Rivolgendo lo sguardo direttamente verso il cielo, tutte le città del mondo tendono ad assomigliarsi: le pareti geometriche degli edifici, sormontate da tetti angolari; il profilo molto spesso impressionante dei grattacieli; l’occasionale torre aguzza che sormonta una chiesa. E quando si lasciano le sponde del fiume metropolitano d’ordinanza, da un lato all’altro della stretta striscia creata per le automobili, lampioni, piloni, cartelloni. Soltanto qui nella maggiore città di Slovenia, che ne costituisce non per caso la capitale, l’utilizzatore può contare sulla tipica esperienza di un qualcosa che viene comunemente definito eccezionale. Facciamolo assieme: ecco profilarsi un cerchio sospeso, del tutto corrispondente allo stereotipo dell’UFO, ciò che viene in altri casi detto un disco volante. Notevole, senz’altro. Ed altrettanto inaspettato. Dopo tutto, quanti architetti ed urbanisti hanno mai ritenuto di dover rendere omaggio ai tradizionali film di fantascienza, evocando in qualità di ornamento una delle presenze più terribili e inquietanti di quegli antichi racconti? Ancorché si tratti di una mera coincidenza, va pur detto che nessun creativo è totalmente inconsapevole delle indirette implicazioni della sua arte. Ivi incluso il relativamente sconosciuto Jozef Lacko, che nel 1965 assieme a un gruppo di colleghi della Slovak University of Technology (STU) e l’ingegnere strutturale Arpád Tesár riuscì a classificarsi da principio terzo in un concorso per costruire il secondo e urgentemente necessario sentiero di collegamento da un lato all’altro dell’azzurro Danubio. Scegliendo di farlo, com’era in voga in quegli anni di tumulti politici e sociali che avevano portato il Partito Comunista al potere in Cecoslovacchia, parlando la lingua straordinariamente ambiziosa del modernismo. In un dialetto che non molti, da quelle parti, avevano ancora avuto modo di sperimentare direttamente. Ci furono dispute dunque, tra coloro che tenevano realmente in mano il bastone decisionale, e scelte non del tutto prive di rimorsi. L’effettiva costruzione di un tale gigante, che avrebbe avuto lunghezza di 430 metri, avrebbe richiesto la demolizione di un intero quartiere, il ghetto ebraico Podhradie sopravvissuto, miracolosamente, all’occupazione tedesca della seconda guerra mondiale. Eppur nessuno si frappose tra il governo ed una decisione ormai approvata alle più alte sfere, che non si arrestò neppure innanzi alla presenza in situ di una significativa sinagoga riformata risalente al XIX secolo. Così colato il calcestruzzo per le rampe di collegamento, e liberata l’area necessaria per le fondamenta, iniziò a sorgere a lato del fiume qualcosa che non tutti si sarebbero aspettati. Una torre a forma di lettera “A” dell’altezza di 84,60 metri, da cui sarebbero partiti i cavi di sostegno per la più notevole delle infrastrutture cittadine. L’attraversamento strallato, ovvero facente capo ad un singolo, strategico punto di ancoraggio sopraelevato…
L’opportunità di poter disporre finalmente di un ponte moderno percorribile con automobili di gran carriera piacque chiaramente fin da subito ai cittadini di Bratislava, un centro abitato che da lungo tempo risultava letteralmente diviso in due parti dal vasto corso d’acqua incorporato nei quartieri sorti soprattutto dall’inizio dell’epoca moderna. Ciò che non convinse invece la stragrande maggioranza degli interessati riunitosi in nutriti comitati prima e dopo l’inaugurazione del 1972, era il suo aspetto. Difficile immaginare in effetti un punto di rottura con gli schemi estetici passati più notevole di una tale costruzione, soprattutto una volta aggiunto quel riconoscibile elemento circolare, costituente un salone panoramico ed al tempo stesso il ristorante con la vista più notevole della città intera. Alcuni affermarono in tal senso, con un sillogismo spesso utilizzato nelle capitali europee, che “La devastazione che non avevano portato le bombe, fu arrecata dagli innovatori con le loro balzane idee.” Nel tentativo di arginare per quanto possibile questo sentimento, che i committenti avevano in larga parte previsto, era stato dunque deciso di battezzare il ponte Novy (Nuovo) con la sigla simbolica di SNP, stante per Slovenské národné povstanie o Insurrezione Nazionale Polacca, la definizione impiegata per riferirsi alle forze partigiane che fecero resistenza agli occupatori tedeschi durante l’ultimo conflitto mondiale. Ma anche questa fu vista come una scelta ipocrita da una certa percentuale della popolazione, vista la maniera in cui gli originali capi di quel movimento erano stati perseguitati dal regime comunista dei primi anni ’60. Tanto che in seguito, nel 1993, il nome del ponte sarebbe stato ufficialmente riportato al semplice aggettivo Novy, per un’ulteriore inversione di rotta sopraggiunta nel 2012.
Ancora oggi utilizzato nonostante i primi e chiari segni d’usura, che hanno portato in tempi recenti all’abbassamento del limite di velocità veicolare, il ponte e la sua torre presentavano del resto alcuni meriti strutturali tali da renderli largamente privi di precedenti all’epoca della loro implementazione. Con una forma a ventaglio parzialmente costruita in acciaio, esso non appoggiava infatti alcun elemento strutturale all’interno dell’acqua del Danubio, tramite l’impiego dei tiranti obliqui facenti capo al torrione decentrato. In funzione del quale, all’epoca della sua inaugurazione, fu uno dei ponti con la singola campata più ampia al mondo, un record che tutt’ora detiene agevolmente per il paese Sloveno. Esso prevedeva inoltre due passaggi laterali al di sotto della carreggiata, dove in origine era stata prevista la presenza di una promenade con vari negozi ed attrazioni turistiche, idea successivamente accantonata. Di maggiore utilità logistica, invece, l’incorporamento di una condotta dell’acqua per l’approvvigionamento dell’intero quartiere della città vecchia di Petržalka, caratteristica che rende l’ottimale mantenimento della funzionalità infrastrutturale ancor più di primaria importanza.
Ad oggi il più vecchio ponte facente parte della giurisdizione cittadina nonostante il suo nome, mentre paradossalmente il più recente è lo Stary Most (Ponte Vecchio) impiegato nel 2015 per sostituire lo storico attraversamento in prossimità del castello di Bratislava, la svettante creazione di Lacko, già vincitrice attraverso le decadi di numerosi premi prestigiosi incluso quello di “struttura slovena del secolo”, sta iniziando a richiedere significativi e dispendiosi interventi di mantenimento. Una questione ormai non tanto controversa come si potrebbe tendere a pensare, visto come l’UFO sopraelevato sia riuscito a diventare infine un punto iconico e riconoscibile per la popolazione, assieme alle molte altre idiosincrasie della capitale. Un luogo dove, per parafrasare un diffuso modo di dire, l’autostrada si ferma a pochi metri dalla navata della cattedrale. E nuovo ed antico coesistono, in modo non sempre pacifico, così come hanno dovuto farlo per i reiterati eventi della sua storia contemporanea. Dopo tutto quale piattaforma più efficiente avremmo, al fine di ammirare tutto questo, che un disco volante preso in prestito dai popoli di mondi lontani? Il cui atterraggio, di sicuro, può atterrire in un primo momento. Indipendentemente da quali possano essere le intenzioni, largamente sconosciute, dei suoi occupanti.