Sopravvivenza che può essere insegnata: cos’è l’uovo per la piccola mangusta della condivisione

Giornata di carambole presso il più famoso zoo Oregoniano, nelle immediate vicinanze del centro di Portland. Il che non vuole significare che i guardiani abbiano tirato fuori i tavoli verdi, impugnando lunghe stecche dalla funzione chiaramente definita. Traendo piuttosto l’opportunità, e la gioia, dal gioco proposto ad uno degli ospiti più amati e distintivi dei suoi recinti: la vorace, vivace creaturina dotata di uno spirito appuntito quanto i propri stessi denti. Collaboratrice coi suoi simili anche in natura nelle diverse circostanze i agili imprevisti dell’esistenza. Vedi, per fare un esempio, la casistica di ritrovarsi al cospetto di una mezza dozzina di “deliziose cose rotolanti” l’oggetto candido e prezioso che gli umani sono soliti chiamare uovo. Non del tutto reali, stavolta, poiché alle manguste nane comuni (Helogale parvula) qualcuno ha dato in dono capsule di plastica plasmate suggestivamente, il cui segreto contenuto potrebbe includere biscotti, bocconcini, piccoli ritagli di dolcezza che migliorano il prospetto della giornata. Segue… Panico indiscusso e generalizzato. Un sobbalzante pandemonio delle circostanze! Questo per il fatto che l’istinto, creato grazie all’esperienza di generazioni pregresse, detta legge nel comportamento dei carnivori e ancor più quelli della dimensione inferiore a un gatto domestico. Per cui nutrirsi vuole dire sempre farlo il più velocemente possibile, con almeno un occhio dedicato all’avvistamento di eventuali predatori. Eppure non è tutto innato quel che nasce dall’esperienza. Persino per loro, anche quando approcci singoli potrebbero risolvere i problemi del quotidiano. E d’altra parte, perché mai limitarsi? Esistono maniere multiple per risolvere un enigma. E molti modi per rompere un uovo. Chiedetelo a… Corsin Müller, esperto del comportamento animale dell’Università di Vienna, già autore nel 2010 di uno studio dedicato a comprendere una delle anomalie maggiormente insolite nell’approccio al foraggiamento di questa intera categoria di creature. Quella secondo cui alcune manguste siano solite rompere il guscio sbattendolo contro oggetti duri; mente altre, di lor conto, preferiscano morderne la parte più appuntita per suggerne il contenuto. E indipendentemente da quale sia l’approccio scelto di volta in volta, continuino a impiegarlo in modo pressoché esclusivo per l’intero estendersi della propria esistenza. Questo perché, come determinato dal suddetto studioso, è ragionevole pensare che gli sia stato insegnato a scuola (di vita) dalla principale figura capace di farne gli esemplari adulti che sarebbero diventati. Il padre putativo, guardiano e custode delle nuove generazioni, nella singolare organizzazione sociale delle manguste…

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Il Re Scorpione dell’allevamento, aspirante miliardario dei nostri giorni

