Di scarabei antiacidi che sfidano i sensi unici e rinascono dal posteriore della rana

Ora sarà meglio che inizi a spiegarvi come ho fatto a ritrovarmi in questa situazione. Non è normale per noialtri prendere, in maniera più o meno intenzionale, il percorso relativamente oscuro della “retta” via. L’ano-nima condotta, il lato B, la strada ove non batte il sole. La Cloaca. Ma un insetto artropode lacustre deve fare, ciò che deve fare ovvero sopravvivere comunque, riportando indietro l’esperienza che contribuisce a renderlo davvero “maturo”. Poiché non puoi dire veramente di aver vissuto, finché non ha visto coi tuoi occhi compositi la disposizione interna degli organi del tuo nemico, in una sorta di lezione d’anatomia eccessivamente realistica, anche troppo calibrata sulla base della sperimentazione diretta. “Poteva essere la fine, invece è stato il nuovo inizio” amano da dire da queste parti. Che poi sarebbero l’intero territorio dell’arcipelago giapponese, oltre a Taiwan, Cina, Sud-Est Asiatico e il meridione di quel continente fino ad India e Pakistan. Con qualche piccola comunità distribuita in Arabia ed Australia settentrionale. Tutti luoghi in cui un Hydrophilidae o scarabeo raccoglitore d’acqua può ragionevolmente aspettarsi di prosperare, finché non incontra l’affamato anfibio che ogni giorno sogna, e con puro intento cerca di ottenere, la fagocitazione delle cose che zampettano ai vicini margini delle ansiogene impellenze. Insetti lunghi non più di 2-3 millimetri ma che cionondimeno possiedono, di loro conto, perfezionate strategie e risorse utili ad andare oltre. O come nel nostro caso di マメガムシ (il nome recita mamegamushi, puoi chiamarci se lo preferisci Regimbartia attenuata) l’assoluta… Immunità, nei confronti del pericolo pressante dell’altrui digestione.
Per la corazza chitinosa ma non solo, avendo ricevuto in dono dalla Natura l’ancestrale conoscenza e la prestanza fisica del tutto necessarie, per nuotare agevolmente lungo esofago stomaco, intestini fino alla letterale luce in fondo a un tunnel che sembrava non conoscere la parola fine. Laddove ogni essere che ha un punto d’ingresso deve necessariamente possedere, di suo conto, una possibile e altrettanto irrinunciabile via d’uscita. Benché non sia effettivamente scritto da nessuna parte che debba essere spaziosa, piacevole o dotata di un buon odore…

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L’effimera precarietà di chi tocca l’acqua con le ruote dell’aeroplano

