Lo sguardo dello strano cane che costituisce un incontro tra Oriente ed Occidente

La storia di Internet è costellata di bizzarre creature che sono spesso il frutto incondizionato dei processi evolutivi della natura: pesci, uccelli, insetti e predatori tropicali. Ma permane un posto d’onore, mantenuto in serbo per coloro che derivano da quell’attento processo di allevamento e selezione, lungo almeno quanto la storia dell’uomo. Quello che ha prodotto la stragrande maggioranza dei nostri migliori amici dotati di quattro zampe ed una coda. Se vogliamo generalizzare… Personaggi degni di un cartone animato e qualche volta la fedele rappresentazione di uno standard, come nel caso della Shiba Inu lievemente sovrappeso Kabose, diventata celebre col nome semi-leggendario di Doge, certe altri connotati da tratti genetici inusuali, vedi quel nanismo felino alle origini della famosa espressione del terribile Grumpy Cat. Vere e proprie macro memetiche capaci di varcare agilmente i confini virtuali dei paesi, salvo rari casi che rimangono all’interno di specifici recinti culturali, giungendo a rappresentare l’ideale personificazione di una serie di pregi estetici e le preferenze dei remoti popoli armati dei nostri stessi computer e cellulari. Vedi casualmente il Vietnam, e identifica nel mezzo dei cinofili la sagoma dell’ultra-celebre Dúi, il cui nome significa nello specifico “ratto del bambù” (roditore della famiglia degli spalacidi) ma che a parte il colore, non riesce a ricordarlo particolarmente da vicino. Appartenendo piuttosto almeno in parte ad una razza canina ben precisa, quella identificata nel suo paese di provenienza con il nome del popolo che ne fece il più largo utilizzo: gli H’mong o per usare la più celebre definizione in lingua cinese, una diramazione di quell’etnia dei Miáo che in molti ben conoscono per gli straordinari copricapi ed acconciature indossati dalle donne durante le celebrazioni mondane o religiose, nonché le variopinte vesti create con la tecnica del batik. E che in pochi sapevano possedere all’estero, tra i loro parecchi tesori culturali, anche la fedele presenza di queste creature dalle molte qualità innate, vedi soprattutto una formidabile e ben nota capacità di orientamento all’interno delle giungle dell’Asia centro-meridionale, tale da costituire una vera e propria bussola animale nonché esperto cacciatore e guardiano del villaggio. Tutto questo e molto altro, sebbene la simpatica creatura in questione, come dato ad intendere poco sopra e nel titolo della presente trattazione, sia tutt’altro che un rappresentante tipico di tale genìa animale; costituendo piuttosto, il piccolo Dúi, una curiosa congiuntura genetica tra tratti nettamente divergenti inclusi quelli che i suoi proprietari Hai Anh e Tuan, con residenza presso la regione storica del nord del paese di Ha Giang, non esitano ad attribuire al padre, un non meglio definito cane dal nome riportato di Dingo. La cui razza d’appartenenza non viene indicata da nessuna parte ma personalmente, elaborando ipotesi sulla base delle semplici evidenze, non esiterei eccessivamente a ricondurre all’antica e nobile genìa dei corgi del Pembrokeshire, contea del Galles inglese. Fedeli compagni della regina, così come il nostro amico in breve tempo di gran lunga più piccola di un H’mong di razza pura si è saputo confermare, sui forum e gruppi di tutta l’Asia, come l’adorabile fenomeno amato da grandi e piccini, in maniera analoga con quanto successo ai precedenti possessori di un tale titolo di tipo innegabile quanto informale.
Mostrato in un’ampia serie di circostanze, mentre gioca con altri rappresentanti della specie Canis lupus molto amati dai suoi padroni (o almeno questo è ciò che sembra) il piccolo Dúi si trasforma in questo modo nell’opportunità per notare come tutto il mondo possa essere paese, almeno per quanto concerne l’affetto interpspecie tra l’uomo e il suo più tipico compagno, contrariamente ad alcuni stereotipi sull’Asia largamente diffusi ai nostri giorni. Il che del resto è anche l’opportunità per fare un breve viaggio tra la storia, caratteristiche e doti di questa razza niente meno che notevole, anche trasferita al di fuori del suo originale contesto di appartenenza…

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Si è spiaggiato il pesce tondo, che incarnava la tiepidità del mondo