In un mondo ideale, i prestigiosi laboratori scientifici utilizzano i tesori della natura con sincera attenzione nei confronti della loro provenienza. In un risvolto collaterale della sostenibilità operativa, nessun allevamento di animali viene praticato fuori dai propri contesti geografici, praticando la cattura irragionevole di grandi quantità di esemplari appartenenti a specie dal varabile stato di conservazione. In quel particolare scenario, piccoli imprenditori locali, con un sincero interesse nei confronti della tutela ambientale, esportano direttamente tale nettare, reinvestendo parte dei guadagni nella reintroduzione in natura delle successive generazioni. Ma di cosa, esattamente? La risposta generica è che, a dire il vero, può variare benché nel caso specifico e per dirla tutta, stiamo parlando di scorpioni. L’aracnide carnivoro e comunemente notturno, dalle chele concepite per ghermire a fare a pezzi la preda, la cui arma maggiormente temibile resta d’altronde il pungiglione sulla coda: vettore di veleni non del tutto esplorate dalla scienza, la cui funzione a discapito degli esseri viventi appare per lo più deleteria o persino letale. “Perfetto!” Appare a questo punto sulla spalla uno scienziato, come il piccolo demonio della perversione, immaginando le possibili e redditizie applicazioni delle circostanze. Poiché ogni sostanza che una volta assunta in grandi quantità è dannosa, non ha forse sempre il merito di assolvere a uno scopo se trattata o utilizzata nella giusta quantità individuale? E più piccola risulta essere tale misurazione, maggiore tende ad esserne di conseguenza il valore. Ora trasferite quel pensiero dal punto di vista di uno degli sperimentatori commerciali, che palesemente si sono trovati ad operare in un settore nuovo, particolarmente in Medio Oriente, India e Cina. Coloro che pensando ad una nuova corsa all’oro dei peptidi tossici prodotti dagli ottuplici deambulatori, hanno investito nel corso dell’ultima decade considerevoli risorse nell’allevamento di questi piccoli, possibili benefattori. Guidati dal miraggio economico, formalmente non lontano dalla verità, secondo cui il veleno di determinati scorpioni “in condizioni ideali” potesse valere anche più di 10 milioni di dollari a litro, per la sua efficacia nei test clinici relativi a cure o diagnosi tumorali, la creazione di antidolorifici sperimentali ed altre applicazioni future. Molto più del sangue umano e ALMENO il doppio dell’inchiostro di una stampante per uso non-commerciale! Dal che la nascita, tanto per fare un esempio estremamente pregno, di una realtà come la Scuola di Scorpioni Iraniana, istituzione mirata a preparare gli esponenti della nascente aristocrazia economica locale ai compiti ricorrenti legati a questo tipo di attività. Come… Catturare gli aracnidi, nutrirli, farli riprodurre, accudire i nuovi nati e naturalmente… Mungerne la preziosissima sostanza. Che l’istituzione stessa prometteva di acquistare nuovamente per rivendere nei numerosi centri di ricerca all’estero interessati ad acquisirla, permettendo ad ogni punto della filiera di beneficiare largamente della conseguente opportunità Se non che gli eventi, in base agli ultimi dati reperibili online, avrebbero finito per prendere una piega considerevolmente diversa…

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Oscure ali e la dimostrazione che che un becco aperto non significa benevolenza. Per i molluschi…

Era una giornata come tutte le altre nella parte settentrionale del parco Kruger, la più grande riserva naturale sudafricana. Un gruppo di turisti, appena scesi dal veicolo fuoristrada, si guardavano attorno con fare perplesso, mentre la guida sorrideva con intento benevolo ma carico di aspettativa. “Ed ecco dunque, come avevo annunciato” spiegò in inglese: “La pozza dove vengono a nutrirsi le cicogne nere. Anche se non riuscite a vederle, in questo preciso momento centinaia, se non migliaia di lumache acquatiche si muovono lentamente sotto la superficie.” Il vento mattutino soffiava lieve, e nessun segno di esseri viventi agitava la rada vegetazione della savana. Mentre l’uomo si produceva dunque in una pausa ad effetto, un ruggito distante tradì la presenza di un grande felino. 7 uomini e 3 donne, praticamente all’unisono, si voltarono nella stessa direzione. Un soffio di bassa pressione proveniente da est, all’improvviso, portò aria calda sulle loro guance sinistre. Accompagnato da un rumore rutilante, come il battito di una grande quantità d’ali. Uno alla volta, i viaggiatori portarono di nuovo il proprio sguardo in direzione della guida, che ora si era voltata nella direzione opposta, con le braccia saldamente piantate sui fianchi. Dinnanzi a lui, sulla riva scoscesa, tra i cespugli, sopra uno scarno albero di acacia che palesemente aveva visto giorni migliori, almeno una dozzina di fedeli imitazioni dell’angelo della morte. I poderosi uccelli, di circa un metro di altezza e una colorazione nera iridescente tendente al blu e marrone, sembravano ignorare totalmente gli intrusi. Alcuni già intenti a muovere la testa da una parte all’altra, immergendola ritmicamente in profondità nell’acqua fangosa. Altri avevano spalancato le ali, con l’evidente intento di scaldarsi al sole. Un paio di esemplari, affrontandosi con fare guardingo, facevano battere ripetutamente lo strano becco. Ma per ogni volta in cui le punte superiore ed inferiore si toccavano, la parte centrale rimaneva palesemente aperta. Lasciando penetrare, come niente fosse, la minacciosa luce dell’avvenire…
Ecco a voi, signori e signore, l’anastomo o “becco aperto” alias A. lamelligerus (…Avrebbe potuto spiegare il guardaparco) una creatura perfettamente adattata alla sua nicchia e che potremmo definirne, in un certo senso, l’assoluto dominatrice. Che campeggia sopra gli ippopotami mentre osserva il suo terreno di pesca, nonostante possa giungere a pesare 1,3 Kg. Ed ha fatto della ricerca subacquea di molluschi del genere Pila ed altri mitili una vera e propria arte, calibrata sulla base dei propri fenotipi dall’elevato grado di competenza. Non ci credete? Guardatelo al lavoro, mentre cerca tra il sostrato le conchiglie a forma di spirale, per poi mettersi a girarle da una parte all’altra senza neanche tirarle fuori dall’acqua. Potendo fare a meno, effettivamente, del senso della vista per trovare in modo tattile l’opercolo, o piede rigido che protegge il tenero animale all’interno. Procedendo allora ad inserire, come forbici infernali, la preminente arma lunga fino 196 mm e più alta che larga, praticando un abile strattone in direzione sinistra. Al che il tenero abitante viene espulso e sollevato, mentre il guscio resta integro in mezzo alla sabbia. E il collo si ribalta verso l’alto, mentre l’occhio immagina l’iconico rumore: SLURP!

