L’ascensore a moto perpetuo delle università inglesi

Paternoster

Andare in un posto significa sanzionare un certo dispendio di energia, sia questa muscolare, di un veicolo o altri dispositivi semoventi. Una volta giunti lì, guardando verso il punto di partenza, non si riesce più a capire cosa realmente ci ha portato a destinazione. Sono state le calorie spese dal nostro corpo? Il motore dell’automobile? O piuttosto dovremmo ringraziare la strada stessa, intesa come striscia d’asfalto, vettore percorribile dell’umano bisogno di essere altrove? Se gli agglomerati urbani davvero costituiscono nei fatti degli organismi artificiali, come teorizzato da certe correnti dell’architettura moderna, loro inevitabile prerogativa sarebbe un complesso sistema linfatico, fatto di vie, piazzette, varchi, semafori e passaggi sotterranei. Con uomini e donne, globuli rossi perennemente in cerca d’ossigeno, intenti a percorrerli verso delle destinazioni prestabilite, godendosi soltanto l’illusione del libero arbitrio. Uno stato ideale il quale, più che in ogni altro luogo, trova la sua realizzazione nelle trombe verticali dotate di un cabinato semovente. Diciamo che, al termine del suo quotidiano viaggio da pendolare, l’individuo/globulo abbia raggiunto l’edificio di un posto di lavoro, della scuola o dell’ufficio pubblico in cui aveva necessità di recarsi. La sua cellula elettiva. Con passo sicuro, si reca in direzione del dispositivo automatico di dislocazione verticale, l’ascensore. Preme un pulsante, la porta si apre obbediente, un ricco ventaglio di opportunità si presentano dinnanzi al suo sguardo, pieno d’aspettativa. Primo, secondo terzo piano…Il suo appuntamento è al sesto, valuta con attenzione e tramite un dito fermissimo esercita la sua scelta.
Mille persone, soltanto quest’oggi, hanno già fatto la stessa identica cosa. Ma lui si sente speciale, mentre la porta si chiude obbediente. Ancora una volta la fisica si è piegata alla volontà umana? Ebbene…Per una buona metà del secolo scorso in Europa, e soprattutto nei grandi edifici inglesi, c’era un modo diverso per salire e scendere a un piano. Il suo inventore l’aveva chiamato paternoster, perché gli aveva ricordato, nella forma e nel funzionamento, la collana del rosario. Non prendeva ordini da nessuno e non si fermava MAI.

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Egitto: catturato il facsimile del volto umano

snapperstech

Il motion capture è un ambito dalle profonde implicazioni filosofiche che si pone al servizio dell’arte drammaturgica, modificando il ruolo dell’attore grazie all’impiego della tecnologia. Oltre il tramite dell’immaginazione, scavalcando i presupposti autorali di un testo recitativo, permette la traduzione di gesti analogici in sequenze ordinate, l’estrapolazione dei sentimenti attraverso lunghe tabelle di numeri e assiomi logaritmici. E poi, trasferiti questi valori all’interno di un contesto digitale, favorisce la simulazione realistica dei personaggi di una storia, non sempre umani. Anche per tale motivo le più recenti evoluzioni in questo campo, giorno dopo giorno, sembrano avvicinarci sempre di più a forme espressive relativamente nuove, quali l’animazione computerizzata e il videogame. Evoluzioni davvero significative, come il prototipo dimostrato in questo video dagli egiziani della Snappers Systems, ultima espressione di un’immagine web ancora non del tutto definita. Yasser El-Sherbiny, fondatore della compagnia, assume a comando una vasta gamma di espressioni; oltre l’invalicabile muro di uno schermo a cristalli liquidi, il suo doppelgänger, opera dell’artista Galal Mohey, le riproduce senza nessuna misura d’esitazione. E talmente fluida è la sequenza, così precisa e naturale, che dopo qualche minuto non si capisce più chi stia imitando l’altro.

