Loarre, il castello di montagna che costituiva l’ultima linea difensiva dei regni d’Europa

Certe cose erano più dirette all’epoca, meno stratificate. Ma la politica, una fitta rete di alleanze tra le opposte dinastie, regni e culture distanti, non rientrava di sicuro in tale visione semplicistica del Medioevo. Così quando Carlo Magno, il re più potente del suo mondo riuscì a portare a termine la riconquista della città di Saragozza alla fine dell’VIII secolo, sconfiggendo il sovrano islamico dell’Emirato di Còrdoba e installando il nuovo territorio della Marca Ispanica, la situazione era ben lontana dall’essere risolta. Mentre gli eserciti cristiani dilagavano e conquistavano la regione a meridione dei Pirenei, i loro nemici infatti si riorganizzavano ed infine riuscirono a sconfiggere le forze di spedizione, nella difficile battaglia di Roncisvalle (la cui vicenda è narrata nella Chanson de Roland). Ma l’asse del potere era ormai cambiato, ed una costellazione di piccoli domìni formati dalla popolazione locale, alcuni dei quali più forti di altri, erano riusciti a imporsi sui propri rispettivi dominatori di el-Andalus. Il più grande dei loro rappresentanti, nel tempo, sarebbe diventato Sancho Garcés II della fiorente città stato di Pamplona, dopo il suo fortunato matrimonio nel 925 con l’unica erede e figlia di Galindo II Aznárez, conte di Aragòn. Ed è al passaggio di una manciata di generazioni, nel periodo immediatamente successivo all’anno Mille, che troviamo il discendente di questa unione Sancho Garcés III all’apice della propria posizione di preminenza, tanto da meritarsi l’agognata qualifica di el Mayor. Governante forte, capo militare di successo, egli era anche e soprattutto incline a mantenere aperti i rapporti diplomatici con gli antichi alleati al di là dei Pirenei, ivi inclusi Roberto II di Francia. Guglielmo V d’Acquitania ed Odo II, conte di Blois e Champagne. Ragion per cui non poté in alcun modo esimersi dal dare lustro alla propria specifica collocazione geografica, accettando di buon grado il ruolo di porta invalicabile, ovvero barriera stolida contro la possibile venuta degli Infedeli. Così egli decise di far costruire in un punto strategico il castello che avrebbe cementato il proprio ruolo in tal senso; una fortezza capace di dominare l’intera valle verdeggiante della Huesca, ospitando forze militari pronte a ricacciare chiunque avesse l’intenzione di usurpare le competenze amministrative ed ereditarie dei suoi ancestrali possidenti. Un alta rocca costruita in stile Romanico, possibilmente presso il sito di un’antico castrum dell’Imperium Romano, strutturato attorno alla torre di cinque piani che oggi porta il nome di el Homenaje. Struttura a pianta rettangolare da cui venne posto ad estendersi un muro di cinta con seconda torre di guardia chiamata “della Regina” abbastanza alta da permettere l’appostamento di arcieri, mentre gli occupanti avrebbero potuto beneficiare di un capiente magazzino al livello del terreno ed alloggi presso quelli superiori. Ben poco potevano immaginare all’epoca i suoi costruttori, di come il fronte di battaglia delle guerre di religione fosse stato spostato ormai in maniera permanente verso la parte sud dell’odierno territorio spagnolo, relegando questa poderosa struttura al ruolo di un possente, quanto inutile monumento. Almeno finché non giunse a costituire, col trascorrere dei secoli, una notevole quanto insostituibile capsula del suo tempo…