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L’incredibile appetito per le alghe della pecora di mare

Nell’isola scozzese di North Ronaldsay, parte del gruppo verdeggiante delle Orcadi settentrionali, il fenomeno ricorrente della bassa marea accompagna i ritmi ed influenza il comportamento dei più numerosi abitanti di quel tratto di terra. Candidi quadrupedi comunemente associati a fattorie ed allevamenti delle valli verdi site nelle aree emerse più grandi, le pecore da queste parti sono infatti inclini a cadenzare i propri ritmi circadiani e digestivi sulla base delle fasi dell’influenza lunare. Ed ogni volta che la sabbia nel bagnasciuga torna ad essere battuta dai raggi del sole, assieme all’organica abbondanza dei rifiuti trasportati dalle onde, esse ritornano a esplorare le propaggini più estreme della Terra. Impegnandosi a fagocitare, un morso dopo l’altro, i capelli aggrovigliate delle sirene.
Gli ovini in questione, membri indiscutibili della solita specie a noi precedentemente nota (Ovis aries) sembrerebbero infatti aver sviluppato un appetito e gli strumenti necessari per riuscire a trarre nutrimento dal secondo tipo di vegetazione, contrapposto agli alberi, l’erba e le piante che siamo soliti vedere nel corso delle nostre scampagnate: esse mangiano, da un tempo estremamente lungo, preferibilmente ed obbligatoriamente le alghe trascinate a riva, soprattutto quando appartenenti al genere Macrocystis o kelp, tradizionalmente usate in questi luoghi per la preparazione del carbonato di sodio o potash. Un’indubbia fonte di sostanze nutrienti e preziosissime vitamine, sebbene sbilanciate dal punto di vista dei metalli chimici ed inclini ad inibire l’assunzione da parte dell’organismo degli erbivori del necessario apporto di rame. Da cui l’alterazione pregressa, nel sistema digestivo delle nostre belanti fabbriche di lana, tale da permettergli di massimizzare l’assunzione di questa sostanza, rendendole inclini ad intossicarsi col consumo reiterato di qualsiasi altro tipo di alimentazione. Una caratteristica talmente rara in natura negli animali di terra, che l’unica altra specie sufficientemente studiata a presentarla è l’iguana marina delle Galapagos (A. cristatus) giunta d’altra parte ad un simile stile di vita per l’effetto esclusivo del proprio ambiente naturale. Laddove la North Ronaldsay sembrerebbe essere stata incoraggiata, almeno in parte dall’influenza e dalla mano operosa dell’uomo. Sebbene studi scientifici recenti abbiano ridimensionato, almeno in parte, tale narrativa. Riconfermando l’inclinazione degli animali ad adattarsi verso determinate pressioni ambientali come un’inclinazione generazionale di lungo respiro, piuttosto che la rapida e spontanea reazione a fattori trasversali dall’impostazione relativamente transitoria. Vedi la costruzione, molto amata da disegnatori di arbitrari confini, di un muro…

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