L’uccello disallineato che avvita le pigne sul tetto delle foreste boreali

Così come non sarebbe logico assegnare un merito ai pini ed abeti per la produzione dei propri strobili coperti di scaglie, la ragione non è necessariamente affine a chi incolpa gli scoiattoli della propria condotta. Piccoli e vivaci mammiferi, maestri arrampicatori, che raggiungendo le propaggini esterne dei rami afferrano tali doni della natura. E masticando selvaggiamente ne strappano brandelli, ne fanno laceri torsoli e ad un certo punto li gettano rovinosamente a terra. Più che ogni altra cosa questa è la legge, o se vogliamo un danza, incisa a lettere di fuoco nell’albo storico dell’evoluzione. Ove ogni cosa succede per una ragione e qualora ciò non possa verificarsi per un tempo abbastanza, lungo causa ed effetto scaturiscono rinnovati, imparando nei secoli a reiterare la propria progressione inerente. Prendi il caso per fare un esempio, di una foresta di sempreverde per così dire “asciuridi”, maniera in cui il gergo scientifico si riferisce a quei luoghi scevri di roditori, per uno vantaggio ecologico frutto di esoteriche coincidenze. Eppure in quegli alti recessi, apparentemente in regola, un ipotetico osservatore potrebbe notare che non tutte le pigne appaiono identiche. E non tutte contengono la stessa quantità di pinoli! Come se qualcuno avesse introdotto uno strumento apposito nelle intercapedini pertinenti. Compiendo il gesto parzialmente rotativo, di un pratico quanto funzionale avvitamento, che parrebbe idealmente appartenere ad un intelligente primate con tanto di pollici opposti alle rimanenti dita. Per coloro che non conoscono, grazie ad eventuali esperienze pregresse, l’opera altamente specializzata del crociere (gen. Loxia), passeriforme appartenente alla famiglia dei Fringillidi, non più lungo di 20 cm ma che può avere un effetto decisamente imponente sui mutamenti effettivi di una persistente situazione boschiva. Questo grazie ad un tratto somatico del tutto unico: il disallineamento, piuttosto pronunciato, della propria mascella e mandibola, ovvero le due parti sovrapposte del becco di cui possiedono l’utilizzo esclusivo. Il che tende a donargli un aspetto al tempo stesso insolito e vagamente inquietante, poiché sembra la conseguenza di una diffusa tipologia di deformità collettiva. Finché non si nota l’efficacia notevole del suo utilizzo elettivo, mentre supera agevolmente il principale ostacolo sulla via del quotidiano approvvigionamento per ciascun rappresentante di categoria, i loro familiari, la stessa prole che attende pazientemente nel nido…

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Oscure ali e la dimostrazione che che un becco aperto non significa benevolenza. Per i molluschi…