Si trattava di risolvere un problema, in effetti. Quello di attribuire un nome alla creatura misteriosa trovata improvvisamente sulla spiaggia di Sunset in Oregon alle 8:00 di mattina, della lunghezza di oltre un metro e il peso approssimativo pari a 45 Kg. Pesce discoidale vagamente simile alle tipiche creature ornamentali di un acquario (i.e, abitanti originari di barriere coralline distanti) ma con proporzioni alternativamente descritte come pari a “una ruota di camion” oppure nel caso specifico e secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, “un bambino di quattro anni”. Strano termine di paragone, davvero, quando si considera l’assenza di gambe, braccia, testa o altre parti antropomorfe, in questo essere dal corpo compatto e invero stranamente denso, la cui morfologia parrebbe distinguersi da quella del suo gruppo tassonomico dei lampriformi, contenente anche i sinuosi lofotidi, l’impressionante regalecide (il “re delle aringhe”) ed il trachipteride o “pesce nastro”. Tutte creature dall’aspetto lungo e serpeggiante, laddove questa malcapitata vittima delle maree riesce a guadagnarsi a pieno titolo l’appellativo di pesce luna o pesce sole, astri esteriormente personificati dalla forma ed il colore vagamente scintillante, concesso dall’iridescente patina di guanina che ricopre le sue scaglie. Un semplice ricorso all’enciclopedia di casa, dunque, avrebbe anche potuto risultare insufficiente, se non fosse stato per il coinvolgimento da parte dei visitatori della spiaggia del vicino Seaside Aquarium e i biologi che vi lavorano all’interno, i quali dopo un breve consulto hanno levato tutti assieme quell’esclamazione compiaciuta, trascrivibile con l’onomatopea che segue: “Opah!”. Opah fish, ovvero il tipico rappresentante del genere Lampris.
Vita strana, imprevedibile e talvolta piena di sorprese. Come quella di trovare a queste latitudini una creatura giudicata dalla scienza non tanto rara, quanto particolarmente inaccessibile date le abitudini per lo più pelagiche e la tendenza a vivere a profondità di 50-500 metri, non propriamente raggiungibili da sub dotati di strumentazione convenzionale. Né fatta ad oggi risultante il soggetto, causa le pregresse scelte di carriera, di studi scientifici particolarmente approfonditi da parte di chicchessia, anche a causa della sua scarsa rilevanza economica, dovuta soltanto all’infrequente cattura accidentale nelle reti dei tonni. Ed è in effetti particolarmente triste, risultando al tempo stesso indicativo, come l’assoluta totalità delle foto e video riguardanti questa notevole bestia marina la mostrino soltanto successivamente alla sua dipartita, per casi accidentali oppure la cattura e trasporto fino a riva, prima di procedere a precisa sfilettatura e preparazione al tavolo da pranzo, visto come nessun tipo di norma ecologica sia stata ancora promulgata, per la protezione di questa creatura la cui popolazione si ritiene essere tutt’ora in buono stato (ipotesi… Puramente speculativa, a dire il vero). E soprattutto a causa del sapore sfortunatamente appetitoso che possiede, descritto come pari a quello del più gustoso pesce spada, in un formato spesso e particolarmente adatto alla preparazione di piatti dall’alto grado di sofisticazione. Il che lascia, a tutti coloro che fossero direttamente interessati alla natura di questo appariscente nuotatore degli abissi, appena una manciata di nozioni di seconda mano, ed almeno un’approfondita trattazione di quella che risulta la sua singola caratteristica più insolita, ed interessante…

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Molto prima della fibra di carbonio: il singolare caso della macchina intrecciata con il vimini o rattan