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L’aereo che atterrava in retromarcia

Convair Pogo

Data: 19 aprile 1954, siamo in piena guerra fredda. Sulla pista militare dell’aeroporto di Brown Field, in California, stava per essere scritto un capitolo poco noto della storia dell’aviazione. Perché fu proprio in quel giorno che il prototipo del Convair XFY Pogo, strano velivolo simile a una freccetta gigante, fece il suo primo spettacolare atterraggio. A marcia indietro. Il tenente colonnello James F. “Skeets” Coleman, tra i più abili piloti della sua epoca, sapeva perfettamente cosa fare. Mesi di avveduti e difficili test di volo, effettuati all’interno di un grosso hangar, con l’assistenza di un cavo di recupero frequentemente utilizzato, l’avevano preparato ad ogni evenienza. Nei documentari dell’epoca si può rivivere la suspense del fatidico momento. Compiuto il breve giro di prova, il colonnello si appresta a rientrare alla base. Riducendo i giri del potente motore, che gli permetteva di raggiungere agevolmente una velocità intorno al Mach 1 (pari a quella del suono) inizia gradualmente a ridurre la quota. All’improvviso, al di sopra della pista, il muso del velivolo si alza verso l’alto, in verticale. Uno stallo, dovuto ad un fatale errore umano? Pare quasi l’inizio di un rischioso loop-de-loop a bassa quota, fermatosi all’esatta metà dal suo completamento. Uno spettatore accidentale, trovatosi in quel posto per una semplice coincidenza, avrebbe creduto nell’imminenza di un disastro. Il Pogo continua a rallentare, salendo a candela. Inevitabilmente, a un certo punto si ferma, come se stesse per precipitare senza più alcuna speranza. E…Resta così, sospeso. È diventato, a conti fatti, un elicottero. Lentamente atterra in un punto esatto, appoggiando infine tutto il suo peso sulle quattro pinne posteriori. Fosse stato prodotto in serie, questo aereo avrebbe rappresentato il primo VTOL con finalità belliche della storia, in grado di utilizzare come portaerei praticamente ogni tipo di nave. Un perfetto precursore del celebre Harrier Jump Jet. Peccato che in tutto il mondo ci fosse una sola persona in grado di pilotarlo.

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Decolla come un fulmine ma pesa 40 tonnellate

JATO

Quando i vichinghi assaltavano le coste della Britannia o della Normandia, tutto l’equipaggio doveva immergersi nella furia della battaglia. Il timoniere sbarcava con gli altri impugnando un pesante scudo e persino il cuoco di bordo affilava le asce e seguiva il suo comandante nel mezzo delle fila nemiche. Giunto il momento della verità, nessuno aveva più un ruolo esclusivo e tutti contribuivano allo scontro. Così è, ancora oggi, per i Blue Angels, la squadriglia acrobatica della marina degli Stati Uniti seguita assiduamente da più di 13 milioni di persone, notevole soprattutto per la maestria dimostrata nell’impiego dei cacciabombardieri F/A-18 Hornet, con cui realizzano coreografici voli in formazione di 6 elementi. E celebri, anche, per il loro variopinto aereo da trasporto, un colossale C-130 Hercules detto Fat Albert, il quale piuttosto che limitarsi a fare da taxi volante per le apparecchiature e gli uomini partecipa anche lui, da protagonista, a ciascuno degli eventi in calendario. Decollando praticamente in verticale, nonostante le sue 35 tonnellate di peso (a vuoto) grazie all’impiego di un’originale serie di razzi ausiliari monouso, i cosiddetti JATO, concepiti per l’impiego in situazioni difficili, con piste troppo corte o carichi eccessivi a bordo. Originariamente, durante la guerra, venivano talvolta montati sugli alianti, per catapultarli subito in cielo senza l’impiego di un velivolo da rimorchio. Nel mondo di oggi tale tecnologia trova uno scopo decisamente più meritevole, quello di far sognare gli spettatori. Superando i limiti della fisica apparente nell’equivalente moderno di una drakkar scandinava, soavemente lanciata tra i mari celesti.

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