La lunga crociata tecnologica di un uomo contro i grizzly e la materia oscura

Chiunque abbia mai affermato “la miglior difesa è l’attacco” per quanto ci è possibile desumere, non doveva provenire dalle vastità settentrionali del continente nordamericano, dove tutti chiedono scusa e si utilizza come dolce condimento la resina processata di elevate quantità di aceri, tra una partita di hockey e l’altra. Questo perché in Canada, inoltrandosi oltre i confini degli spazi cittadini, è possibile incontrare il tipo d’animale che notoriamente non si ferma di fronte a nulla, quando si tratta di procurarsi e sottomettere una possibile fonte di cibo. E sia chiaro che non sto parlando di amichevoli orsi bruni, non più grossi e pesanti di un qualsiasi mastino tibetano, bensì “l’orribile” Ursus Arctos, dal manto con il colore del grano appena raccolto, e fino a 680 Kg per lo più composti di muscoli, denti ed artigli. Una creatura non meno terrificante di un dragone dei bestiari medievali e che come quest’ultimo, parrebbe sottintendere una serie di specifiche contromisure, non ultime le protezioni benedette di uno scudo, alto cimiero ed armatura scintillante impenetrabile dal fuoco ed altri attacchi magici di varia entità. Così come desiderata istintivamente, molto probabilmente, dal giovanissimo Troy Hurtubise nel corso del suo incontro accidentale col plantigrado in questione mentre si trovava in campeggio attorno all’età dei 15 anni, fortunatamente senza la materna preoccupazione per i cuccioli a complicare ulteriormente la situazione. L’inizio di una sorta di ossessione in merito a questa particolare tipologia d’animali, tale da instradare la sua passione intramontabile per l’ingegno e l’invenzione verso l’obiettivo assai sentito di creare il più perfetto e irresistibile spray anti-orso commercializzato nella storia contemporanea. Se non che il proprio possesso di una rivendita di rottami metallici, verso la metà degli anni ’90, gli avrebbe fornito gli strumenti e materiali per tentare d’iniziare a perseguire il suo sogno. Quello di essere del tutto invulnerabile, ovvero sostanzialmente impervio ad un qualsiasi tipo di assalto ursino. Enters the bear suit: in origine, una sorta di tuta da motociclista imbottita ed inspessita con pannelli metallici, capace d’anticipare forse accidentalmente (ma chi può dirlo, davvero?) la corazza esoscheletrica MJOLNIR del super-soldato videoludico Master Chief. Un vestimento dal notevole potenziale protettivo, ben presto messo alla prova mediante una serie di possenti sollecitazioni fisiche, ivi inclusi colpi vibrati dagli amici con assi di legno, salti all’interno di un dirupo e investimenti intenzionali con veicoli a motore, preventivamente dotati di materassi nella parte frontale al fine di evitare spiacevoli danneggiamenti della carrozzeria. Il che sarebbe stato già abbastanza assurdo, se non fosse per il piccolo dettaglio nonché fondamentale ragion d’essere dell’intera campagna progettuale: la presenza dello stesso Hurtubise all’interno della tuta per l’intero tempo necessario, noncurante delle possibili lesioni interne o esterne causate da un simile regime del tutto privo di pietà. Il che sarebbe giunto a costituire, quasi per caso, l’inizio della sua imperitura leggenda…

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L’enorme sentinella cingolata che attende con pazienza il decollo del razzo Artemis