Un interessante e piccolo veicolo si trova ormai da qualche tempo immobile tra le auree sale del museo dell’automobilismo di Gostyń, nell’omonimo distretto all’interno del Grande Voivodato della Polonia. Con la tipica carrozzeria a forma di sigaro delle vecchie automobili da corsa, ruote non troppo più grandi di quelle di una bicicletta e l’improbabile faro simile all’occhio singolo di Polifemo, esso rivela infatti tutto il suo reale fascino soltanto quando ci si riesce ad avvicinare a pochi metri di distanza. Poiché è allora che si riesce a comprendere la maniera in cui tale forma ragionevolmente familiare si trova realizzata, proprio come un mezzo di trasporto del cartoon dei Flintstones, con un tipo di sostanza particolarmente fuori dal contesto: la stessa che avremmo normalmente immaginato saldamente stretta tra le mani di un raccoglitore agricolo, mentre si occupa di far cadere giù le mele dagli alberi, mentre percorre in modo sistematico il suo frutteto!
Tra i più antichi approcci civilizzati alla creazione di manufatti, la realizzazione di cestini o recipienti costruiti di legno intrecciato alias “vimini” trova attestazioni fin dall’epoca dell’antico Egitto, avendo costituito attraverso i secoli la reiterata conferma dell’ingegno di chi sa come riuscire a mettere a frutto le cose naturali. Ingegnoso materiale, economico, versatile, capace di costituire un caposaldo per l’intero estendersi del mondo antico (oggetti di quel tipo furono trovati, perfettamente intatti, in mezzo alle rovine cristallizzate della città di Pompei) esso raggiunse forse il suo più inaspettato utilizzo nella creazione dei caratteristici scudi usati dall’impero Achemenide, capaci di arrestare più d’un colpo vibrato di taglio da parte delle affilate lame costruite in Occidente. Verso l’affermazione di quel tipo di solidità che sarebbe stato in grado di portarlo di nuovo al centro del palcoscenico della storia verso l’inizio del XIX secolo, quando l’Inghilterra Vittoriana diventò il più celebre importatore dei fini rametti o simili viticci, abilmente utilizzati al fine di costituire un’ampia varietà di mobili a partire dalle foglie di palma usate come zavorra delle navi di ritorno dall’Asia, tra cui sedie, letti e tavoli di considerevole pregio. Ma il paese maggiormente destinato, nell’intero secolo successivo, a trovarsi maggiormente caratterizzato da una simile corrente manifatturiera sarebbe stato proprio la Polonia, soprattutto nella regione dell’entroterra nei dintorni di Rudnik-on-San, dove grazie all’intraprendenza del conte austriaco Ferdinand Hompesch, un gruppo di persone fu inviato a Vienna attorno al 1870, con l’esplicita missione d’imparare ogni segreto possibile nell’intreccio di tali fibre, dando l’inizio a una fiorente industria capace di fornire l’impiego a circa 10.000 persone tra la prima e la seconda guerra mondiale. Tanto che ancora oggi, il numero pro-capite d’industrie nazionali dedicate a questo specifico tipo di produzione risulta di gran lunga il maggiore d’Europa, ed uno dei più significativi al mondo. Ciò detto, persino in questi luoghi, soluzioni come queste sono sempre sembrate notevolmente rare; dopo tutto, chi potrebbe immaginare, in linea di principio, un materiale più inadatto alla creazione di un’automobile di tipo convenzionale? Relativamente fragile in caso d’urti, resistente alle intemperie ma soltanto entro determinati parametri e soprattutto, drammaticamente infiammabile nel caso in cui qualcosa dovesse andare per il verso sbagliato, il vimini risulta sotto numerosi punti di vista sensibilmente inferiore anche al più mondano approccio metallurgico degli albori. Fatta eccezione per un aspetto specifico: il peso. Ed il contesto prototipico che ne consegue: ogni declinazione di un qualsiasi sport motoristico in cui contino il ritmo, l’accelerazione e la guidabilità in curva. Soprattutto nel caso di vetture come questa, non molto più lunga di 2,7 metri e dotata di appena 10 cavalli di potenza, per cui ogni Kg risparmiato poteva essere immediatamente tradotto nei chilometri raggiungibili entro il termine di una singola ora. Per la prevedibile intuizione di un originale costruttore ignoto ad Internet, sebbene la didascalia fornita dal museo non mostri alcun dubbio nell’affermare che si tratti di una fedele ricostruzione di una macchina effettivamente costruita ai tempi, con la probabile finalità di partecipare a una o più gare sul territorio europeo. Così come già fatto in precedenza dalla piattaforma di partenza di un simile bolide elaborato, la Hanomag 2/10 PS dell’omonimo produttore tedesco (sede presso la città di Hannover) che aveva costituito, a partire dal 1925 della sua introduzione commerciale, la prima auto nazionalpopolare del Centro Europa. Ovvero in altri termini, l’approssimazione locale dell’avveniristica Ford Model T statunitense, il cui ruolo sociale poteva essere riassunto nell’accattivante slogan commerciale “Un chilo di lamiera, un chilo di vernice. E l’Hanomag è pronta a partire…”

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La maledizione del mammut nel misterioso triangolo lacustre nordamericano