L’aspetto interessante di questo castello, come avviene per molti altri nell’area geografica un tempo nota come el-Andalus, è che ha finito per scampare ai due tipi di pericoli maggiori per questa tipologia di strutture: quello di essere coinvolto in rovinose battaglie, assieme all’eventualità di venire ristrutturato estensivamente in qualità di residenza nobiliare o casa di residenza nei periodi immediatamente precedenti all’Era Moderna. Troppo lontano dai centri del potere, ed inaccessibile nella sua collocazione da essere adatto a farlo, Loarre ha dunque continuato a presentare la sua facciata invariata attraverso i secoli. E neppure l’effetto delle intemperie e le occasionali tempeste meteorologiche sembrerebbero essere riuscite a cambiarne significativamente l’aspetto.
Un primo ed ultimo ampiamento della rocca si ebbe quindi nel 1073, quando il re Sancho Ramìrez, diretto discendente di un figlio illegittimo di Sancho di Pamplona, venne scelto come erede della corona a seguito di un sanguinoso assassinio politico tra fratelli. Anch’egli uomo d’arme e conquistatore, tra gli altri, dei territori di Barbastro, Grasu e Monzòn, pensò bene d’investire una parte delle proprie risorse per potenziare e migliorare il castello ereditato dalla linea paterna. Così che la residenza fortificata dello Huesca si arricchì di un secondo cortile murato, posto innanzi alla facciata della prima torre ed occupato inoltre da una notevole struttura religiosa dotata di un proprio abside evidente, la Chiesa di San Pedro inserita nell’istituzione di un monastero agostiniano, destinato a legittimare ulteriormente il suo ruolo di protettore della Cristianità di fronte agli occhi del Papa e dei suoi seguaci. Per l’intero secolo a seguire e sotto l’egida dei successori di Ramìrez, il castello continuò dunque a crescere per estensione e splendore, con ornamentazioni in stile gotico e il ricorrente utilizzo del bugnato, opera muraria a pietre sovrapposte tipica della regione di Jaca. Molti, in questo periodo, i bassorilievi che vertono su storie o tematiche religiose giunti intatti fino a noi, vedi l’inclusione frequente di figure umane nella composizione dei capitelli a sostegno dei soffitti, spesso intente a combattere bestie allegoriche o mitologiche di varia natura. Ed altrettanto interessante l’inclusione, presso una delle porte della rocca centrale, del soggetto apparentemente sovranazionale delle Tre Scimmie (non vedo, non parlo, non sento. Un potenziale monito agli ospiti del governante a non rivelare al nemico segreti di stato, pena l’applicazione pressoché immediata della pena di morte. Destino, quest’ultimo, toccato proprio dove sarebbe in seguito sorto il castello, alla figura semi-mitica del Conte Giuliano, il nobile che attorno al VII-VIII secolo avrebbe aperto le porte alla conquista islamica della penisola, fornendo armi e piani di battaglia ai nemici dei governanti cristiani. E che adesso vagherebbe, secondo alcuni, a guisa di fantasma tra le vecchie sale della fortezza parzialmente disabitata. Assieme al residuo ectoplasmico di un’altra misteriosa figura, la Badessa di Loarre, una donna in abito bianco perita in epoca imprecisata nelle segrete del castello, oggi incline a manifestarsi soprattutto nella notte mistica di Ognissanti.

Abbandonato in seguito dalle casate nobiliari che ne avevano decretato l’esistenza, il castello di Loarre avrebbe dunque continuato a costituire un importante punto di riferimento e simbolo identitario per la gente della regione. Che non gli permise mai, davvero, di cadere totalmente in rovina, sottoponendolo a diverse significative opere di ripristino inclusa la ricostruzione del tetto a partire dal 1913 e fino all’inizio degli anni ’70. Un investimento, in effetti, sul valore turistico del sito e la sua nomina, a partire dal 2007, per essere sottoposto al vaglio e conseguente qualifica di patrimonio dell’UNESCO. Mentre numerosi sono gli eventi tenuti attorno ed all’interno di queste antiche mura, senza neppur menzionare la comparsa del castello nella pellicola del film del 2005,
Le crociate – Kingdom of Heaven di Ridley Scott. Il tipo di colossal, girato in luoghi storici effettivi e con l’aiuto di antiquari piuttosto che addetti alla CG, che oggi tende a vedersi sempre più raramente.
Poiché la creatività è mutevole, allo stesso modo in cui riesce ad esserlo la progressione ed il potenziale superamento degli improduttivi conflitti umani. Affinché ne restino, auspicabilmente, soltanto i castelli.

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