Il tenrec di pianura del Madagascar, elegante sibilo d’aculei dal contrasto evidente

Una notevole quanto insolita commistione di percorsi evolutivi converge nell’ordine dei mammiferi Afrosoricidi, al tempo stesso simili, ma geneticamente distinti dai comuni roditori dell’Eurasia e del Nuovo Mondo. Creature nate al fine di occupare un ampio ventaglio di nicchie di appartenenza, ecologicamente inclini a richiedere notevoli adattamenti e doti dall’alto grado di specificità. Ed è difficile immaginare in effetti che la talpa dorata, grande scavatrice quasi del tutto priva del senso della vista, possa essere strettamente imparentata ad esempio con il potamogale, anche detto toporagno-lontra per la propria affinità con gli ambienti acquatici e l’importanza di questi ultimi nel proprio stile di vita. E in un certo senso lo stesso vale per l’intera famiglia dei tenrec malgasci, abitanti dell’isola affacciata sull’Oceano Indiano dove i minuti mangiatori di vermi ed altri invertebrati, più o meno visibili nel sottobosco, si aggirano facendo affidamento sulle proprie spine impenetrabili per quanto concerne una vasta gamma di predatori. E sarebbe del tutto lecito, a tal proposito, paragonarli ancora una volta ad animali di cui abbiamo approfondite conoscenze, i piccoli ricci della nostra primavera che infelicemente invadono l’asfalto della carreggiata in cerca di ampi spazi ove spostarsi al termine di un lungo letargo. Laddove questi corrispettivi d’altro luogo, ad un’analisi più approfondita, altro non costituiscono che un caso di evoluzione sviluppatasi seguendo un tipo di sentiero parallelo, capace di raggiungere cionondimeno le stesse conclusioni evidenti. Forse una casistica in alcun caso più evidente, che in quello delle due specie del genere Hemicentetes, portatori dell’impenetrabile corazza dall’aspetto particolarmente insolito e distintivo della variante di pianura: gialli e neri come se portassero un costume d’ape, della grandezza simile a un criceto ma con il muso assai più aguzzo e forti zampe scavatrici. L’H. semispinosus che costituisce, da ogni punto di vista rilevante, un compatto carro armato incline a muoversi con decisione e precisione d’intenti, anche considerata la durata estremamente breve della sua esistenza su questa Terra: non più di tre anni, con un apice della fertilità corrispondente grosso modo alla prima estate, raggiunto appena un mese dopo l’ora della nascita all’interno della piccola buchetta di appartenenza. Caratteristica comune anche al suo cugino di altura H. nigriceps, di suo conto molto simile ma distinguibile più che altro dalla livrea in bianco e nero. Non che le due specie siano simpatriche, ovvero condividano il territorio fatta eccezione per alcune zone dall’estensione particolarmente limitata. Ove sfrecciano allo stesso tempo fuori, personaggi stravaganti e carichi di personalità, verso gli obiettivi che l’istinto gli ha permesso di aver chiari nel rudimentale ancorché sapiente occhio della mente. Guardiani di un antico metodo di vedere e articolare il mondo, così come la natura li ha plasmati attorno a un antenato comune, giunto nel Madagascar attraversando il canale del Mozambico a bordo di una zattera naturale, si ritiene attorno a 50 milioni di anni a questa parte…

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Lupo-coccodrillo ed orso-balena: binari tortuosi per l’evoluzione del cetaceo marino