Torri sorgono direttamente dal terreno, monumenti crescono vicino ai margini di agglomerati dislocati sulla forma di un esagono essenziale. Ed una volta giunti al punto di svolta finale, il razzo che permette di condurre una missione verso Alpha Centauri, obiettivo finale della partita, compare sulla sua rampa di lancio al volgere dell’anno 2100, sancendo il concludersi di un viaggio lungo quanto i primi 12 millenni di civilizzazione umana. Nei giochi di strategia, la costruzione delle meraviglie o infrastrutture (molto) significative avviene sempre nel giro di svariati turni, corrispondenti ad anni, lustri, decadi d’intenso lavoro. Ma una volta completata l’opera, si passa istantaneamente da 0 a 100: il risultato appare già fatto e finito nella sua posizione finale. Mentre cosa dire del ponderoso reame fisico, dove ogni spostamento è frutto di copioso sudore della fronte, impegno, olio di gomito ed olio del motore. D’imponenti mezzi da cantiere, come ruspe, montacarichi e gru di sollevamento? Non solo. Quando esiste il caso d’ingombranti grattacieli, che necessitano d’essere assemblati all’interno di strutture artificiali ancor più grandi. E soltanto in seguito a una tale circostanza, trasportati nel luogo in cui dovranno compiere l’impresa per cui hanno avuto l’occasione di essere creati, con notevole dispendio di risorse tecnologiche ed umane. Questo perché le loro piattaforme di partenza, situate lungo quella stretta penisola che viene definita sulle mappe Florida, risultano naturalmente esposte a potenziali fenomeni atmosferici nefasti, quali tempeste ed uragani stagionali. Perciò è obbligatorio concepire la preparazione al culmine di tali circostanze, come uno stato effimero e del tutto transitorio tra la stasi ed il decollo verso le regioni empiree rispetto al pianeta Terra, una via di fuga necessariamente rapida dai tormenti e pericoli di un luogo tanto tormentato ed incerto. Così che venne determinato, fin dal remoto 1964 alle origini del progetto Apollo, che Cape Canaveral dovesse essere dotato del suo personale sistema di trasporto per carichi eccezionali. Ingombri pari a 9.000 tonnellate, per essere più precisi. Un’idea per la quale venne coinvolto l’Ames Research Center, ed in seguito dato l’appalto alla Marion Power Shovel Company, una compagnia specializzata nella costruzione di giganteschi mezzi minerari, affinché ne assemblasse i primi ed unici due esempi direttamente sul terreno del NASA Space Center. Poiché nessuna strada umana, allora come adesso, avrebbe avuto una larghezza e solidità sufficiente da riuscire a contenerli. I Crawler Transporter 1 e 2, ben presto soprannominati Hans e Franz per analogia con i celebri culturisti umoristici del Saturday Night Live, furono quindi concepiti per spostarsi unicamente su altrettanti viali appositamente posti in essere, mediante l’utilizzo di uno strato profondo 2 metri di pietre di fiume dell’Alabama e del Tennessee, appositamente selezionate per la loro resistenza e compattezza strutturale, persino sul terreno cedevole delle pianure floridiane. Ciascuna direzionata verso i siti di lancio 39A e 39B, per una trasferta altamente predeterminata lunga rispettivamente 5,5 e 6,8 Km, completata in genere alla velocità di 1,6 Km all’andata, e circa il doppio sulla strada del ritorno. Non prima, tuttavia, che il veicolo d’esplorazione spaziale situato sulla base della piattaforma sia stato abbassato assieme alla base di lancio nel punto dove potrà finalmente accendere i motori, e comunque rimanendo in attesa che una simile spettacolo abbia avuto inizio, dinnanzi agli occhi attenti di quella parte del mondo interessata all’esito di quanto era stato originariamente promesso…

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La strana marcia dei veicoli con un pallone aerostatico al posto del serbatoio