Gli occhi lievemente lucidi e del tutto spalancati per l’ingente quantità di birra che aveva appena finito di trangugiare, il gioviale Oscar avvicinò le mani al fuoco, mentre assumeva un’espressione a metà tra il diabolico e l’entusiasta. Rivolgendo uno sguardo al suo pubblico eterogeneo, rivolse un breve cenno all’indirizzo della Luna, prima d’iniziare ancora una volta la disanima del suo racconto: “È la verità, vi dico. L’ho visto personalmente la scorsa estate, mentre mi trovavo sulle sponde del lago Santa Lucia. Con i coccodrilli che spalancavano la bocca spaventati, mentre un’intero stormo di fenicotteri tentava di eclissarsi alla velocità massima consentita dalle loro ali. La ragione di tutto questo? Un piccolo Piper giallo assolutamente privo di galleggianti, in prossimità dell’orizzonte, che si era progressivamente avvicinato all’acqua fino ad innalzare un’onda simile a quella del motoscafo. Un’eventualità apparentemente impossibile, finché non mi resi conto di quello che stava effettivamente succedendo: il pilota era letteralmente “atterrato” sull’acqua, che per buona misura era diventata rigida come la pista di un aeroporto! Strizzando gli occhi, allora, la vidi: la coppia di pneumatici anteriori del carrello d’atterraggio, parzialmente immersi sotto il pelo della superficie trasparente. Costui li stava, a tutti gli effetti, lavando…” Ci furono alcuni secondi di silenzio nell’accampamento di quell’affiatato gruppo d’amici, uniti da una passione di lunga data per il buon cibo e la storia dell’aviazione. Quindi una serpeggiante risata, progressivamente, si trasformò in un sonoro schiamazzo mentre i più vicini facevano a turno dargli pacche sulle spalle. Tutti conoscevano Oscar e la portata spesso improbabile delle sue storie. Senza nulla togliere alla chiara finalità di far divertire il prossimo, espresso con ogni singola fibra del suo modo di fare. Eppure una persona, in prossimità della tenda più vicina, lo stava scrutando con espressione intensa al candido risvolto di quei momenti. Circa una mezz’ora dopo, con la festa scemata e già diversi membri della congrega recatosi a riposare all’interno dei propri sacchi a pelo, Scully Levin lo avrebbe preso da parte, rivolgendogli una raffica di domande particolarmente impegnative. “Quanto credi che andasse veloce? L’aereo era parallelo al suolo? Aveva abbassato i flap? L’assetto ti sembrava stabile o veniva corretto di continuo?” Quasi come se veramente, la mattina successiva, l’esperto pilota tra i più vecchi membri del gruppo avesse maturato l’intenzione di tentare la stessa impresa.
Le cronache non riportano, in effetti, l’esatta data di questi eventi né l’orario in cui lo spericolato utilizzatore di velivoli avrebbe dato corpo al suo sogno di rendere un potenziale volo pindarico, tangibile ed impressionante verità. Appare ragionevole pensare d’altra parte che Levin abbia vissuto quest’esperienza attorno all’anno 2006, quando chiamando a se il gruppo affiatato della propria squadriglia acrobatica, i Flying Lions a bordo dei loro iconici Harvard col motore ad elica, decise di mettere in pratica la manovra dinnanzi a un pubblico riunito sulla sommità della diga Klipdrif, in prossimità di Potchefstroom. Siamo, come potrete forse aver già capito, nella parte settentrionale del Nord Africa, dove il pubblico apprezzamento per le più ineccepibili imprese compiute con mezzi volanti a motore è tale da aver permesso nelle ultime decadi la proliferazione di una notevole quantità di stormi privati ed autogestiti, estremamente competitivi nel contesto degli show di settore. Ed ogni novità possibile viene accolta, in genere, con considerevole entusiasmo collettivo…

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Scoperta l’altra rana che si nascondeva sotto il muschio di palude vietnamita

Quante volte, quanto tempo, quali giorni. Dei molti trascorsi allegramente, presso i margini più esterni della giungla nella florida regione di Việt Bắc. Con un sacco di amicizie, un sacco di cartine e un piccolo sacchetto d’erba, coltivata nei giardini della nostra pura sussistenza. Cibo…Fumo… Nutrimento, per l’anima e qualche volta la mente, utile al prolungamento dei momenti in cui dimenticare quel Difficile bagaglio di pensieri ereditati dalle circostanze. Questioni semplici & leggere, s’intende. Alterazioni lievi che non violino la legge di Hanoi. Niente che potesse giungere a creare un allucinazione… Come questa? L’erba che cammina? Quattro zampe ed una testa triangolare, un paio d’occhi neri che si affacciano dal bordo del sacchetto trasparente? E un suono tanto ripetuto ed insistente… Che riecheggia tutto attorno ai tronchi, senza nome e privo di una chiara direzione o provenienza. Come il canto stupefacente di un uccello, ma tradotto nella lingua dei roditori. “Ahimé ho visto un topo, un topo fatto d’erba.” Se non fosse per il modo in cui insisteva a muoversi, poco prima d’inoltrarsi fino al bordo di quel tronco. E quando con un balzo lieve, va per scomparire sotto il pelo dello stagno. Plof!
Questa una delle diverse circostanze, assai possibili ma non verificabili, in cui una siffatta creatura potrebbe essersi introdotta all’occhio degli spettatori umani. Accidentalmente, come si confà a creature tanto timide e incostanti, assai remote per l’estendersi del proprio habitat, tutt’altro che semplicemente raggiungibili, persino dalla scienza più determinata. Per cui se dici Theloderma fuori da un determinato ambiente, tutto ciò che ottieni è un senso di totale indifferenza, forse accompagnato dalla classica scrollata di spalle nei confronti di quel genere assai poco noto. Purché tu non stia parlando con figure professionali come quella del Dr. Tao Thien Nguyen del Museo Naturale del Vietnam ad Hanoi e i suoi diversi colleghi tedeschi, collaboratori dello studio pubblicato alla metà di marzo dedicato all’approfondita descrizione, e prima classificazione tassonomica, di quella che può soltanto essere una specie totalmente nuova: la T. khoii, trovata a 1.320-1.750 metri d’altitudine sopra il livello del mare. Una maestosa raganella, ricoperta di tubercoli sporgenti, la cui livrea su varie tonalità di verde appare totalmente indistinguibile da un pacco di muschio pressato venduto spesso nei negozi di modellismo. O altre… Più divertenti o alternativamente amorali concrezioni d’erba. Così come le altre sue parenti già note alla scienza, appartenenti a una ventina abbondante di specie diverse, assomigliano volutamente a strati di corteccia, foglie morte o addirittura guano d’uccello. Poiché chi vorrebbe mai provare ad assaggiare un simile rifiuto posto ai margini del sentiero? Fatta eccezione per l’eventuale cane… Coprofago… S’intende…

