Mentre i fiocchi cadono sulle città del Nord Europa, e con l’arrivo australiano dei mesi secchi ed aridi dell’avanzata primavera, ogni anno le genti di Sydney devono accettare il reiterato problema. Delle agguerrite gazze dal piumaggio contrastante, che costruiti i propri nidi sopra gli alberi, i lampioni, i cornicioni, dove capita… Diventano guardiani di quel territorio in grado di piombare, come razzi con gli artigli, contro gli occhi e il volto di chiunque abbia l’ardore inconsapevole di transitare nelle immediate vicinanze. E potrebbe allora diventare ragionevole, in linea di principio, temere tale uccello più di ogni altro volatile del continente, sebbene egli stesso, come il currawong, l’artamide ed il corvo, possiedano di loro conto un timore radicato e profondo. Di colui che giunto lieve nella sfera d’influenza, con un grido autoritario possa dare l’ordine: sarete voi a nutrire nostro figlio. Altrimenti! Grosso, grigio e con la coda che ricorda una scacchiera, mentre il becco curvo è più che altro simile a un coltello arabo jambiya, il cuculo dagli occhi cerchiati di rosso può raggiungere agevolmente il peso di un chilo. Risultando di gran lunga maggiore dei bersagli del suo parassitismo di cova, il che contribuisce paradossalmente alla percentuale dei suoi successi. Questo perché il “piccolo” neonato, una volta venuto al mondo nella conquistata dimora, non avrà neppure la necessità di uccidere gli inconsapevoli fratellastri, gettandoli fuori dal nido. Ma piuttosto sarà in grado di monopolizzare l’attenzione di quei genitori largamente giudicati intelligenti, che non possono d’altronde ergersi al di sopra della programmazione istintiva di cui l’evoluzione ha saputo dotarli, proseguendo ad imboccare il loro gigantesco e presumibile nuovo nato. Finalità, per inciso, raggiunta con un singolo e insistente approccio: produrre il proprio verso rauco dalla tonalità crescente, senza mai fermarsi in pratica neppure nelle ore notturne. Gettando, in tale modo, ulteriore sconforto tra i proprietari di dimore in prossimità di parchi e giardini.
Una creatura dunque per certi versi infernale, che contrariamente allo stereotipo di Internet non è neppure endemica dei territori australiani. Essendo tale terra dei canguri, per lui soltanto la destinazione di soggiorno dei mesi più caldi, mentre al ritorno dell’inverno di quel lato della Terra, volerà ancora una volta a settentrione verso l’Equatore per trascorrere il resto dell’anno in Indonesia, Nuova Caledonia, Nuova Guinea. Potendo prendersi quel tempo di pacata soggiacenza, per riposarsi meditando le ulteriori malefatte dell’anno a venire…
piume
Dall’Oceania giunge un colibrì gigante, che sugge nettare ma canta come un pappagallo
È il tipo di abbeveratoio in plastica rossa e trasparente appeso tanto spesso nelle Americhe, dai possessori di giardini amanti degli uccelli. O più semplicemente, dell’imprescindibile bellezza della natura: non è facile riuscire a immaginare, in effetti, qualcosa di più splendido di schiere di Trochilidi, gli uccelli cosiddetti Apodeiformi, che fluttuano leggiadri grazie al battito ultra-rapido delle proprie ali cangianti. Lo stesso oggetto che possiamo ritrovare, fuori e dentro la campagna, con la massima concentrazione tra Wellington ed Auckland (Isola del Nord) essendo come un faro nella notte per coloro che perennemente cercano una fonte di nutrimento. A ben vedere tuttavia, tale orpello appare in questo continente di una dimensione almeno raddoppiata, volendo essere il punto d’approdo per un differente tipo di pennuto, il cui punto di contatto principale è la dieta. Benché a ben guardare, con la luce in posizione obliqua, esso appaia non del tutto privo di una qualità cangiante, tendente al verde, marrone ed azzurro, frutto di strutture nelle piume invece che dei semplici pigmenti, affine agli agguerriti volatori del Nuovo Mondo. Fatta eccezione per il curioso ornamento bianco e tondeggiante formato da due piume sotto il collo. Eppur non fluttua in posizione librandosi il tūī (nome nativo) o Prosthemadera novaeseelandiae (nome latino) anche e soprattutto per il peso di 65-150 grammi, conseguenza della sua lunghezza pari a un massimo di 32 cm che risulta sufficiente a farne un passeriforme dalle dimensioni medio-grandi. Preferendo piuttosto posarsi ed aggrapparsi ai rami, spesso anche in posizione capovolta, mentre immerge il proprio becco curvo nella dolce coppa floreale o i frutti appesi all’albero bersaglio. Quando non esprime tutta la sua arte, nell’emettere una straordinaria serie di vocalizzazioni, più complesse e realistiche anche di quelli prodotti da una myna, quel leggendario cantore aviario proveniente dal subcontinente indiano. Per non parlare dei “comuni” pappagalli, la cui potenza in termini di decibel potrà anche risultare superiore. Ma senz’altro non potrebbero, in maniera veramente convincente, inseguire la gamma udibile dell’eloquio umano. Laddove uccelli come questo riproducono in maniera convincente: canzoni, poemi, spiegazioni, discorsi. E addirittura il colpo di tosse occasionalmente prodotto dai loro connazionali umani, ancorché tale suono sembri essere per puro caso (?) una parte innata del repertorio comunicativo tra i propri simili in natura. Oltre che il sistema per marcare ed identificare il territorio di foraggiamento e costruzione del nido, che tendono a difendere con straordinaria aggressività, giungendo ad attaccare le agguerrite gazze e addirittura grossi psittacidi dal becco ricurvo, considerevolmente più grossi ed imponenti di loro. Un altro potenziale terrore, insomma, per i motociclisti locali. Abituati a scansare o sopravvivere alle reiterate picchiate di alcuni tra i più graziosi, eppure persistenti persecutori piumati…