Il che aveva perfettamente senso, purtroppo. La signora Taylor guardò intensamente suo marito, riassumendo nella propria mente i numerosi argomenti accampati sino a quel momento a demerito del piano di suo marito. Difficile immaginare, in fin dei conti, una maniera per spuntarla contro uno che aveva fatto ritorno tutto intero dai campi di battaglia della Grande Guerra, partecipando ad allegre riunioni sociali come il conflitto navale delle Jutland nel Mare del Nord, o la feroce avanzata di fanteria della Somme. “Tu…I mei figli… Sopra quel trabiccolo…” Tentò di accampare come ultima offensiva verbale, ma in quel preciso momento vide Sarah, Dorothy e Cecil emergere dall’ingresso principale di casa, con un gran sorriso stampato sui loro volti. Avevano le borse per la scuola, per cui ormai sarebbero arrivati in ritardo vista la partenza dell’ultima charabanc. E capì di aver perso. “E va bene, fai come ti pare. Quando, e sottolineo non SE, quell’affare esploderà, sarà meglio che ti sacrifichi proteggendoli con il tuo stesso corpo.” Lui sorrise per sdrammatizzare, controbattendo per un’ultima volta le comprensibili obiezioni di una madre. Quindi fece un cenno ai piccoli di saltare in sella dietro al grosso dirigibile, mentre controllava attentamente la pressione col manometro collegato alla canna da innaffiatura. “Nessun problema, signore. Siamo pronti a partire!” Esclamò Cecil con gioia. Oh si, eccome. Mi era mancata questa dannata motocicletta. Tornare a casa dopo aver vissuto l’inferno in cinque anni di dure battaglie, soltanto per scoprire come il proprio oggetto preferito necessiti di almeno 12 diversi pezzi di ricambio. E quando finalmente sei di nuovo pronto a salire in sella, scoprire che la benzina è nuovamente razionata, e soltanto pochi fortunati possono impiegarla per spostarsi in giro per le strade della Gran Bretagna! Ragione sufficiente per guardarsi attorno, indietro e avanti allo stesso tempo. Fino all’individuazione di un possibile sistema per emergere vittoriosi dalla problematica contingenza. Con un gesto magniloquente seguito dal saluto militare, in risposta all’entusiasmo del figlio, il tenente guardiamarina staccò per l’ennesima volta il cordone ombelicale di rifornimento. Permettendo alla valvola di chiudersi, e applicando il tappo di sicurezza per buona misura. Quindi, dovendo necessariamente chinarsi a differenza di bambini per girare attorno alla sua Champion modificata nell’angusto spazio del garage, impugnò il manubrio e cominciò a spingerla fuori dallo spazio usato per custodirla. La porta principale, per ovvie ragioni, era stata lasciata cautamente aperta. “Cara, potresti…” Cominciò a chiedere cortesemente, prima di accorgersi che lei si era già spostata presso il punto di approvvigionamento principale del gas cittadino, provvedendo a chiuderne il rubinetto a farfalla. “Sapevo di poter contare su di te!” Esclamò, ascoltando la risata contemporanea di Sarah e Dorothy nella parte posteriore del sidecar acquistato l’estate scorsa. Quindi, delicatamente, ma con decisione, girò la manopola della potenza, iniziando a spostarsi lentamente in avanti. L’ingombrante attrezzo, forse il più bizzarro mezzo di trasporto ad aver mai circolato per la contea di Nottingham, fece il proprio ingresso sul palcoscenico delle strade locali. Mentre borbottando allegramente, continuava ad accelerare.
Una sacca… Di gas? Perché no. È particolarmente difficile immaginare un sistema più efficace, al principio degli anni Venti, per incamerare e rendere utilizzabile la più portatile e leggera di tutte le fonti potenziali d’energia veicolare, persino più economico da produrre e implementare del comune recipiente in lamiera di ferro per la benzina dei veicoli a combustione interna. Dopo aver tentato la fortuna, per più di mezzo secolo, con carri semoventi alimentati dalle sostanze o metodologie più diverse, inclusa prevedibilmente l’elettricità. Ma se c’è un problema fondamentale di tale approccio allo spostamento delle persone, è che deve essere previsto nel veicolo al momento in cui esce dalla propria fabbrica di partenza. Qualcosa di assolutamente ininfluente, quando ci si deve barcamenare in un mondo in cui la benzina è diventata più costosa, ed invero anche maggiormente rara, del vermiglio sangue scaturito dal profondo del sistema circolatorio umano…

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Come perdersi danzando nell’arcano dedalo della sapienza ad Haikou