Così perfetto, nelle sue forme. Tanto insolito a vedersi: dipinto coi colori della mente, sulla cima di un gibboso promontorio, in riva alle acque di un bacino idrico dimenticato. L’aspetto generale di un’antilope, la corporatura di un maialino, con la grandezza approssimativa di un gatto. Creatura il cui nome fu assegnato per la prima volta, circa 10 milioni di anni dopo che l’ultimo esemplare fu sopravanzato dalla marcia inarrestabile dell’estinzione: Indohyus. In tal modo scoperto nel 1983 da Thewissen e Bajpai, nella regione indiana di Kutch; non propriamente un polo archeologico di alto rilievo, né del resto ci sarebbe stato granché d’interessante nell’ennesimo mammifero vissuto durante il periodo del Miocene, caratterizzato forse dal più altro numero d’esperimenti biologici, in larga parte fallimentari, condotti parallelamente dalla natura. Almeno finché, esattamente 22 anni dopo, a un paleontologo statunitense sotto la supervisione di Thewissen capitò d’individuare una strana struttura ossea mentre puliva la collezione di fossili originariamente appartenuta al collega defunto A. Ranga Rao. Qualcosa che si rivelò essere, ad un’analisi più approfondita, indiscutibilmente un chiaro esempio d’involucrum, il sistema altamente distintivo usato dalle balene per percepire a distanza la propagazione dei suoni attraverso l’acqua di mare. La scoperta, per ovvie ragioni, risultò essere sensazionale: ecco finalmente il teorizzato “anello mancante”, la creatura situata tra gli originali ungulati preistorici e i cetacei moderni, individuabile come un antenato in comune tra questi ultimi e l’ippopotamo delle fangose pozze del Serengeti. Ora un’ampia serie di resti ossei accumulati nel corso degli ultimi decenni, sembrava assumere d’un tratto un diverso significato; tra questi, l’aggressivo aspetto del Pakicetus, probabile carnivoro dalla biologia e il comportamento ecologico paragonabili a quelli di un canide lupesco. La cui scoperta risaliva al 1981 ad opera di Philip Gingerich in Pakistan, essendo anch’esso caratterizzato da tratti della conformazione del cranio classificabili come pachyosteosclerosi, ovvero conduttivi ad un sistema uditivo marino. Il che non significava, d’altronde, che simili animali vivessero la maggior parte della propria esistenza completamente immersi nelle acque dell’oceano Paratetide, conduttivo alla creazione di un diverso ecosistema e ricche opportunità di prosperare. Facendovi ricorso, piuttosto, nel primo caso per sfuggire ad eventuali predatori, così come fatto dall’odierno iemosco acquatico (fam. Tragulidi) e nel secondo al fine di pianificare agguati, in maniera potenzialmente analoga a quella di un coccodrillo. Ipotesi, questa, fortemente confermata dalla particolare disposizione degli occhi sopra il cranio della creatura in questione, perfettamente idonei a rimanere immersa quasi totalmente mentre attendeva pazientemente il passaggio della propria vittima designata. Non propriamente la stessa cosa, delle odierne megattere che filtrano biomassa grazie all’uso dei lunghi fanoni…

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La segreta vita sotterranea e sociale del bizzarro “coniglietto” australiano

Pur considerando tutte le approfondite competenze filologiche e la portata metaforica della mente dei poeti, a volte l’unico strumento veramente in grado di fornirci una prospettiva differente è il contributo dei bambini. Rose-Marie Dusting, all’età di 9 anni, scrisse per gioco una storia nel 1968, che avrebbe cambiato per sempre la percezione di uno dei più trascurati animali del suo paese. Titolo: “Billy il Bilby pasquale australiano.” Strano accostamento. Se pensiamo ai lagomorfi nel continente d’Oceania, l’idea che si prospetta è quella di un’inarrestabile catastrofe delle catene alimentari. Da quando nel XIX secolo, per divertimento e per sport, il tipico coniglio europeo era stato introdotto intenzionalmente, senza la benché nessuna considerazione in merito alla sua capacità di proliferazione e il modo in cui poteva letteralmente invadere ogni valle, collina o prato un tempo unico appannaggio del ricco patrimonio faunistico locale. Non è difficile comprendere, per questo, la maniera in cui l’associazione di una delle feste principali del calendario a un terremoto di simile portata fosse stato lungamente giudicato inopportuno o quanto meno problematico, giustificando l’adozione su larga scala dell’ingegnosa, divertente proposta. Vi sono, dopo tutto, alcuni punti di contatto estetici tra questi animali tassonomicamente distanti. Tutti e due piccoli mammiferi, dal pelo folto e morbido, il corpo tondeggiante, le orecchie lunghe e mobili sopra la testa appuntita, così come la coda nel caso del bilby (Macrotis lagotis) più lunga e caratterizzata da una spessa banda di colore nero. Creature che vivono all’interno di buche nel terreno, benché cosa facciano all’interno, e come organizzino la propria esistenza, tra un riposo e l’altro, non potrebbe essere maggiormente diverso: erbivori i primi, come ben sappiamo, mentre onnivori i secondi, con una parte non indifferente della loro dieta composta da insetti, ragni, larve, lucertole ed qualche volta piccoli mammiferi, principalmente dei topi. Individuati grazie ai sensi straordinariamente sviluppati di questo predatore notturno, capace tra le altre cose di percepire le vibrazioni delle termiti sotterranee mentre si aggira in superficie. Il preambolo, generalmente, di un’intensa sessione di scavo messa in atto grazie alle sue zampe artigliate, con tre artigli ricurvi in grado di penetrare anche la terra più dura. Uno dei molti adattamenti di questa creatura dall’aspetto delicato, in realtà perfettamente in grado di sopravvivere in condizioni estreme come quelle dei vasti deserti australiani, regolando la propria temperatura corporea grazie ad espedienti fisiologici e la già citata tendenza a mantenersi nascosta nelle ore diurne. Finché il desiderio di interagire coi propri simili, oltre alla necessità di procacciarsi il cibo, non ne attira il muso vibrante in modo cauto fuori dalle sue buchette accuratamente mimetizzate…

