Si è spiaggiato il pesce tondo, che incarnava la tiepidità del mondo

Si trattava di risolvere un problema, in effetti. Quello di attribuire un nome alla creatura misteriosa trovata improvvisamente sulla spiaggia di Sunset in Oregon alle 8:00 di mattina, della lunghezza di oltre un metro e il peso approssimativo pari a 45 Kg. Pesce discoidale vagamente simile alle tipiche creature ornamentali di un acquario (i.e, abitanti originari di barriere coralline distanti) ma con proporzioni alternativamente descritte come pari a “una ruota di camion” oppure nel caso specifico e secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, “un bambino di quattro anni”. Strano termine di paragone, davvero, quando si considera l’assenza di gambe, braccia, testa o altre parti antropomorfe, in questo essere dal corpo compatto e invero stranamente denso, la cui morfologia parrebbe distinguersi da quella del suo gruppo tassonomico dei lampriformi, contenente anche i sinuosi lofotidi, l’impressionante regalecide (il “re delle aringhe”) ed il trachipteride o “pesce nastro”. Tutte creature dall’aspetto lungo e serpeggiante, laddove questa malcapitata vittima delle maree riesce a guadagnarsi a pieno titolo l’appellativo di pesce luna o pesce sole, astri esteriormente personificati dalla forma ed il colore vagamente scintillante, concesso dall’iridescente patina di guanina che ricopre le sue scaglie. Un semplice ricorso all’enciclopedia di casa, dunque, avrebbe anche potuto risultare insufficiente, se non fosse stato per il coinvolgimento da parte dei visitatori della spiaggia del vicino Seaside Aquarium e i biologi che vi lavorano all’interno, i quali dopo un breve consulto hanno levato tutti assieme quell’esclamazione compiaciuta, trascrivibile con l’onomatopea che segue: “Opah!”. Opah fish, ovvero il tipico rappresentante del genere Lampris.
Vita strana, imprevedibile e talvolta piena di sorprese. Come quella di trovare a queste latitudini una creatura giudicata dalla scienza non tanto rara, quanto particolarmente inaccessibile date le abitudini per lo più pelagiche e la tendenza a vivere a profondità di 50-500 metri, non propriamente raggiungibili da sub dotati di strumentazione convenzionale. Né fatta ad oggi risultante il soggetto, causa le pregresse scelte di carriera, di studi scientifici particolarmente approfonditi da parte di chicchessia, anche a causa della sua scarsa rilevanza economica, dovuta soltanto all’infrequente cattura accidentale nelle reti dei tonni. Ed è in effetti particolarmente triste, risultando al tempo stesso indicativo, come l’assoluta totalità delle foto e video riguardanti questa notevole bestia marina la mostrino soltanto successivamente alla sua dipartita, per casi accidentali oppure la cattura e trasporto fino a riva, prima di procedere a precisa sfilettatura e preparazione al tavolo da pranzo, visto come nessun tipo di norma ecologica sia stata ancora promulgata, per la protezione di questa creatura la cui popolazione si ritiene essere tutt’ora in buono stato (ipotesi… Puramente speculativa, a dire il vero). E soprattutto a causa del sapore sfortunatamente appetitoso che possiede, descritto come pari a quello del più gustoso pesce spada, in un formato spesso e particolarmente adatto alla preparazione di piatti dall’alto grado di sofisticazione. Il che lascia, a tutti coloro che fossero direttamente interessati alla natura di questo appariscente nuotatore degli abissi, appena una manciata di nozioni di seconda mano, ed almeno un’approfondita trattazione di quella che risulta la sua singola caratteristica più insolita, ed interessante…

Visioni memorabili di un giorno come pochi altri. Quante volte si può effettivamente riuscire a catturare, per tre volte, lo stesso pesce di recessi irraggiungibili e rari? Ma soprattutto, siamo sicuri che sia la cosa giusta da fare?

