo principale della farfalla. Il che produce, a quanto è stato determinato, particolari oscillazioni nell’aria capaci di confondere l’ecolocazione dei chirotteri, rendendo particolarmente difficile determinare la posizione della falena al buio. Ed anche nel caso in cui al predatore riesca di catturarla, tali code riservano un ulteriore opportunità di fuga: quella che si manifesta nel momento in cui quest’ultimo agguanti, auspicabilmente, tale parte non vitale del corpo, progettata dall’evoluzione proprio al fine di staccarsi, permettendo al lepidottero di procedere nella sua ricerca.
Di particolare interesse dal punto di vista scientifico, come esemplificato in uno studio del 2018 (Shi, Tsai et al.) risulta inoltre essere la particolare composizione chimica del bozzolo precedentemente menzionato, da cui l’esemplare adulto emerge a seguito del processo di metamorfosi condotto all’interno. Caratterizzato, a quanto viene entusiasticamente narrato, da una microstruttura a nanofibre che permettono all’ossigeno di passare, riflettendo nel contempo il 66% delle radiazioni solari. Un materiale in altri termini capace di rappresentare il perfetto approccio al raffreddamento, anche in contesti estremamente complessi come l’ambito di produzione d’energia nucleare. Ciò benché nessuno, allo stato attuale dei fatti, possa dire di aver concepito un modo per far produrre abbastanza seta a queste falene, da poter coprire totalmente il nocciolo di un reattore, anche perché questi bruchi, diversamente dal baco da seta cinese del gelso (Bombyx mori) risultano estremamente difficili da allevare in cattività, richiedendo inoltre fonti di cibo assai particolari. Ovvero foglie provenienti, oltre al già citato albero Sclerocarya birrea (marula o prugno africano) preferibilmente da specie vegetali altamente caratteristiche come la Weinmania eriocampa, l’Eugenia cuneifolia o alcuni arbusti della famiglia dei fillocanti appartenenti al genere Uapaca. Il che non ha impedito, e continua purtroppo a non impedire, un fiorente mercato internazionale non sempre responsabile finalizzato alla cattura e compravendita di queste creature, un fattore problematico data la loro rarità crescente in modo esponenziale con il progressivo ridursi del loro habitat di provenienza, del resto completamente endemico alla sola isola del Madagascar. Una questione non completamente risolta dall’apparente capacità di proliferazione dell’insetto, capace di deporre fino a 150-170 uova per singolo evento riproduttivo, proprio perché molte di essere finiranno per essere fagocitate dalla voracissima biosfera degli insetti arboricoli africani, tra cui diverse varietà di ragni e formiche del fuoco. Si tratta di un ambiente, in altri termini, in costante e irrimediabile conflitto rispetto se stesso, in cui gli stessi esseri umani non aiutano affatto. Ed all’interno del quale soltanto i più fortunati, o abili, potranno aspirare alla realizzazione del proprio destino.
Scenografiche ed appariscenti, non sempre preoccupate di rappresentare in scala la realtà, le tavole naturalistiche prodotte prima del Novecento rappresentano una finestra minuziosamente dettagliata non soltanto nei confronti degli animali propriamente detti, ma utile a comprendere la stessa maniera in cui venivano concepiti da coloro che riuscivano per primi ad ammirarne le caratteristiche maggiormente notevoli ed affascinanti.
Perciò non è del tutto chiaro, in ultima analisi, come Félix Édouard Guérin-Méneville, le cui biografie reperibili online mancano tra l’altro di menzionare grandi viaggi verso le terre meridionali, possa esser stato il primo ad aver descritto scientificamente, nonché raffigurato, una falena memorabile come l’ineccepibile astro malgascio. Possibile che un baco da seta fra tanti altri, ragionevolmente indistinguibile dai propri simili al momento della consegna per nave, abbia finito per trasformarsi inaspettatamente in questa meraviglia all’interno dei suoi terrari? Difficile immaginare, a tal proposito, un senso di trionfo superiore a quel momento d’immediata e inconcepibile scoperta. Paragonabile all’acquisizione dei diritti di scavo archeologici, all’interno del primo cratere scavato da minatori umani… Sulla luna Encelado di Saturno.