La maledizione del mammut nel misterioso triangolo lacustre nordamericano

“Ciò che è iscritto nella pietra, in essa resta intrappolato. Lo spirito dell’animale non potrà tornare a vendicarsi.” Questo disse il capo della battuta di caccia, mentre impugnando lo scalpello con punta intercambiabile di selce, guardò con occhio critico la sua creazione, quindi nuovamente l’ingombrante carcassa, che già i cacciatori stavano suddividendo in pezzi maggiormente trasportabili, verso l’affamato accampamento di Gerenesee. Davvero inaspettato, che si debba essere giunti a tanto. E certamente un pessimo comportamento, dinnanzi al totemico giudizio degli Dei anziani. “Pinga, grande cacciatrice; Sedna, signore dell’Oltretomba; Torngasoak del cielo ed Igaluk della Luna. Ascoltate la mia preghiera.” E qui, con una pausa di sicuro effetto, l’uomo infisse la sua lancia nella terra friabile della grande valle di Missaurakee. Loro ben sapevano, o così sperava, come le genti di Michigan non uccidessero di solito la Grande Proboscide del Settentrione. Ma più che altro l’agile animale dalle corna simili ad un ramo arboricolo, che un giorno ancora assai lontano l’uomo avrebbe scelto di chiamare caribù. “Poiché… La stagione è stata difficile.” Continuò “Il clima, infausto. Oggi doveva concludersi l’ultima grande corsa, prima del calare e del ghiaccio senza limiti diurni. E se fossimo tornati senza provviste, molti dei membri più giovani ed anziani della tribù vi avrebbero raggiunto nella vostra grande sapienza.” Apparentemente soddisfatto, il condottiero della battuta impugnò nuovamente la sua arma. Con un gesto semplice, la tirò fuori dal terreno per volgere lo sguardo ai suoi sottoposti. Ciascun cacciatore mostrava un grado differente di rammarico, sebbene tutti, tra coloro che non erano impegnati nello smembramento, mostrassero anche un’espressione ragionevolmente determinata. E fu allora che all’altro capo della valle, sembrò risuonare un barrito distante…
“C-capitano, cos’è stato questo suono?” Il giovane mozzo Adams si rivolse all’uomo che si trovava al timone, nel compatto trasporto di legname di ritorno verso la segheria di Hackey-Hume nel territorio di Muskegon. Animali senza nome in terre oltre la fitta nebbia, isole del tutto impossibili lungo quello specifico tratto di mare. Poiché tale non era in fin dei conti, bensì l’acqua familiare di un profondo e tanto spesso, gelido lago. “A dire il vero ragazzo mio, sembrava proprio un elefante.” Rispose l’unico ufficiale a bordo, se così si poteva chiamare, da sotto la folta barba bianca ed il cappello indicativo del suo ruolo. Era il 21 maggio del 1891, una data destinata a rimanere iscritta nella storia… Come l’inizio di una lunga e articolata serie di tragedie. Destinata a culminare, esattamente 59 anni dopo, nella scomparsa di un intero aereo passeggeri con più di 80 persone a bordo. In un particolare tratto di quel Grande Lago, capace di disegnare la forma riconoscibile di un triangolo, tra i vertici topografici di Manitowoc in Wisconsin, verso est a Ludington ed infine nella punta sud di Benton Harbor, entrambi entro i confini dello stato del Michigan. Tutto questo era naturalmente inimmaginabile per i sette marinai della Thomas Hume, che in quel giorno predestinato sarebbero stati inghiottiti dalle acque del lago senza lasciare nessun tipo di traccia, assieme al loro intero vascello. Per una motivazione, ed a causa di una serie d’eventi, che avrebbe lasciato molto a lungo perplessi anche i maggiori esperti sull’argomento.
E i misteri, si sa, tendono a generare mostri. Particolarmente nei frangenti in cui possono trovarsi associati a situazioni archeologiche tutt’altro che chiare, causa il ritrovamento di un qualcosa che nessuno, tra i viventi, può riuscire realmente ad associare a fatti precedentemente noti. Il fatto è che a seguire quel primo disastro marittimo, ce ne sarebbero stati molti altri: il lussuoso battello a vapore Lady Elgin, nel 1860, che finì per naufragare dopo l’urto contro un’imbarcazione più piccola costando la vita di 300 persone. La Rouse-Simmons, che trasportava alberi di Natale verso Chicago nel 1912, di nuovo scomparsa senza lasciare traccia e per cause del tutto incerte. La Carl D. Banks, che si spezzò a metà nel 1958. Tutti relitti destinati ad essere molti anni dopo ritrovati, diventando a loro modo tristemente famosi e portando all’istituzione informale di una sorta di macabro turismo con le bombole e gli occhiali da immersione, a sua volta conduttivo verso il prelievo diretto di una lunga e inappropriata serie di “souvenir”…

