“I grandi imperi durano raramente più di 250 anni” è un detto storiografico, empiricamente verificabile, che trova riscontro nella vicenda pregressa di una grande maggioranza dei paesi di questo mondo. Ed è in effetti risaputo che prima del sopraggiungere di una quarta o quinta generazione di regnanti, nazioni che hanno espanso oltre i confini il proprio territorio tendono generalmente a vacillare, per il palesarsi di problemi economici, conflitti interni, guerra coi propri vicini. Aprendo in questo modo l’uscio all’annichilimento dei propri sistemi di valori, filosofici e credenze ereditate dalle istituzioni continuative nel tempo. Ma quanto possono davvero risalire, simili tesori, addietro nel pregresso di una singola ed ininterrotta civilizzazione? Dipende. Nella caverna di Challicum vicino alla città di Ararat nella parte occidentale dello stato australiano di Victoria, campeggia il dipinto realizzato da mani umane di una singolare creatura. La cui storia viene ancora ripetuta quasi quotidianamente a molti bambini aborigeni, così come avveniva all’epoca in cui pigmenti naturali vennero impiegati per ritrarla sulla nuda roccia da un artista ignoto. Nato, vissuto, e ritornato alle iperboree regioni del Sogno, approssimativamente 60 millenni prima della data odierna. Comprendete la scala cronologica di cui stiamo parlando? Gli eventi narrati nell’Esodo del Vecchio Testamento sono stati datati al 1447 a.C. La costruzione del tempio di Re Salomone, al 968 a.C. Mentre nel momento in cui le genti di Wimmera impugnavano per la prima volta pezzi di carbone e studiavano le proporzioni degli animali, esseri del Pleistocene ancora camminavano sulla Terra.
Quando i primi paleontologi occidentali giunsero nelle colonie nel corso di tutto il XVIII secolo, le ossa ritrovate degli antichi carnivori risalenti a tale epoca furono mostrate ai nativi di diverse comunità tribali dislocate sul territorio. Ed ogni volta, non mancava un saggio che puntando il dito pronunciava l’ancestrale parola originaria della lingua dei Wemba-Wemba: Bunyip. Mostro, nume tutelare, vendicatore, occulta ed ostile presenza fluviale. Un criptide nella misura in cui gli europei a loro volta si fecero suggestionare finendo per avvistarlo più volte, nel corso dei lunghi anni a venire e fino all’insorgere dell’Era contemporanea. Ma accomunare tale essere a creazioni immaginifiche come il plesiosauro di Lochness o l’ominide del Minnesota sarebbe come limitare la nostra percezione del Demonio cristiano unicamente alle vicende folkloristiche sull’incontro di un gallo nero al crocevia di un villaggio medievale. Laddove tale bestia, menzionata nel corpus mitologico d’innumerevoli tribù del continente, appartiene all’antichissimo e complesso sistema di credenze noto come Età del Sogno. Un tempo collegato alla creazione dell’umanità ma privo di una data temporale esatta. E proprio per questo visitabile dagli sciamani, lontano dalle ore limitanti della veglia o tramite l’uso di sostanze stimolati adeguate. Ritornando tanto spesso con l’ammonimento, da rivolgere soprattutto a donne e bambini del villaggio: “State sempre attenti, quando vi recate per pescare al fiume/lago/torrente/billabong dei nostri antenati…”
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L’esercito dei piccoli vampiri corazzati che sciama nell’intercapedine tra i continenti e il mare
Il dolore rappresenta quel segnale inviato dall’organismo utile a prevenire il prolungarsi di una situazione lesiva. Da un punto di vista evolutivo, esso non poteva fare a meno di essere tanto spiacevole, persino a discapito della chiarezza dei pensieri e la capacità di affrontare le situazioni in base alla comune percezione delle cause ed effetti latenti. Quando l’organismo fallisce nell’inviarci un segnale, perché siamo distratti, eccessivamente concentrati o il tipo di sollecitazioni fisiche sfugge semplicemente alla capacità istantanea di essere rilevato, le conseguenze possono crescere esponenzialmente in modo indipendente dal contesto. Fece notizia nel 2017 la storia della disavventura incontrata da Sam Kanizay, ragazzo di Melbourne in Australia. Accompagnata dalla documentazione fotografica della maniera in cui, dopo un breve periodo trascorso sulla spiaggia, fosse stato ridotto da cause non immediatamente apparenti: sdraiato, l’espressione ansiosa, i piedi fino alle caviglie letteralmente ricoperti di sangue, ma non per la presenza di una o due ferite. Bensì, letteralmente, milioni di minuscole perforazioni subite dalla sua epidermide, per l’effetto di mandibole non del tutto apparenti. Tanto che i titoli su Internet indicarono, in modo appena un filo sensazionalistico, il colpevole come appartenente alla misteriosa genìa dei “pirañas” o squali della sabbia, benché la vera identità delle creature responsabili non fosse di suo conto, in alcun modo meno terribile o affascinante.
