La strana marcia dei veicoli con un pallone aerostatico al posto del serbatoio

Il che aveva perfettamente senso, purtroppo. La signora Taylor guardò intensamente suo marito, riassumendo nella propria mente i numerosi argomenti accampati sino a quel momento a demerito del piano di suo marito. Difficile immaginare, in fin dei conti, una maniera per spuntarla contro uno che aveva fatto ritorno tutto intero dai campi di battaglia della Grande Guerra, partecipando ad allegre riunioni sociali come il conflitto navale delle Jutland nel Mare del Nord, o la feroce avanzata di fanteria della Somme. “Tu…I mei figli… Sopra quel trabiccolo…” Tentò di accampare come ultima offensiva verbale, ma in quel preciso momento vide Sarah, Dorothy e Cecil emergere dall’ingresso principale di casa, con un gran sorriso stampato sui loro volti. Avevano le borse per la scuola, per cui ormai sarebbero arrivati in ritardo vista la partenza dell’ultima charabanc. E capì di aver perso. “E va bene, fai come ti pare. Quando, e sottolineo non SE, quell’affare esploderà, sarà meglio che ti sacrifichi proteggendoli con il tuo stesso corpo.” Lui sorrise per sdrammatizzare, controbattendo per un’ultima volta le comprensibili obiezioni di una madre. Quindi fece un cenno ai piccoli di saltare in sella dietro al grosso dirigibile, mentre controllava attentamente la pressione col manometro collegato alla canna da innaffiatura. “Nessun problema, signore. Siamo pronti a partire!” Esclamò Cecil con gioia. Oh si, eccome. Mi era mancata questa dannata motocicletta. Tornare a casa dopo aver vissuto l’inferno in cinque anni di dure battaglie, soltanto per scoprire come il proprio oggetto preferito necessiti di almeno 12 diversi pezzi di ricambio. E quando finalmente sei di nuovo pronto a salire in sella, scoprire che la benzina è nuovamente razionata, e soltanto pochi fortunati possono impiegarla per spostarsi in giro per le strade della Gran Bretagna! Ragione sufficiente per guardarsi attorno, indietro e avanti allo stesso tempo. Fino all’individuazione di un possibile sistema per emergere vittoriosi dalla problematica contingenza. Con un gesto magniloquente seguito dal saluto militare, in risposta all’entusiasmo del figlio, il tenente guardiamarina staccò per l’ennesima volta il cordone ombelicale di rifornimento. Permettendo alla valvola di chiudersi, e applicando il tappo di sicurezza per buona misura. Quindi, dovendo necessariamente chinarsi a differenza di bambini per girare attorno alla sua Champion modificata nell’angusto spazio del garage, impugnò il manubrio e cominciò a spingerla fuori dallo spazio usato per custodirla. La porta principale, per ovvie ragioni, era stata lasciata cautamente aperta. “Cara, potresti…” Cominciò a chiedere cortesemente, prima di accorgersi che lei si era già spostata presso il punto di approvvigionamento principale del gas cittadino, provvedendo a chiuderne il rubinetto a farfalla. “Sapevo di poter contare su di te!” Esclamò, ascoltando la risata contemporanea di Sarah e Dorothy nella parte posteriore del sidecar acquistato l’estate scorsa. Quindi, delicatamente, ma con decisione, girò la manopola della potenza, iniziando a spostarsi lentamente in avanti. L’ingombrante attrezzo, forse il più bizzarro mezzo di trasporto ad aver mai circolato per la contea di Nottingham, fece il proprio ingresso sul palcoscenico delle strade locali. Mentre borbottando allegramente, continuava ad accelerare.
Una sacca… Di gas? Perché no. È particolarmente difficile immaginare un sistema più efficace, al principio degli anni Venti, per incamerare e rendere utilizzabile la più portatile e leggera di tutte le fonti potenziali d’energia veicolare, persino più economico da produrre e implementare del comune recipiente in lamiera di ferro per la benzina dei veicoli a combustione interna. Dopo aver tentato la fortuna, per più di mezzo secolo, con carri semoventi alimentati dalle sostanze o metodologie più diverse, inclusa prevedibilmente l’elettricità. Ma se c’è un problema fondamentale di tale approccio allo spostamento delle persone, è che deve essere previsto nel veicolo al momento in cui esce dalla propria fabbrica di partenza. Qualcosa di assolutamente ininfluente, quando ci si deve barcamenare in un mondo in cui la benzina è diventata più costosa, ed invero anche maggiormente rara, del vermiglio sangue scaturito dal profondo del sistema circolatorio umano…

I contenitori per il syngas potevano essere posizionati praticamente sopra ogni veicolo immaginabile incluse le ambulanze, in forza del loro peso particolarmente ridotto. Il rifornimento tuttavia, data la bassa pressione di quel fluido, tendeva a richiedere diverse ore, a meno di disporre di appositi tubi di grande diametro da raccordare all’impianto di casa.