“Ciò che è iscritto nella pietra, in essa resta intrappolato. Lo spirito dell’animale non potrà tornare a vendicarsi.” Questo disse il capo della battuta di caccia, mentre impugnando lo scalpello con punta intercambiabile di selce, guardò con occhio critico la sua creazione, quindi nuovamente l’ingombrante carcassa, che già i cacciatori stavano suddividendo in pezzi maggiormente trasportabili, verso l’affamato accampamento di Gerenesee. Davvero inaspettato, che si debba essere giunti a tanto. E certamente un pessimo comportamento, dinnanzi al totemico giudizio degli Dei anziani. “Pinga, grande cacciatrice; Sedna, signore dell’Oltretomba; Torngasoak del cielo ed Igaluk della Luna. Ascoltate la mia preghiera.” E qui, con una pausa di sicuro effetto, l’uomo infisse la sua lancia nella terra friabile della grande valle di Missaurakee. Loro ben sapevano, o così sperava, come le genti di Michigan non uccidessero di solito la Grande Proboscide del Settentrione. Ma più che altro l’agile animale dalle corna simili ad un ramo arboricolo, che un giorno ancora assai lontano l’uomo avrebbe scelto di chiamare caribù. “Poiché… La stagione è stata difficile.” Continuò “Il clima, infausto. Oggi doveva concludersi l’ultima grande corsa, prima del calare e del ghiaccio senza limiti diurni. E se fossimo tornati senza provviste, molti dei membri più giovani ed anziani della tribù vi avrebbero raggiunto nella vostra grande sapienza.” Apparentemente soddisfatto, il condottiero della battuta impugnò nuovamente la sua arma. Con un gesto semplice, la tirò fuori dal terreno per volgere lo sguardo ai suoi sottoposti. Ciascun cacciatore mostrava un grado differente di rammarico, sebbene tutti, tra coloro che non erano impegnati nello smembramento, mostrassero anche un’espressione ragionevolmente determinata. E fu allora che all’altro capo della valle, sembrò risuonare un barrito distante…
“C-capitano, cos’è stato questo suono?” Il giovane mozzo Adams si rivolse all’uomo che si trovava al timone, nel compatto trasporto di legname di ritorno verso la segheria di Hackey-Hume nel territorio di Muskegon. Animali senza nome in terre oltre la fitta nebbia, isole del tutto impossibili lungo quello specifico tratto di mare. Poiché tale non era in fin dei conti, bensì l’acqua familiare di un profondo e tanto spesso, gelido lago. “A dire il vero ragazzo mio, sembrava proprio un elefante.” Rispose l’unico ufficiale a bordo, se così si poteva chiamare, da sotto la folta barba bianca ed il cappello indicativo del suo ruolo. Era il 21 maggio del 1891, una data destinata a rimanere iscritta nella storia… Come l’inizio di una lunga e articolata serie di tragedie. Destinata a culminare, esattamente 59 anni dopo, nella scomparsa di un intero aereo passeggeri con più di 80 persone a bordo. In un particolare tratto di quel Grande Lago, capace di disegnare la forma riconoscibile di un triangolo, tra i vertici topografici di Manitowoc in Wisconsin, verso est a Ludington ed infine nella punta sud di Benton Harbor, entrambi entro i confini dello stato del Michigan. Tutto questo era naturalmente inimmaginabile per i sette marinai della Thomas Hume, che in quel giorno predestinato sarebbero stati inghiottiti dalle acque del lago senza lasciare nessun tipo di traccia, assieme al loro intero vascello. Per una motivazione, ed a causa di una serie d’eventi, che avrebbe lasciato molto a lungo perplessi anche i maggiori esperti sull’argomento.
E i misteri, si sa, tendono a generare mostri. Particolarmente nei frangenti in cui possono trovarsi associati a situazioni archeologiche tutt’altro che chiare, causa il ritrovamento di un qualcosa che nessuno, tra i viventi, può riuscire realmente ad associare a fatti precedentemente noti. Il fatto è che a seguire quel primo disastro marittimo, ce ne sarebbero stati molti altri: il lussuoso battello a vapore Lady Elgin, nel 1860, che finì per naufragare dopo l’urto contro un’imbarcazione più piccola costando la vita di 300 persone. La Rouse-Simmons, che trasportava alberi di Natale verso Chicago nel 1912, di nuovo scomparsa senza lasciare traccia e per cause del tutto incerte. La Carl D. Banks, che si spezzò a metà nel 1958. Tutti relitti destinati ad essere molti anni dopo ritrovati, diventando a loro modo tristemente famosi e portando all’istituzione informale di una sorta di macabro turismo con le bombole e gli occhiali da immersione, a sua volta conduttivo verso il prelievo diretto di una lunga e inappropriata serie di “souvenir”…

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