La rilevazione mediante meccanismi moderni come il sonar permette di definire chiaramente spazi e potenziali funzionalità. Nessuno, ancora oggi ed al cospetto di simili monumenti, può tuttavia affermare di poterne conoscere davvero la ragione…

Non a caso lo stato del Michigan fu uno dei primi nell’intero Nord America ad istituire una normativa per proteggere i beni culturali sommersi, vietando categoricamente prelievi e alterazioni di materiale a partire dal 1980, con quello che avrebbe preso il nome di Shipwreck Act. Ma simili leggi, si sa, sono particolarmente difficili da far rispettare ed ancora più superflue senza alcun tipo di sorveglianza reiterata nel tempo. Fu così che nell’intera area della Grand Traverse Bay, centrale nel cosiddetto “triangolo della dannazione” gruppi organizzati di sub dal preminente senso civico iniziarono ad ispezionare ripetutamente i luoghi dell’ultimo riposo delle vittime di una simile improbabile concatenazione di disastri. Persone come il Dr. Mark W. Holley della Società Nautica Archeologica, che soltanto nel recente maggio del 2007 ebbe modo di scorgere per caso qualcosa di drammaticamente insolito e del tutto nuovo: una serie di pietre, disposte in configurazione geometrica sulle sabbie del fondale a una profondità di svariate decine di metri, con quella che poteva ragionevolmente rappresentare la forma antropogenica di un pentagono. Abbastanza già per suscitare un certo grado di perplessità e sospetto, anche senza quello che sarebbe successo dopo. Ovvero l’opportunità di notare, su una di esse, la serie di linee appena accennate causa l’erosione incipiente delle epoche, configurate secondo l’apparenza chiaramente riconoscibile di un qualche tipo di mastodonte. Ovvero quell’antica tipologia di pachiderma, ritenuto estinto nel continente americano almeno da 9.000 anni a questa parte. In una sorta di datazione informale, di quello che avrebbe potuto rappresentare a tutti gli effetti uno dei più importanti ritrovamenti archeologici e culturali degli ultimi decenni.
Ciò detto non è facile mettere in moto la macchina accademica della ricerca scientifica propriamente detta, e nonostante l’esistenza già comprovata di siti preistorici nell’intera zona circostante il lago Michigan, non furono subito in molti a credere che un qualche tipo di cultura degli albori potesse aver occupato in precedenza lo spazio oggi sommerso di quei fondali, lasciando dietro strani monumenti con finalità e modalità per lo più incerte. Tutt’altro che d’aiuto, di lì a poco, si sarebbero dimostrati i numerosi articoli più o meno di settore su quella che in molti ci tenevano a definire “la Stonehenge del lago Michigan” benché il sito non presentasse alcun tipo di pietra sospesa (per l’appunto, henge) macigni scolpiti simili a menhir o altre strutture altrettanto spettacolari agli occhi d’ipotetici visitatori. Molte delle foto fatte circolare in merito, tra l’altro, raffiguravano erroneamente alcuni dei relitti di navi affondate nei dintorni (in particolare il vaporetto Acme naufragato nel 1867) tanto ricoperte d’alghe ed altro materiale biologico da poter sembrare delle pietre, benché la loro forma narrasse in realtà tutt’altro tipo di storia. Due cose sarebbero tuttavia successe negli anni seguenti, riuscendo a incrementare l’interesse verso il ritrovamento del Dr. Holley: la prima fu l’assai pubblicizzata e rinnovata ricerca per il cosiddetto White Bird (l’Uccello Bianco) ovvero quell’aereo Douglas DC-4 scomparso completamente nel 1950, grazie a una copiosa quantità di fondi forniti da niente meno che il celebre scrittore di romanzi d’avventura, Clive Cussler. Faccenda in grado di alimentare nuove improbabili teorie e riaprire, nuovamente, le speculazioni in merito al terribile triangolo michiganense. La seconda faccenda, di contro, avrebbe avuto un tenore maggiormente scientifico e di certo utile a comprendere l’effettiva realtà delle cose: era il 2014 infatti quando un team di scienziati guidati da John M. O’Shea, del museo antropologico del Michigan, avrebbe scoperto una struttura ragionevolmente simile alle pietre del mastodonte nelle profondità del vicino e quasi altrettanto vasto lago Huron, anch’essa composta da pietre potenzialmente disposte dall’uomo, in una sorta di corsia larga 8 metri e lunga 30, non troppo distante dalla località di Alpena. Un ritrovamento, chiamato con intento un po’ spoetizzante la Drop 45 Drive Lane, che dovrebbe costituire nell’idea degli archeologi un esempio di sentiero guidato per gli animali selvatici, qui fatti fuggire intenzionalmente dai cacciatori poco prima di tendergli un’imboscata auspicabilmente letale. Grazie alla propensione dimostrata da erbivori come le renne (o caribù) a seguire istintivamente le linee, geoglifi o barriere create dall’uomo, nella maniera che oggi sappiamo essere stata sfruttata da numerose culture preistoriche in giro per il mondo.