L’idea nacque all’apice del conflitto ed aveva numerosi punti di forza. Si trattava di una soluzione alternativa, relativamente economica, capace di trarre beneficio dalle infrastrutture esistenti e soprattutto valida a risolvere il problema di una risorsa sempre più razionata all’apice del conflitto armato che avrebbe posto fine ad ogni altra guerra (?). Pur presentendo una quantità almeno pari, e parzialmente irrisolvibile, di ostacoli alla totale realizzazione del suo potenziale inerente. Derivante dall’incamerare quantità copiose del cosiddetto “gas cittadino” o syngas, una miscela di monossido di carbonio, metano e anidride carbonica ottenuta collateralmente dalla produzione della coke e usata per il riscaldamento delle case, in un contenitore utile allo spostamento ben diverso dalla tipica bombola di metallo. E collegandolo direttamente al carburatore dell’automobile (o nel caso eclettico mostrato in apertura, la moto) di famiglia. Qualsiasi veicolo dotato di motore a combustione interna è d’altra parte una versione fortemente evoluta di una locomotiva a vapore, capace di trasformare l’energia termica nel sollevamento e abbassamento dei cilindri, e il conseguente moto rotatorio degli pneumatici a contatto con il manto stradale sottostante. Per cui non servono modifiche importanti al motore, una volta che s’intenda cambiare l’origine di tale mutamento della stasi nel principio generativo imprescindibile del traffico stradale. Quello che serviva, invece, era un metodo per trasportare un carburante il cui rapporto di efficienza col petrolio raffinato era misurabile attorno ai 2/3 metri cubici contro un singolo litro, facendo condizionare sensibilmente l’autonomia del veicolo dalla grandezza del suo recipiente. Da che l’idea di usare grosse sacche morbide, relativamente leggere, tanto massicce da dover trovare posto in genere sul tetto degli autoveicoli, degli autobus o sopra il grosso sidecar di una motocicletta come quella dell’ignoto padre di famiglia raffigurato nella foto d’epoca mostrata in apertura. Questo perché all’epoca risultava molto complesso, nonché pericoloso, tentare la compressione del syngas, senza neppure entrare nel merito della maniera in cui una parte significativa della preziosa sostanza, una volta ridotta nelle dimensioni, tendesse a diventare idrogeno, capace di fuggire facilmente tra le trame del tessuto utilizzato al fine di contenerlo. Dalla principale questione da affrontare dunque, l’ingombro del suddetto sacco, derivava un’ampia serie di contrattempi. Poiché il gas cittadino aveva infatti un peso trascurabile, se non addirittura negativo in base alla composizione specifica della sua miscela, quello che risultava maggiormente complesso era trovare un metodo per assicurarlo al tetto senza che prendesse il volo al raggiungimento di determinate velocità. Ragion per cui raramente le auto o moto con la sacca potevano superare i 25-30 Km orari, anche in condizioni di vento pressoché pari a zero. E nel caso di raffiche di vento laterali, purtroppo, il rischio di cappottamento era tutt’altro che remoto.
Dopo le prime sperimentazioni e il perfezionamento nel periodo tra le due guerre, il sistema veicolare delle sacche di gas, anche chiamate sacche di carbone per l’origine del fluido contenuto all’interno, si diffuse rapidamente tra Inghilterra, Francia e Germania. Così che all’implementazione delle già tristemente note misure di austerità nel consumo di benzina, cibo e altre importanti risorse belliche, la gente rimasta a casa non dovette affatto fare a meno della libertà concessa da un mezzo di trasporto dotato di motore. Di particolare interesse storiografico, in altre foto d’epoca trovate principalmente negli archivi tedeschi, era l’occasionale impiego della sacca di gas in veicoli impiegati per il trasporto militare. Poiché anche se un panzer o scafo da sbarco con la bomba pronta a esplodere sopra la corazza non avrebbero potuto di certo affrontare il fuoco nemico, essi risultavano perfetti al fine di condurre l’addestramento delle truppe, senza il consueto dispendio del prezioso fluido utilizzato per alimentare l’altamente mobile macchina da guerra che aveva inventato il blitzkrieg. Almeno finché giorni maggiormente tranquilli, e leader ragionevoli, potessero guidare il paese fuori dal profondo baratro ed isolamento in cui aveva finito per sprofondare.

Negli anni ’20 numerosi alcuni servizi di taxi alimentati con la sacca di gas entrarono in funzione nel territorio della Gran Bretagna. Il loro principale concorrente era il charabanc trainato dai cavalli, una sorta di piccola diligenza.

Giunti al punto della trattazione in cui generalmente si fa cenno al possibile universo alternativo, in cui tutti i veicoli contemporanei hanno un pallone sopra il tetto e i soffitti dei tunnel sono stati alzati in media di un paio di metri nelle principali capitali europee, sarà per me opportuno a questo punto far notare come non c’è stato nulla di steampunk, dieselpunk o qualsiasi altro tipo di ucronia pseudo-letteraria nello speculare in merito a una simile società alternativa. Questo perché alcune delle prime vetture costruite al mondo, come la Marquise di De Dion del 1884, erano parimenti alimentate con il gas prodotto dal carbone. Soltanto che in quel caso tale processo avveniva sul posto, in due caldaie integrate nel veicolo stesso. E non è forse vero che i futuri veicoli ad idrogeno, puliti, potenti, versatili, costituiranno null’altro che un’evoluzione possibile della stessa sacca magica della prima metà del Novecento? Dopo tutto, se analizziamo le stesse automobili elettriche impiegate al giorno d’oggi, non è del tutto irragionevole affermare che la loro energia giunga almeno in parte dalle vecchie centrali a carbone di cui il mondo non riesce a liberarsi. L’alternativa, in fin dei conti, è puro e ancora anacronistico atompunk. E non tutti sembrerebbero inclini, loro e nostro malgrado, ad assumersi la responsabilità di eventuali imprevisti su quel particolare cammino.

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