Era una giornata come tutte le altre nella parte settentrionale del parco Kruger, la più grande riserva naturale sudafricana. Un gruppo di turisti, appena scesi dal veicolo fuoristrada, si guardavano attorno con fare perplesso, mentre la guida sorrideva con intento benevolo ma carico di aspettativa. “Ed ecco dunque, come avevo annunciato” spiegò in inglese: “La pozza dove vengono a nutrirsi le cicogne nere. Anche se non riuscite a vederle, in questo preciso momento centinaia, se non migliaia di lumache acquatiche si muovono lentamente sotto la superficie.” Il vento mattutino soffiava lieve, e nessun segno di esseri viventi agitava la rada vegetazione della savana. Mentre l’uomo si produceva dunque in una pausa ad effetto, un ruggito distante tradì la presenza di un grande felino. 7 uomini e 3 donne, praticamente all’unisono, si voltarono nella stessa direzione. Un soffio di bassa pressione proveniente da est, all’improvviso, portò aria calda sulle loro guance sinistre. Accompagnato da un rumore rutilante, come il battito di una grande quantità d’ali. Uno alla volta, i viaggiatori portarono di nuovo il proprio sguardo in direzione della guida, che ora si era voltata nella direzione opposta, con le braccia saldamente piantate sui fianchi. Dinnanzi a lui, sulla riva scoscesa, tra i cespugli, sopra uno scarno albero di acacia che palesemente aveva visto giorni migliori, almeno una dozzina di fedeli imitazioni dell’angelo della morte. I poderosi uccelli, di circa un metro di altezza e una colorazione nera iridescente tendente al blu e marrone, sembravano ignorare totalmente gli intrusi. Alcuni già intenti a muovere la testa da una parte all’altra, immergendola ritmicamente in profondità nell’acqua fangosa. Altri avevano spalancato le ali, con l’evidente intento di scaldarsi al sole. Un paio di esemplari, affrontandosi con fare guardingo, facevano battere ripetutamente lo strano becco. Ma per ogni volta in cui le punte superiore ed inferiore si toccavano, la parte centrale rimaneva palesemente aperta. Lasciando penetrare, come niente fosse, la minacciosa luce dell’avvenire…
Ecco a voi, signori e signore, l’anastomo o “becco aperto” alias A. lamelligerus (…Avrebbe potuto spiegare il guardaparco) una creatura perfettamente adattata alla sua nicchia e che potremmo definirne, in un certo senso, l’assoluto dominatrice. Che campeggia sopra gli ippopotami mentre osserva il suo terreno di pesca, nonostante possa giungere a pesare 1,3 Kg. Ed ha fatto della ricerca subacquea di molluschi del genere Pila ed altri mitili una vera e propria arte, calibrata sulla base dei propri fenotipi dall’elevato grado di competenza. Non ci credete? Guardatelo al lavoro, mentre cerca tra il sostrato le conchiglie a forma di spirale, per poi mettersi a girarle da una parte all’altra senza neanche tirarle fuori dall’acqua. Potendo fare a meno, effettivamente, del senso della vista per trovare in modo tattile l’opercolo, o piede rigido che protegge il tenero animale all’interno. Procedendo allora ad inserire, come forbici infernali, la preminente arma lunga fino 196 mm e più alta che larga, praticando un abile strattone in direzione sinistra. Al che il tenero abitante viene espulso e sollevato, mentre il guscio resta integro in mezzo alla sabbia. E il collo si ribalta verso l’alto, mentre l’occhio immagina l’iconico rumore: SLURP!

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Tributo al bucero caruncolato, sovrano stravagante del Sulawesi

Compilare un elenco degli uccelli più magnifici, interessanti o particolari del mondo non sarebbe necessariamente un’impresa semplice: troppo soggettivo è il gusto estetico e le fondamentali opinioni che tendono a derivarne, in funzione dei fattori contestuali e il tipo di educazione estetica di cui si è stati destinatari. Qualunque sia il proprio luogo o nazione di provenienza, tuttavia, sarebbe particolarmente insolito non restare colpiti dal variopinto abitante pennuto di una singola isola dell’Indonesia, alto fino ad 80 cm e del peso massimo di 2500 Kg. Cupe le sue ali, come un draculesco mantello, eppure sormontate da una testa sopra il collo giallo candido che non sfigurerebbe nella ricostruzione fantastica di un dinosauro: gli occhi cerchiati di blu e una pappagorgia dello stesso colore. Inframezzati da un becco sproporzionatamente grande che ricorderebbe quello del tucano, se non fosse per la copertura di una placca zigrinata chiara e scura in regolare alternanza. Ed a ornare tutto questo, come la cresta impossibile sull’elmo di un centurione, una struttura ossea con la forma simile a una banana, di un marrone scuro e lucido, che rientra in un ciuffo di piume della stessa tonalità sfumata. La coda bianca a forma di ventaglio conclude quindi l’outfit di una creatura che potrebbe essere straordinariamente elegante, se non sembrasse ancor prima di questo fuoriuscita da un catalogo delle creature ritrovate sul quarto pianeta del sistema Vega. Eppure l’Aceros/Rhyticeros cassidix (a seconda che si voglia utilizzare la nuova o vecchia nomenclatura) è una presenza relativamente ricorrente nella terra emersa labirintina di Celebes, undicesima tra le isole maggiori del mondo. Dove con l’appellativo locale di Julang sulawesi vive, si riproduce e tenta di proteggere il suo territorio, in un mondo che cambia lasciandogli sempre meno spazio a disposizione, nonostante chiunque sia nominalmente pronto a rendere chiara la sua ammirazione. In quale altro luogo è possibile, d’altronde, osservare un simile prodotto magnifico della natura? La cui capacità d’adattamento è la diretta risultanza, per quanto ci è dato comprendere, di un’ampia nicchia ecologica e la sua capacità di sfruttarla con esplicita quanto invidiabile competenza. Almeno finché non giunse l’impossibilità fisica ed oggettiva di occupare, con le proprie piume, determinati ambienti…