Negli antichi testi dedicati all’eredità dei sapienti, la letteratura cinese parla di un’epoca in cui le persone particolarmente longeve potevano controllare la natura. Dopo aver compiuto un complicato tragitto, avendo potenziato la propria coscienza e personalità fino ai massimi livelli raggiungibili da un essere umano, essi potevano volare, respirare sott’acqua, persino rifiutare di arrendersi alla fine dell’esistenza. Disinteressati dal mondo e il vivere civile, quindi, costoro si recavano sulle montagne alla ricerca di un distante eremo, dove isolarsi totalmente dal resto delle persone. Qualche volta, sceglievano semplicemente una caverna. In certi altri casi, cantando a una particolare frequenza, o tramite l’applicazione della pura volontà e dei gesti, rendevano la pietra malleabile come fosse argilla appena estratta dalle profondità di un fiume. Ed al termine di poche, intense ore di lavoro, disponevano di un luogo adatto alla meditazione non soltanto come un semplice rifugio, in quanto valido a massimizzare il corso e la destinazione ultima dei propri ragionamenti. Una continuazione, piuttosto che il santuario della propria solitudine, di tutto quello che c’è attorno fino agli ultimi confini dello spazio e del tempo. O in casi più tangibili e attuali, dell’Oceano che riflette il principale astro celeste. Di una luce adatta a penetrare ed insinuarsi, negli strati permeabili ed assolutamente candidi della Wormhole Library di Ma Yansong. L’architetto e professore dell’Università di Tsinghua, dal 2004 a capo del suo studio MAD Architects, che potremmo definire come uno dei pochi membri della propria professione provenienti dalla Cina, ad essere famosi su scala internazionale nell’epoca corrente. In un paese dove l’attribuzione dei principali edifici costruiti localmente, per quanto eccezionale, viene dedicata ufficialmente ad una scuola o addirittura il committente, quando non coinvolge paradossalmente un celebre autore di provenienza occidentale, dimostrando un novero di doti largamente superiori alle aspettative di molti. Per progetti grandiosi ed impressionanti quali gli appartamenti organici della Hutong Bubble (2009, Pechino) l’ondulatorio Museo della Mongolia ispirato al deserto del Gobi (2011, Ordos) ed il futuro Museo della Narrativa simile ad un’astronave atterrata a Los Angeles, con un completamento previsto entro la fine dell’anno 2023. Laddove la nuova proposta per il lungomare della città isolana di Haikou, nell’estrema parte meridionale del paese, appare al confronto quasi minimalista nella sua essenzialità e l’altezza di un singolo piano. Per quanto possa esserlo una costruzione che esula da qualsivoglia tentativo d’incasellamento, rispondendo unicamente a logiche geometriche derivanti dall’interazione tra il gusto personale del creatore ed il suo specifico ambiente d’implementazione. Per 1.380 metri quadri circondati da un vasto giardino, contenenti “oltre 100.000 libri”, spazi pubblici ed una sala conferenze dedicata alla presentazione o esibizione di personaggi del mondo della cultura. Come la ballerina Zhang Qiaoqiao, coinvolta dallo studio videografico Nishinaka (a.k.a. Coppakstudio) per un video fortemente emozionale dedicato a far conoscere al mondo digitale questo recente edificio, inaugurato ad aprile dell’anno scorso dopo i circa 3 anni trascorsi dall’inizio della sua costruzione. Attraverso un eccezionale susseguirsi di spazi vasti e angusti pertugi, spesso culminanti in fori sempre più stretti con lo scopo principale di creare una continuità tra gli ambienti. Tanto che la biblioteca, chiamata Chóng dòng (虫洞 – wormhole) con riferimento alle speculative porte cosmiche di Einstein-Rosen, viene descritta come totalmente priva di stanze, rappresentando in modo atipico un tutt’uno completo ed indiviso. Nel quale, pur non trovando occulte vie di trasferimento verso le remote regioni dello spazio esterno, il visitatore è chiamato a sentirsi parzialmente immerso e in qualche modo parte vivente del notevole scenario antistante, niente meno che il tiepido Mar della Cina Meridionale. Un’obiettivo complesso per chiunque, ma (forse) non Ma Yansong…

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