Un rapace che ghermisce cavallette: attenti all’agile scaltrezza del baza nero
La maggior parte della documentazione foto/videografica reperibile su Internet dell’Aviceda leuphotes, uccello più comunemente detto baza nero, lo ritrae posato sopra un ramo o mentre sosta brevemente per abbeverarsi in uno specchio d’acqua dell’Asia Meridionale. Questo perché non è particolarmente facile, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, riconoscerlo mentre si eleva sopra il limite della foresta, librandosi alla ricerca di una preda. Non più grande di un comunissimo piccione e con ali nere simili a quelle di un corvo, simili pennuti si presentano da oltre una distanza media come nulla più che stormi di volatili perennemente intenti ad inseguirsi vicendevolmente, come fossero impegnati a prendere il controllo del territorio. Ma le apparenze spesso ingannano ed invero ciò diviene chiaro se si guarda nella loro direzione sufficientemente a lungo, o da vicino. Così che emerga nella percezione dell’immagine nel suo complesso l’essenziale sovrapporsi di una serie di righe contrastanti, di una doppia tonalità di marrone. E il petto bianco sopra quel disegno, con la testa di un colore nero ornata da una cresta verticale che ricorda vagamente un accessorio di moda. Non che al possessore o l’eventuale compagna tale tratto interessi particolarmente, con l’unico corteggiamento noto del genere Aviceda consistente in brevi esibizioni ed acrobazie in volo mentre il maschio s’inclina da una parte e dall’altra per poi posarsi sopra un albero vicino. Troppo intento ed in ogni concepibile circostanza professionale, mentre sorveglia dall’alto il territorio dei domini che condivide lietamente con i propri simili, ove lanciarsi per conquistare il premio che costituisce il principale mezzo di sostentamento concessogli dai pregressi fenotipi ereditari. Già, perché il volatile in questione, nonostante la lunghezza raramente superiore ai 30 cm, è un tipico rapace della stessa schiatta dei suoi simili, principalmente creati per ghermire piccoli mammiferi, rettili o altre prede di passaggio. Se non che i bersagli da egli preferito, analogamente a uccelli di tutt’altra e passeriforme schiatta, appartengono quasi esclusivamente alla genìa degli insetti. Ed a scanso di equivoci: non è senz’altro semplice avvistare ed afferrare qualcosa di tanto piccolo e sfuggente… Lo sappiamo fin troppo bene, in questa estate eccessivamente calda e popolata dal passaggio delle zanzare…
Rosso avadavat, con l’aspetto di una fragola fuggita dalla macedonia volante
All’epoca della prima creazione di un sistema tassonomico coerente, quando Linneo pubblicò il suo rivoluzionario catalogo delle specie nel Systema Naturae, capitava frequentemente che i naturalisti sopravvalutassero il numero delle specie d’uccelli. Questo per i casi di marcato dimorfismo sessuale tra maschio e femmina, caratteristica piuttosto frequente in tutti i casi in cui la competizione tra i possibili partner d’accoppiamento tendeva a svolgersi sul piano estetico, piuttosto che essere decisa dall’abilità nel canto, nella danza e la ferocia nel controllo del territorio. A tale fraintendimento poteva dunque aggiungersi l’idea che una delle suddette categorie potesse risultare migratoria, comparendo unicamente in determinati periodi dell’anno quale, ad esempio, il concludersi della stagione delle piogge nel subcontinente indiano ed Asia Meridionale. È perciò una chiara testimonianza della vasta popolazione ed ancor più significativo areale di questo bengalino estrildide, classificato in un primo momento dall’autore svedese come Frigilla amandava, se la sua situazione e storia biologica furono fin da subito chiaramente descritte, nonostante sussistesse il potenziale di significativi passi falsi in materia. La caratteristica maggiormente distintiva di questi passeriformi, piuttosto somiglianti ai diamanti mandarini (gen. Taeniopygia) benché biologicamente distinti, è proprio il mutamento stagionale del piumaggio dei maschi, che si verifica ogni anno verso il finire del mese di maggio e continua a sussistere fino a novembre. Un processo che vede il piccolo uccello di un grigio-bianco mimetico tingersi progressivamente di chiazze color vermiglio, inclini gradualmente ad incontrarsi in una singola, ininterrotta livrea puntinata di bianco. Mentre il becco del volatile, normalmente nero, diventa anch’esso del colore di un tramonto in una tersa giornata di primavera. Mentre il comportamento stesso dei prescelti li trasforma in esseri cospicui e chiassosi, rendendo molto più probabile la cattura da parte di eventuali predatori. Un chiaro esempio di dimostrazione dei fenotipi appropriati ed il valore genetico del proprio patrimonio, poiché la natura presume che soltanto i migliori a correre un rischio simile possano dirsi possessori dei presupposti necessari a cavarsela, un proposito tutt’altro che semplice sia per le figlie di Venere che i discendenti di Marte. Creature per lo più inclini a nutrirsi di semi e germogli, i bengalini comuni possiedono inoltre l’inerente propensione a catturare varie tipologie d’insetti, tra cui preferiscono in modo particolare le formiche, termiti e miriapodi di varia natura. Nei confronti dei quali appaiono, indubitabilmente, come dei terribili e spietati predatori…