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La piccola creatura che congiunge il mondo dei mortali alla mitologia dell’antica Grecia

E se il brodo primordiale, nella propria trasparente sussistenza, avesse nella storica realtà dei fatti, costituito un’irrecuperabile stato di grazia? Il momento biologicamente più perfetto proprio perché puro nell’intento e la sua logica primaria di funzionamento, in cui ogni meccanismo, ciascun singolo rapporto tra le cause, contribuiva alla meccanica di base della Vita, l’Universo e tutto Quanto il Resto? Perché piccolo fino al punto di essere infinitesimale non vuole dire, necessariamente, “semplice”, mentre un singolo concetto può essere allungato, trasformato e interpretato finché assuma proporzioni logiche spropositate; rimanendo, nella sua sostanza, segretamente immutato. Nessuno può affermare chiaramente, quanto antico possa essere quest’organismo; poiché difficile risulta immaginare forme fossili di un essere che occupa tra i 10 e i 20 mm nel suo complesso, essendo privo di scheletro, guscio o qualsivoglia altre parte somatica inerentemente mineralizzata. Anche se, questione non da poco, per quanto ci è dato comprendere può essere difficile parlare di un’evoluzione… Quando è il singolo esemplare stesso, a poter essere sopravvissuto creando un filo ininterrotto dai preistorici recessi fino all’era delle macchine per cuocere il riso. Immortalità: chi non vorrebbe provarla, almeno una volta nella vita! La rinuncia pressoché completa ad ogni logica capace di condurre all’ora della fine, ovvero il presupposto imprescindibile a una scheggia luminosa di divinità. Così che soltanto il mero insorgere d’eventualità incidenti, ovvero la cruenta disgregazione della propria forma fisica, possa chiudere sopra di noi il sarcofago dell’ultimo tramonto e la dissoluzione che ne deriva. Eppure in questi strani giorni, persino un tale approccio può riuscire a risultare inefficace.
Lode all’Hydra sessile, come direbbe qualcuno: ecco un essere che non vuole proprio morire, ed anche quando sembra che stia per farlo, riesce spesso a ritornare più forte, e soprattutto numeroso di prima. Immaginate voi come sarebbe la nostra vita, se tagliandoci nel punto mediano potessimo rigenerare le due parti mancanti del nostro corpo, ritornando ad uno stato primigenio e indistinguibile per ben due volte dalla perfezione di partenza. Il che funziona tanto bene, nel caso della piccola creatura pluricellulare d’acqua dolce che rientra in questo genere, famiglia, ordine (Anthoathecata) classe (Hydrozoa) e phylum (Cnidaria) da costituire anche la base di funzionamento del suo processo riproduttivo “ideale” consistente nel processo cosiddetto di gemmazione. Che poi sarebbe la creazione di una piccola copia di se stessi, tentacoli e tutto il resto, la quale progressivamente cresce come la diramazione di una pianta. Per poi stringersi e staccarsi dal tubulo del corpo principale, deambulando allegramente verso i floridi confini della propria intima realizzazione, anni, secoli e magari addirittura interi millenni a questa parte. Poiché non importa quanto possa provarci, o intimamente desiderarlo nel profondo della sua rudimentale rete nervosa, un mero accenno di organo pensante… La vera entità che ha saputo meritarsi un tale nome mitologico semplicemente non può invecchiare. Avendo superato i limiti imposti a (quasi) tutte le creature dal processo universalmente noto come senescenza, data la rara assenza di proteine di tipo FoxO, coadiuvata dalla coesistenza di tre popolazioni indipendenti di cellule staminali. L’entropia, indesiderabile quanto inevitabile, della vista stessa…

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