Se “orecchie d’asino” ti sembra un complimento, il tuo totem potrebbe essere un Pega

Umile, mondano, accessibile, privo di caratteristiche inerentemente competitive. Eppure quando un predatore riesce a penetrare le barriere della fattoria, capre, cavalli e cavoli non hanno esitazioni: radunano le proprie forme attorno al burro, cercando in quegli zoccoli potenti l’ultima linea di protezione. Come un cane ma più grande, simile a un’oca per la voce roboante, scaltro quando serve nonché dotato della valida combinazione di spontaneità ed acume, l’asino è un sinonimo di molte cose. Soltanto non è “nobile” per quanto concerne i preconcetti frutto del rigido sguardo umano, essendo tale titolo generalmente riservato al suo fratello equino, usato come mezzo di trasporto affine a dame e cavalieri prima dell’odierna epoca vigente. Quando l’uso dei motori ha sovrascritto tutto quello che riguarda selle, zoccoli e le pertinenze relative agli stallaggi, inclusa l’ideale gerarchia esistente tra i diversi ceppi di queste creature. Che vedevano il fedele amico dell’agricoltore suddiviso in gerarchie altrettanto cadenzate negli spazi delle percezioni acquisite. Con determinate specie più preziose di altre, ed alcune, in modo particolare, degne di essere associate a investimenti relativamente significativi. Soprattutto all’epoca delle Colonie, nelle più remote regioni del Nuovo Mondo.
Esistono effettivamente, in base alla tassonomia creata da Linneo in persona, due principali discendenze d’asino tradizionalmente addomesticate dalla società rurale: l’Equus africanus e l’Equus hemionus europeo, tralasciando l’E. Kiang tibetano, frutto di caratteristiche e fattori di pressione ambientali radicalmente diversi. Una delle ragioni per cui Pero Vaz de Caminha, assistente del comandante di flotta Pedro Álvares Cabral, scrisse famosamente nel 1500 al Re del Portogallo: “Essi [i Nativi Sud Americani] non arano e non seminano. Non possiedono pecore, polli o qualsiasi altro animale. Mangiano soltanto un particolare tipo di tubero, e frutta e semi.” E poco importa che lo stesso Cristoforo Colombo, nella sua primissima spedizione, avesse già previsto spazi a bordo per alcuni asini da utilizzare come sostentamento dell’equipaggio, L’amico dagli zoccoli sarebbe quindi stato trapiantato in queste terre a svariati secoli di distanza, mediante un processo lungo e graduale di adattamento. Grazie all’opera ben collaudata di determinati allevatori, le cui storie corrispondono a creature iconiche, destinate ad essere inserite nei cataloghi di alcune delle razze più apprezzate al mondo. Così Padre Manoel Maria Torquato de Almeida, pastore di anime dell’arcivescovato di Mariana, si trovò nel 1810 ad acquisire la gestione della fattoria di Curtume, all’interno dello stato brasiliano sud-orientale di Minas Gerais. Da lì a intraprendere l’allevamento di una nuova varietà di ciuchi, il passo risultò essere sorprendentemente breve. Ed il risultato, in base al giudizio delle cronache coéve, semplicemente fuori dai canoni delle pregresse aspettative comunitarie…

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Grolar figlio di un grolar, sua nonna grizzly e il nonno, un orso polare