Per non dire Mostruosa… Avete presente la classe animale degli isopodi? Un tipo di crostacei adattati alla sopravvivenza nel sostrato, riconoscibili per il possesso di un esoscheletro rigido e segmentato, del tipo che fin da bambini impariamo ad associare al cosiddetto porcellino di terra alias roly-poly, artropode la cui famiglia prende il nome di Armadillidiidae. Di cui versioni ben più grandi rientrano nella popolazione molto variegata delle bestie marine, benché i nostri protagonisti, membri della vicina ma distinta categoria dei Cirolanidae, appartengano decisamente alla metà più compatta dello spettro proporzionale. Con i loro 0,8 cm mediani che in condizioni comuni, tenderebbero a renderli del tutto inoffensivi nei confronti dell’imponente popolazione umana. Se non fosse per l’indole naturalmente predatoria, la tendenza a moltiplicarsi ed il possesso di un sistema di masticazione sufficiente a perforare ogni materia ragionevolmente morbida di questo ingrato mondo. Incluso, neanche a dirlo, l’umano…
Il cuculo dal becco scanalato, demone delle battaglie tra gli uccelli australiani
Mentre i fiocchi cadono sulle città del Nord Europa, e con l’arrivo australiano dei mesi secchi ed aridi dell’avanzata primavera, ogni anno le genti di Sydney devono accettare il reiterato problema. Delle agguerrite gazze dal piumaggio contrastante, che costruiti i propri nidi sopra gli alberi, i lampioni, i cornicioni, dove capita… Diventano guardiani di quel territorio in grado di piombare, come razzi con gli artigli, contro gli occhi e il volto di chiunque abbia l’ardore inconsapevole di transitare nelle immediate vicinanze. E potrebbe allora diventare ragionevole, in linea di principio, temere tale uccello più di ogni altro volatile del continente, sebbene egli stesso, come il currawong, l’artamide ed il corvo, possiedano di loro conto un timore radicato e profondo. Di colui che giunto lieve nella sfera d’influenza, con un grido autoritario possa dare l’ordine: sarete voi a nutrire nostro figlio. Altrimenti! Grosso, grigio e con la coda che ricorda una scacchiera, mentre il becco curvo è più che altro simile a un coltello arabo jambiya, il cuculo dagli occhi cerchiati di rosso può raggiungere agevolmente il peso di un chilo. Risultando di gran lunga maggiore dei bersagli del suo parassitismo di cova, il che contribuisce paradossalmente alla percentuale dei suoi successi. Questo perché il “piccolo” neonato, una volta venuto al mondo nella conquistata dimora, non avrà neppure la necessità di uccidere gli inconsapevoli fratellastri, gettandoli fuori dal nido. Ma piuttosto sarà in grado di monopolizzare l’attenzione di quei genitori largamente giudicati intelligenti, che non possono d’altronde ergersi al di sopra della programmazione istintiva di cui l’evoluzione ha saputo dotarli, proseguendo ad imboccare il loro gigantesco e presumibile nuovo nato. Finalità, per inciso, raggiunta con un singolo e insistente approccio: produrre il proprio verso rauco dalla tonalità crescente, senza mai fermarsi in pratica neppure nelle ore notturne. Gettando, in tale modo, ulteriore sconforto tra i proprietari di dimore in prossimità di parchi e giardini.