Siamo dunque naturalmente inclini, in forza delle pregresse cognizioni acquisite, a considerare i pesci come animali dal sangue per lo più freddo, fatta eccezione per la capacità di riscaldare temporaneamente alcuni organi e il cervello posseduta dal pesce spada, il marlin o il pesce vela. Ciò che avremmo tuttavia scoperto nel 2015, grazie a uno studio pubblicato da Wegner, Snodgrass e Hyde, è che non soltanto il pesce Opah possiede un sistema circolatorio attentamente isolato dal gelo delle abissali acque circostanti, ma anche la capacità di riscaldare il fluido in esso contenuto, costruendo in tale modo un’efficace barriera dal torpore che naturalmente condiziona i movimenti degli abitanti delle profondità, riuscendo così ad essere sorprendentemente agile ed in conseguenza di ciò, predatorio. Assolutamente primario in tutto ciò l’impiego di uno stile di nuoto atipico fondato sul movimento rapido delle piccole pinne ventrali, esse stesse responsabili nel riscaldamento di quel sangue che in maniera chiaramente imprescindibile, verrà poi pompato lungo l’intero corpo dell’animale. Fino alle vene periferiche e il particolare reticolo di capillari, paragonabile a un sistema di riscaldamento, chiamato in lingua latina rete mirabile e che agisce come una barriera o passaggio obbligato all’interno delle branchie, affinché l’acqua marina venga riscalda appropriatamente prima di fare il suo ingresso all’interno della bocca reversibile del pesce opah. Altrettanto importante, nel quadro limitato che possiamo dire di possedere in materia, risulta essere la capacità di controllare il galleggiamento subacqueo concessogli dalla sua grande vescica natatoria, coadiuvata dal fluido oleoso fatto circolare all’interno delle ossa con finalità di mantenimento dell’equilibrio o inclinazione utile durante le proprie lunghe battute di caccia sottomarine. Miranti per quanto possiamo desumere, principalmente alla cattura di seppie di varie dimensioni, costituenti la parte maggiore della sua dieta secondo i ritrovamenti all’interno dello stomaco di esemplari come quello di Sunset Beach.
Per quanto concerne invece la classificazione e distribuzione delle diverse specie, fermo restando come l’opah sia considerato largamente cosmopolita, possiamo mettere in evidenza le varianti maggiormente note del Lampris guttatus, particolarmente diffuso nell’Atlantico Settentrionale e perciò chiamato talvolta “pesce luna hawaiano” (al fine di distinguerlo da i ben più imponenti membri del genere Mola) e quella del Lampris Immaculatus. originario unicamente dei Mari del Sud al di sotto del 34° parallelo, sebbene studi più recenti sulla morfologia e varietà di colorazioni possibile facciano oggi sospettare l’esistenza di almeno 6 specie distinte. Così come il ritrovamento di fossili nello strato d’arenaria di Otekaike nell’Otago Settentrionale hanno portato all’identificazione della specie preistorica del Megalampris keyesi, scomparso dalla Terra circa 26 milioni di anni fa. Una creatura capace di superare, dalla testa alla coda, la lunghezza stimata di ben 4 metri!

La biologia, le abitudini riproduttive e le precise metodologie di caccia del pesce opah restano ad oggi largamente ignote. Possiamo tuttavia elaborare alcune ipotesi, sulla base di quanto sappiamo in merito ai lampriformi.

Che la trattazione in merito ad un pesce fuori dal comune, quasi accidentalmente posto al centro di una foto digitalizzata, possa assumere istantaneamente le caratteristiche di una notizia virale non è certo una considerazione del tutto nuova. E già si affollano, su Internet, i divergenti tentativi d’identificazione dell’insolita meraviglia che ha scelto di andare a morire sulle spiagge dell’Oregon, con comparazioni più o meno soddisfacenti rispetto ad altri opah pescati in epoca recente entro i confini marittimi di tale stato. Che pur non potendo vantare una popolazione in alcun modo paragonabile a quella della confinante California, sembrerebbe aver trovato modo di compensare tale aspetto con il suo ricco e rinomato repertorio di creature o fenomeni dalle implicazioni non del tutto chiare. Nessuno può effettivamente riuscire a comprendere, in effetti, che cosa abbia spinto un pesce come questo ad abbandonare la relativa sicurezza dei suoi oscuri recessi sottomarini. Per andare incontro ad un destino irrimediabilmente gramo, in quella che potremmo definire come la versione ittica ed inversa dell’appel du vide o “richiamo del vuoto”, l’inspiegabile fascino suicida nei confronti delle grandi altezze, capace di colpire nei momenti più drammatici ed inaspettati.
Ma un pesce sole come questo, quando viene catturato dalle correnti che tendono a portarlo verso riva, ha ancora tutto il tempo di ripensarci e scegliere di tornare indietro. Purché abbia la capacità d’individuare i meriti dell’alba mattutina. Il cui splendente astro, spesse volte, può finire per incutere una certa soggezione nei confronti dei suoi presunti imitatori.

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