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La risata del corvo abissino, attrezzato dinosauro tra i passeriformi

Molto sulle caratteristiche e le abitudini di un animale preistorico può essere desunto dalla forma del suo cranio. Il più prezioso tra i fossili, scatola nera, o bianca, o grigiastra del processo di evoluzione, tale parte dello scheletro originario costituisce lo spazio ospitante il cervello, l’apparato visivo e tutto ciò che occorre per poter procacciare e fagocitare il cibo. Eppure, talvolta, determinati misteri tendono a restare irrisolti: vedi il caso della lucertola di Muttabburra, erbivoro bipede del Cretaceo inferiore con la testa ragionevolmente piatta in senso longitudinale, ma che appariva triangolare quando vista dall’alto. E soprattutto fornita di una vistosa gobba o gibbosità in prossimità del muso, la cui funzione costituisce un saliente mistero della paleontologia contemporanea. Forse costituiva una caratteristica visuale utile alla riproduzione? Possibilmente favoriva la produzione di un verso altamente riconoscibile tra i consimili, per avvisare dell’arrivo dei terribili Afrovenator o Tyrannotitan? Di sicuro, esso non poteva condividere l’origine del fenotipo con la struttura biologica che oggi tende ad avvicinarvisi maggiormente: l’impressionante becco del Corvus crassirostris, il più imponente (ed impressionante) tra i tutti i passeriformi. Un volatile lungo tra i 60-64 cm, con 8-9 di “attrezzatura” nella parte frontale dedicata a strappare, sminuzzare, trangugiare bocconi degni di un un’aquila di medie dimensioni. Pur non essendo, d’altronde, primariamente né principalmente un carnivoro, bensì fagocitatore di praticamente qualsiasi cosa gli capiti a tiro, tra cui le carcasse scartate da praticamente qualsiasi altro uccello condivida il suo ambiente di provenienza, presso l’estremità del corno d’Africa e zone limitrofe del continente nero. Dove sussiste, non a caso, un nome alternativo per tale essere, che lo vede definito “corvo avvoltoio” il che in ultima analisi, evidenzia soltanto un aspetto della storia completa. Poiché una creatura di questa schiatta, lungi dall’essere un mero praticante della vita aviaria sulla base dei comportamenti istintivi e tutto ciò che questi comportano, è anche una presenza tra le più intelligenti ad essere ricoperte di piume e dotate d’ali, capace di comprendere concetti sofisticati come il desiderio, il lutto e la coscienza di se stessi, riuscendo facilmente a riconoscersi quando si guarda allo specchio. Il che dimostra, comparativamente a primati o delfini, la maniera in cui non soltanto una parte del corpo dall’utilizzo pratico, ma anche le strutture responsabili delle interconnessioni tra le diverse zone del cervello possano avere origini chiaramente distinte, giungendo a conseguenze innegabilmente parallele. E voci che si rivolgono, nella propria maniera, a zone distinte dell’umana ed incontrollabile immaginazione…

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