Una creatura dunque per certi versi infernale, che contrariamente allo stereotipo di Internet non è neppure endemica dei territori australiani. Essendo tale terra dei canguri, per lui soltanto la destinazione di soggiorno dei mesi più caldi, mentre al ritorno dell’inverno di quel lato della Terra, volerà ancora una volta a settentrione verso l’Equatore per trascorrere il resto dell’anno in Indonesia, Nuova Caledonia, Nuova Guinea. Potendo prendersi quel tempo di pacata soggiacenza, per riposarsi meditando le ulteriori malefatte dell’anno a venire…
La fragile soglia sul sentiero che protegge il piccolo pinguino dell’Isola del Granito
Trattasi del classico caso in cui: l’uomo si avvicina alla natura, facendone il suo spazio personale. Il pennuto che abitava tale luogo soffre, poi si adatta nonostante tutto alle impietose circostanze. Quindi l’uomo accompagna il perfetto predatore degli uccelli nuotatori nel miglior terreno di caccia mai conosciuto dalla sua stirpe. Poi costruisce una speciale via d’accesso, completa di pratica rampa e parapetto, per condurre presso l’ultima fortezza dei pinguini la volpe rossa.
Una strana e inconsapevole alleanza, da tutti e tre i punti di vista, eppur così drammatica nel minacciare l’esistenza di una specie che precorre lungamente l’allinearsi di questi fattori. Essendo precedentemente giunta a costituire, per le leggi della selezione naturale, l’esempio sorprendentemente poco conosciuto del più piccolo pinguino al mondo, Eudyptula minor che senza minacce pre-esistenti, configurava il suo proprio stile di vita sull’acquisizione di piccoli e pesci molluschi nella zona costiera delle coste australiane e della Nuova Zelanda. Nonché quelle particolarmente serene delle piccole isole situate nelle intercapedini di quel continente emerso. Vedi quella situata a meridione della laguna di Adelaide, chiamata l’Isola del Granito per via dei distintivi macigni che ne occupavano l’entroterra, attorno ai quali prosperava una moltitudine di alati nuotatori che superava abbondantemente le due migliaia di esemplari. Finché nel 1875 non venne malauguratamente deciso, dall’amministrazione della capitale nazionale, di estendere il molo in legno della zona portuale fino alla terra emersa antistante, facendone una delle attrazioni più apprezzate dell’Australia Meridionale nonché una pratica via d’accesso, percorsa da un tram trainato dai cavalli, per i turisti che volevano, idealmente, “apprezzare” quei luoghi ameni. La situazione tuttavia degenerò quando qualcosa di teoricamente prevedibile ebbe l’occasione d’iniziare a verificarsi. Considerate ora che uno studio demografico approfondito della popolazione dei pinguini minori non è disponibile fino al 1994, quando fu stimata attorno ai 1.600 esemplari; meno i 75, s’intende, che in quello stesso anno uno soltanto di quei temibili predatori dalla lunga coda, introdotti nel XIX secolo per fini ricreativi in Oceania, uccise nel giro di tre notti, prima di essere a sua volta finalmente trasformato nel bersaglio di un accurato fucile. Il che non fu neppure colpa della volpe, ancorché sarebbe capitato di nuovo l’anno successivo, con una seconda intrusa capace questa volta di divorare 17 pinguini nel giro di una singola notte. Il che avrebbe portato, finalmente, alla costruzione di un centro per la tutela e allevamento di questa specie non endemica ma indubbiamente singolare, mentre fuori da quelle solide mura la popolazione continuava rapidamente ed inesorabilmente a diminuire…