Le piccole punte di pietra attentamente modellate ritrovate dal team di O’Shea potrebbero rientrare nell’armamentario di un popolo creatore di petroglifi. Anche se creazioni simili, per quanto ne sappiamo, non trovano nessuna attestazione nelle profonde e gelide acque del lago Huron.

Che una simile possibilità d’utilizzo, scientificamente, sia applicabile anche al pentagono di pietre del lago Michigan, resta allo stato dei fatti attuali una questione largamente non acclarata. Così come l’effettiva presenza della figura del mammut, in realtà poco più che un accenno e potenziale risultanza di quell’effetto psichico e istintivo che ci porta ad individuare forme riconoscibili nelle immagini del tutto casuali, la pareidolia. Anche vista la mancanza di ulteriori ritrovamenti archeologici presso il sito sommerso, analogamente a quanto avvenuto nel caso dell’antistante specchio d’acqua, di per se privo della stesso storico di multipli e inspiegabili disastri. A meno di voler accettare quanto, ancora oggi, tardiamo a concepire nelle nostre menti che amano gli spazi chiari e definiti: che a volte la natura può agire per cause tutt’altro che evidenti. Generando, ad esempio, onde anomale all’interno di acque per lo più tranquille. Tali da inghiottire intere navi e trascinarle verso il fondo delle insenature. Dove i suoi agenti della distruzione generazionale, granchi, gamberi e altri spazzini, si occuperanno di cancellare fino all’ultima traccia del crimine intercorso ai danni dei viventi. Analogamente a quello di coloro che cacciarono, quello che non doveva essere cacciato.
Chiedendo scusa invece di chiedere il permesso, dando perciò inizio a un tradimento di quegli esseri superni e proboscideali che, per per quanto ne sappiamo, continueranno a giudicarci e distribuire punizioni fino all’ultimo dei nostri giorni su questa Terra.

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