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Il vestito invisibile del pipistrello, nudo imperatore nelle grotte dell’Asia orientale

La forma ideale di una creatura del mondo naturale non è sempre facile da determinare utilizzando unicamente l’impressione che se ne ricava. Sarebbe assolutamente logico, persino condivisibile, immaginare per i pipistrelli un paradigma simile a quello degli uccelli, glabri soltanto al momento della nascita e per i qual l’utilizzo delle piume è necessario alla sopravvivenza, in quanto un requisito imprescindibile al fine di poter spiccare il volo. Laddove le loro controparti che decollano dopo il tramonto dell’astro diurno, per lo meno nella stragrande maggioranza dei casi, volano soltanto grazie all’aerodinamica e la forma stessa del corpo, con ali membranose costituite da un sottile strato di pelle e l’unico rivestimento di una peluria fine, utile soltanto a proteggerli dal freddo e le intemperie del ciclo annuale dei mesi. Come aeroplani progettati con finalità designate all’interno di una galleria del vento, ogni altro aspetto di questa fisicità è la precisa risultanza delle forme necessarie ad instradare ed imbrigliare il flusso che genera portanza. I pipistrelli dalle ali corte ed ampie, ad esempio, sono più agili ma volano con una certa cadenza rallentata. Quelli che hanno arti sottili ed appuntiti come il Cheiromeles torquatus, risultano invece particolarmente veloci e decisi nello svolgimento delle proprie attività di foraggiamento. Che cosa succede, dunque, rimuovendo l’inutile pelliccia dall’equazione? Nella qui presente creatura definita per analogia con altre specie il “pipistrello bulldog nudo” dal suo primo classificatore nel 1824, l’americano Thomas Horsfield (1773-1859) è possibile trovare una risposta parziale all’importante domanda. Non fino in fondo perché, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il chirottero in questione presenta coperture irsute in vari punti del proprio corpo, inclusa la testa, la coda facilmente distinguibile capace di muoversi liberamente, il collo e le zampe davanti. Benché la pelle scoperta del resto del suo corpo basti a renderlo il singolo micro-pipistrello insettivoro più scattante della Terra (anche il più grande, con 138 mm di lunghezza) che fuoriesce dalle sue caverne come un missile a ricerca per ghermire termiti, ditteri, libellule e altri insetti, individuati grazie all’ecolocazione e trangugiati direttamente durante il volo. Un’attività che risulterebbe già abbastanza impressionante, nella sua pur innegabile utilità ecologica, senza menzionare la partecipazione contemporanea di fino a 20.000 esemplari ad un singolo evento, come documentato almeno una volta negli immediati dintorni di una vasta caverna in Borneo. Risultando una vista abbastanza frequente nell’intero estendersi di un areale fino alla Thailandia, la Birmania, le Filippine e Singapore da giustificare la famosa espressione di un articolo sull’argomento del 1979, in cui un giornalista dello Strait Times affermava: “È un volatile spennato, è un ratto maleodorante, no, è il pipistrello bulldog.” Uno strano modo, senz’altro, per celebrare una delle creature maggiormente riconoscibili di questo vasto habitat di provenienza…

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