Di scarabei antiacidi che sfidano i sensi unici e rinascono dal posteriore della rana

Ora sarà meglio che inizi a spiegarvi come ho fatto a ritrovarmi in questa situazione. Non è normale per noialtri prendere, in maniera più o meno intenzionale, il percorso relativamente oscuro della “retta” via. L’ano-nima condotta, il lato B, la strada ove non batte il sole. La Cloaca. Ma un insetto artropode lacustre deve fare, ciò che deve fare ovvero sopravvivere comunque, riportando indietro l’esperienza che contribuisce a renderlo davvero “maturo”. Poiché non puoi dire veramente di aver vissuto, finché non ha visto coi tuoi occhi compositi la disposizione interna degli organi del tuo nemico, in una sorta di lezione d’anatomia eccessivamente realistica, anche troppo calibrata sulla base della sperimentazione diretta. “Poteva essere la fine, invece è stato il nuovo inizio” amano da dire da queste parti. Che poi sarebbero l’intero territorio dell’arcipelago giapponese, oltre a Taiwan, Cina, Sud-Est Asiatico e il meridione di quel continente fino ad India e Pakistan. Con qualche piccola comunità distribuita in Arabia ed Australia settentrionale. Tutti luoghi in cui un Hydrophilidae o scarabeo raccoglitore d’acqua può ragionevolmente aspettarsi di prosperare, finché non incontra l’affamato anfibio che ogni giorno sogna, e con puro intento cerca di ottenere, la fagocitazione delle cose che zampettano ai vicini margini delle ansiogene impellenze. Insetti lunghi non più di 2-3 millimetri ma che cionondimeno possiedono, di loro conto, perfezionate strategie e risorse utili ad andare oltre. O come nel nostro caso di マメガムシ (il nome recita mamegamushi, puoi chiamarci se lo preferisci Regimbartia attenuata) l’assoluta… Immunità, nei confronti del pericolo pressante dell’altrui digestione.
Per la corazza chitinosa ma non solo, avendo ricevuto in dono dalla Natura l’ancestrale conoscenza e la prestanza fisica del tutto necessarie, per nuotare agevolmente lungo esofago stomaco, intestini fino alla letterale luce in fondo a un tunnel che sembrava non conoscere la parola fine. Laddove ogni essere che ha un punto d’ingresso deve necessariamente possedere, di suo conto, una possibile e altrettanto irrinunciabile via d’uscita. Benché non sia effettivamente scritto da nessuna parte che debba essere spaziosa, piacevole o dotata di un buon odore…

Egregi nuotatori nell’acqua sia stagnante che in movimento, gli scarabei giapponesi possiedono anche la capacità di volare. Particolarmente sviluppata negli esemplari lacustri, che devono gestire una maggior quantità di predatori. Carnivori allo stato larvale, i raccoglitori si trasformano successivamente (per l’appunto) in spazzini, capaci di nutrirsi esclusivamente di scarti e materiale vegetale.