Nel 2012 durante un volo di ricognizione in elicottero, il naturalista Evan Richardson impegnato in uno studio sui plantigradi dell’isola canadese artica di Victoria vide una scena che gli sarebbe rimasta chiaramente impressa nella memoria: una giovane orsa color crema, dallo strano aspetto ed ancor più insolita modalità deambulatoria, inseguito da quello che poteva solamente essere un imponente maschio grizzly adulto. Trovandosi in una zona rocciosa, in cui addormentare gli animali avrebbe potuto causargli lesioni di seria entità, non poté fare altro che lasciare l’esemplare X15718 al suo destino, facendo cenno al pilota di dirigersi altrove. Due anni dopo, sorvolando ancora lo stesso territorio, gli capitò di vedere quella che probabilmente doveva essere la stessa femmina, questa volta accompagnata da tre cuccioli di color marrone. Nonostante il senso d’incredulità latente, capì subito cosa era successo: il maschio della volta precedente aveva ingravidato la giovane madre. Che aveva messo al mondo i rari esempi viventi di un caso genetico d’introgressione: il ritorno alla specie d’origine almeno al 75% di un gruppo di geni e tratti ereditari, frutto dell’incrocio tra specie distinte. L’orsa X15718 costituiva in effetti uno dei pochi casi acclarati di grolar, nata dall’incontro di una grizzly (Ursus arctos horribilis) con un maschio di orso polare (U. maritimus) tale da creare una creatura dotata in parte dei punti di forza di ciascuna delle due tipologie d’animali così nettamente distinte. Casistica tanto più eccezionale, quando si considera come la pallida mascotte di bibite gassate sia un discendente dell’ancor più piccolo orso bruno (Ursus arctos) rendendo il suo vicino di areale una deriva evolutiva ipoteticamente non così prossima ad incontrarsi. E se è vero che un cavallo e un asino difficilmente metteranno al mondo figli fertili, l’evidenza ha più volte dimostrato l’esatto contrario per quanto concerne i grandi carnivori di tale schiatta. Dotati della capacità acclarata di mettere al mondo anche in natura multiple tipologie di singolari, e chiaramente riconoscibili “vie di mezzo”. Non che il verificarsi delle circostanze necessarie sia in alcun modo probabile o frequente, visto come la stragrande maggioranza degli avvistamenti documentati di grolar o pizzly (il caso ancor più raro di un padre grizzly, madre polare) nelle ultime decadi siano effettivamente in qualche modo riconducibili alla dinastia di X15718, inclusi vari esemplari contrassegnati con segnalatori tra il 2010 e il 2017. A differenza di quello, paradossalmente ucciso nel 2006 presso Banks Island nel mare di Beaufort da un cacciatore, che avendo pagato 45.000 dollari per una licenza di caccia di orsi polari fu inizialmente accusato di aver fatto fuori un grizzly, infrazione punibile con una multa dall’importo ancor più rilevante. Ed in seguito scagionato, quando venne dimostrato che l’animale costituiva piuttosto un esempio di qualcosa di ancor più raro, ma non per questo altrettanto protetto. D’altra parte, come avrebbe mai potuto capirlo in tempo? Sul campo, non sempre ci si pone ogni domanda possibile, prima di premere il grilletto…

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Sa soltanto quello che non è: l’elegante soluzione per cambiare l’ordine tra lupo e cane

Una maggiore consapevolezza in campo genetico è tra le dirette conseguenze del più alto livello di tecnologia e precisione disponibile mediante l’uso di tecnologia ed attenta notazione dei fattori che conducono ai particolari tratti ereditati da una creatura. Non occorre tuttavia un’analisi del genoma per comprendere, in questo caso, di trovarci di fronte a qualcosa, o per meglio dire qualcuna, di assolutamente fuori dal registro pregresso delle razze registrate internazionalmente. Ocean è la cucciola cresciuta, oggi dell’età di poco più di un anno, appartenente alla famosa attivista, attrice e YouTuber britannica Anneka Svenska che sembra incorporare ogni singolo tratto desiderabile in un fedele compagno di vita. Con un manto dal colore grigio-fumo uniforme che viene comunemente definito “blu” in campo cinofilo (e non solo) fatta eccezione per la punta delle zampe ed una macchia bianca sul petto, il muso e le orecchie più appuntite del lupo cattivo di Cappuccetto Rosso. Ma gli occhi piccoli dallo sguardo assorto, in grado di donargli un aspetto amichevole immediatamente riconducibile ad una delle molte razze canine che ogni giorno custodiscono gli appartamenti ed altre dimore umane. Questo notevole ed atipico animale, in effetti, è la risultanza pluri-generazionale di un tipo d’iniziativa diventata popolare in certi ambienti nel corso dell’ultimo ventennio, dedicata a reintrodurre nei nostri migliori amici alcuni tratti estetici e caratteriali del canide lupino originariamente ammaestrato dalle tribù ai primordi della civiltà organizzata. Il che risulta meno semplice di quanto si potrebbe istintivamente immaginare, considerata la maniera in cui l’odierno Canis lupus sia soltanto remotamente imparentato con tale creatura ormai dimenticata da molti millenni, essendo giunto a possedere tratti poco desiderabili, come l’istintiva diffidenza, e persino aggressività, nei confronti delle cose o situazioni non familiari. Ed è proprio considerando tale problematica, che il preciso calcolo matematico sopra menzionato ha trovato l’applicazione maggiormente utile, permettendo un passaggio dal semplice conteggio delle generazioni pregresse all’effettivo prospetto e piano sinottico dei gradi di ascendenza parentale. Fino alla creazione di una formula diversa in ciascun caso, tanto lontana da uno standard singolo quanto funzionale alla creazione di esemplari che aspirano singolarmente al termine di paragone del magistrale “fulmine in bottiglia”…

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Lo sguardo dello strano cane che costituisce un incontro tra Oriente ed Occidente

La storia di Internet è costellata di bizzarre creature che sono spesso il frutto incondizionato dei processi evolutivi della natura: pesci, uccelli, insetti e predatori tropicali. Ma permane un posto d’onore, mantenuto in serbo per coloro che derivano da quell’attento processo di allevamento e selezione, lungo almeno quanto la storia dell’uomo. Quello che ha prodotto la stragrande maggioranza dei nostri migliori amici dotati di quattro zampe ed una coda. Se vogliamo generalizzare… Personaggi degni di un cartone animato e qualche volta la fedele rappresentazione di uno standard, come nel caso della Shiba Inu lievemente sovrappeso Kabose, diventata celebre col nome semi-leggendario di Doge, certe altri connotati da tratti genetici inusuali, vedi quel nanismo felino alle origini della famosa espressione del terribile Grumpy Cat. Vere e proprie macro memetiche capaci di varcare agilmente i confini virtuali dei paesi, salvo rari casi che rimangono all’interno di specifici recinti culturali, giungendo a rappresentare l’ideale personificazione di una serie di pregi estetici e le preferenze dei remoti popoli armati dei nostri stessi computer e cellulari. Vedi casualmente il Vietnam, e identifica nel mezzo dei cinofili la sagoma dell’ultra-celebre Dúi, il cui nome significa nello specifico “ratto del bambù” (roditore della famiglia degli spalacidi) ma che a parte il colore, non riesce a ricordarlo particolarmente da vicino. Appartenendo piuttosto almeno in parte ad una razza canina ben precisa, quella identificata nel suo paese di provenienza con il nome del popolo che ne fece il più largo utilizzo: gli H’mong o per usare la più celebre definizione in lingua cinese, una diramazione di quell’etnia dei Miáo che in molti ben conoscono per gli straordinari copricapi ed acconciature indossati dalle donne durante le celebrazioni mondane o religiose, nonché le variopinte vesti create con la tecnica del batik. E che in pochi sapevano possedere all’estero, tra i loro parecchi tesori culturali, anche la fedele presenza di queste creature dalle molte qualità innate, vedi soprattutto una formidabile e ben nota capacità di orientamento all’interno delle giungle dell’Asia centro-meridionale, tale da costituire una vera e propria bussola animale nonché esperto cacciatore e guardiano del villaggio. Tutto questo e molto altro, sebbene la simpatica creatura in questione, come dato ad intendere poco sopra e nel titolo della presente trattazione, sia tutt’altro che un rappresentante tipico di tale genìa animale; costituendo piuttosto, il piccolo Dúi, una curiosa congiuntura genetica tra tratti nettamente divergenti inclusi quelli che i suoi proprietari Hai Anh e Tuan, con residenza presso la regione storica del nord del paese di Ha Giang, non esitano ad attribuire al padre, un non meglio definito cane dal nome riportato di Dingo. La cui razza d’appartenenza non viene indicata da nessuna parte ma personalmente, elaborando ipotesi sulla base delle semplici evidenze, non esiterei eccessivamente a ricondurre all’antica e nobile genìa dei corgi del Pembrokeshire, contea del Galles inglese. Fedeli compagni della regina, così come il nostro amico in breve tempo di gran lunga più piccola di un H’mong di razza pura si è saputo confermare, sui forum e gruppi di tutta l’Asia, come l’adorabile fenomeno amato da grandi e piccini, in maniera analoga con quanto successo ai precedenti possessori di un tale titolo di tipo innegabile quanto informale.
Mostrato in un’ampia serie di circostanze, mentre gioca con altri rappresentanti della specie Canis lupus molto amati dai suoi padroni (o almeno questo è ciò che sembra) il piccolo Dúi si trasforma in questo modo nell’opportunità per notare come tutto il mondo possa essere paese, almeno per quanto concerne l’affetto interpspecie tra l’uomo e il suo più tipico compagno, contrariamente ad alcuni stereotipi sull’Asia largamente diffusi ai nostri giorni. Il che del resto è anche l’opportunità per fare un breve viaggio tra la storia, caratteristiche e doti di questa razza niente meno che notevole, anche trasferita al di fuori del suo originale contesto di appartenenza…

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