Shinji Sugiura è lo scienziato dell’Università di Kobe che in totale solitudine, o almeno così possiamo desumere dalla singola firma sul suo studio del 2020, ha trascorso giorni, settimane e mesi a dare da mangiare scarabei al suo piccolo serraglio di anfibi anuri. Aspettando al termine del reiterato gesto, ogni volta in cui compiva il doloroso sacrificio dei piccoli coleotteri, il compiersi di un miracolo tanto bizzarro quanto innegabilmente interessante: la piccola testa, seguita dall’addome ellittico di color nero dai velati riflessi metallici multicolori, che sbucava dal foro posteriore del quadrupede di palude. Nella fattispecie il più delle volte un rappresentante della stirpe Pelophylax nigromaculatus, tipico abitante degli stagni o torrenti della rete idrografica giapponese. Uno spazio dove tutto sembra in grado di accadere, inclusa l’opportunità di evolversi, attraverso i giri plurimi della Ruota del Tempo, fino al punto di risolvere la fisima primaria della propria stessa sommersa esistenza. Un predatore a sua volta per lo meno durante lo stadio giovanile, mangiatore di larve di pesce o d’insetto ed altri membri della propria stessa genìa, il cosiddetto scarabeo raccoglitore giapponese non è d’altra parte tipo da arrendersi troppo presto o facilmente. Benché resti fin troppo facile immaginare l’espressione del ricercatore Sugiura, nel momento in cui l’ennesimo soggetto del suo esperimento greve fuoriuscì tramite la forza delle proprie stesse zampe dall’organismo gracidante che avrebbe dovuto costituire lo scenario della sua fine. Indigerito, indefesso, prosaicamente ricoperto di una certa quantità di feci ma la scienza insegna che le apparenze possono spesso trarre in inganno. Quando si osserva il manto dell’onore sulle spalle dell’incontrastato trionfatore. Così che lo scarabeo in questione, avrebbe scritto l’autore della nostra interessante ricerca, sarebbe in oltre il 90% dei casi ricomparso del tutto incolume all’altra estremità della trafila, dopo il trascorrere di un periodo varabile tra 6 e 115 minuti, ovvero prima che i succhi gastrici posseduti dal maculato divoratore potessero iniziare a compiere il loro lavoro. Ancorché con la crudele propensione del metodo sperimentale, il professore avrebbe provveduto in seguito a “legare” le sei zampe della preda con una minuscola quantità di colla, per poter comprendere quello che sarebbe effettivamente successo: la prevedibile, immancabile dipartita del piccolo scarabeo. Il che ha d’altronde dato luogo a un’ulteriore e importantissima deduzione: il modo in cui il mamegamushi non si limita semplicemente, se vogliamo, a “seguire il flusso” bensì ne anticipa effettivamente il tragitto, incrementando grazie al nuoto la rapidità nel compiersi del suo destino. Una situazione la quale, che ci crediate o meno, non che la punta dell’iceberg, se dovesse in seguito trovar conferma l’informato sospetto, elaborato da Sugiura in base alla mancanza di alcune zampe nelle sue vittime designate, che lo scarabeo massaggi effettivamente il colon stesso della rana, per anticipare il più possibile l’espulsione del materiale escretorio. E con esso, la trepidante via di fuga verso l’auspicabile ritrovamento della Libertà.

Attraverso il corso della sperimentazione, Sugiura avrebbe dimostrato come l’uso di rane di altre specie non compromettesse le ottime prospettive di sopravvivenza dello scarabeo R. attenuata, mentre l’utilizzo dei suoi cugini culminasse frequentemente con la dipartita nei succhi gastrici e conseguente inevitabile digestione.

Scarabei fortissimi, scarabei prestanti, scarabei intelligenti ed a loro modo in grado di sorprendere rispetto alla premesse delle sfortunate circostanze. Il mondo degli insetti è pieno di creature che dimostrano capacità maggiori rispetto alla somma e proporzioni delle loro parti. Il che lascia immaginare, per l’epoca preistorica in cui l’ossigeno era più denso e gli artropodi crescevano per questo a dismisura, un ecosistema straordinariamente imprevedibile, ricco di metodologie finalizzate a incrementare le proprie varabili chanche di giungere all’evento riproduttivo.
E non è del resto anche possibile, nell’effettivo dipanarsi del processo evolutivo, che in qualche momento pregresso nella storia degli scarabei sia diventato un tratto desiderabile, persino attraente per i potenziali partner proprio il fatto di essere sopravvissuti allo scomodo passaggio dentro l’intestino della rana? Dimostrando come la bellezza risieda esclusivamente nella mente dell’osservatore. Ed un cuore e una capanna contino, nella maggior parte delle circostanze, molto più di un bel viso o palpi mascellari dalla lunghezza sensibilmente superiore alla media.

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