L’origine remota e non del tutto folkloristica dell’unicorno tibetano

Il fatto che le stelle fisse, osservandole nel cielo, giungano a formare nelle antiche discipline o filosofie la versione più imponente del classico gioco “unisci i puntini” è una mera ed evidente conseguenza dell’effetto di parallasse. Giacché ruotando l’ideale punto di vista, chimere, draghi ed orse maggiori sparirebbero in maniera pressoché immediata, di fronte all’effettiva distanza variabile di ciascun riferimento grafico impiegato nel catalogo di riferimento. Così osservando cose di ogni tipo da un lato piuttosto che l’altro, esse appaiono cambiate, misteriose o addirittura senza precedenti. Ancor più quando ad entrare in gioco, compare l’elemento della sovrapposizione. Così che Luna e Sole possono riuscire a sovrapporsi. O su una scala molto più ridotta, un paio di corna ridursi ad una soltanto. Potrebbe in effetti essere proprio una diretta risultanza di un simile fenomeno, l’aneddotica testimonianza del Reggente Drago (Druk Desi) di nome Tsulthrim Daba riferita nel 1800 al soldato e diarista inglese Tsulthrim Daba, che parlava di un ungulato simile a un cavallo con un solo corno che sporgeva dal centro esatto della sua fronte. Una visione chiaramente riconducibile, per un tramite indiretto, alla più celebre presenza erbivora dei nostri bestiali medievali nonché uno dei pochi “mostri” a non costituire un pericolo per l’uomo. La parola unicorno si era d’altra parte già dimostrata in grado di costituire un termine ad ombrello potenzialmente impreciso, utilizzato proprio nel contesto orientale al fine di riferirsi al quadrupede draconico qilin, apparizione ricorrente nella poesia e nell’arte cinese fin dalle più antiche dinastie. Ragion per cui in tale paese si era da tempo utilizzata l’espressione Bestia da un Corno Solo (Dújiǎoshòu) per riferirsi al leggendario equino europeo, in maniera del tutto paragonabile a quella che storicamente era stata impiegata dai tibetani. La strana ed almeno in apparenza, infrequente creatura fu dunque giudicata degna di continuare a godere degli appellativi non mutualmente esclusivi di seru, chero o tso’po, effettivamente applicabili soltanto nei confini del suo ipotetico ambiente di appartenenza. Una seconda descrizione scritta dell’animale, decisamente più dettagliata, sarebbe comparsa quindi nel 1821, dalla traduzione di un antico manoscritto tibetano ad opera del maggiore Barré Latter, che si trovò a leggere di un essere con gli zoccoli della dimensione paragonabile a quella di un piccolo pony, rapido, agile e difficile da catturare. La cui caratteristica maggiormente distintiva appariva essere il possesso di una singola estrusione appuntita nel punto centrale della corta testa. Il che iniziava a offrire una prospettiva interessante per come l’effettivo termine tso’po veniva spesso considerato in determinati ambiti un sinonimo di chiru, il nome locale della Pantholops hodgsonii o antilope tibetana, indissolubilmente associata alla preziosissima ed impareggiabile shahtoosh, un tipo di scialle in lana prodotto nell’area geografica Persiana da pelli esportate di un minimo di tre e fino a cinque esemplari. Il che lasciava intendere un’effettiva difficoltà percepita nell’incontrare simili eleganti bestie e al tempo stesso, incoraggiava i mercanti di corna ad affermare che ciascuna ne possedesse una soltanto. Incrementandone in tal modo la rarità percepita e conseguentemente, il valore…

La migrazione annuale dell’antilope chiru o P. hodgsonii

L’idea che l’unicorno di questi luoghi potesse costituire un’effettiva specie distinta ormai prossima all’estinzione, un letterale fossile vivente ancora diffuso tra pianure e valli tibetane ha dunque un’origine molto più recente. Riconducibile alla scoperta, nel 1935, da parte del paleontologo svedese Sven Hedin di un cranio molto insolito nel bacino iper-arido di Qaidam, un deserto nella parte nord-occidentale della Cina. Chiaramente appartenente ad un bovide, e volendo essere maggiormente specifici un caprino, vissuto nel tardo periodo del Miocene pari a circa 5 milioni di anni fa. Il cui aspetto si presentava ornato, sul capo, di una coppia di corna straordinariamente ineguali: una piccola e quasi invisibile, l’altra conica, imponente e ripiegata su se stessa soltanto in punta, ricordando vagamente e per pura coincidenza l’antico cappello di un navigatore del popolo dei Frisoni. Denominato a questo punto Tsaidamotherium hedini dal nome del suo scopritore, assieme alla seconda specie scoperta in seguito del T. brevirostrum, questa intera categoria di creature venne identificata per taluni aspetti come possibile origine ancestrale dell’antilope di Saiga (S. tatarica) caratterizzata dallo stesso muso corto e larghe froge, usate per assumere quantità maggiori dell’aria rarefatta a queste altitudini e scaldarla prima d’introdurla nell’organismo. Ma non, è importante sottolinearlo, il singolo e strano corno, caratteristica oggi posseduta soltanto nel contesto africano dal ben più imponente rinoceronte. Aprendo la strada ad un interessante parallelismo, visto come i primi viaggiatori cinesi che giunsero al cospetto di una giraffa non esitarono a ricondurla in termini apparenti e per quanto concerne la nomenclatura proprio al leggendario qilin, nella maggior parte dei casi rappresentato con due corna e non uno soltanto. Ma tale tipologia di fraintendimento non può essere direttamente ricondotto allo tso’po che come dicevamo, viene sempre e indiscutibilmente descritto come il possessore del tratto di distinzione titolare, per quanto ciò possa essere sembrato improbabile in un primo momento agli scienziati provenienti dal Mondo Occidentale. Che potrebbero anche essere stati tratti in errore ed aver seguito per associazione, in un primo momento, l’ipotesi sbagliata cercando associazioni all’unicorno nel kiang o asino selvatico tibetano (Equus k.) un tipo di equino compatto discendente dalle specie preistoriche del Dinohippus o Plesippus, nessuna delle quali fu mai dotato di un corno, singolo o accoppiato che sia.

Un branco antilopi di Saiga (S. tatarica) che si abbeverano in un torrente

Che possa trattarsi di realtà o finzione, un’effettivo esempio di adattamento biologico all’ambiente piuttosto che la risultanza di molte generazioni di fraintendimenti, il fatto che in Tibet possa esistere una creatura dotata di zoccoli ed un singolo corno appare meno improbabile che in altre regioni. Trattandosi di un’area geografica notoriamente selvaggia ed irraggiungibile, dove i mammiferi erbivori mostrano una radiazione evolutiva particolarmente notevole, dando luogo all’occorrenza di alcune tra le specie maggiormente distintive dell’intero mondo caprino. Vedi anche l’esempio non ancora citato in questo articolo del takin (Budorcas taxicolorvedi articolo) ungulato forte ed agile per suo conto associato alla presenza astrale del capricorno. Le cui corna piccole, vicine al cranio, avrebbero potuto facilmente scomparire da lontano a causa di uno scherzo effimero della prospettiva.
Vi sono in fondo leggende che nascono dalla prua necessità di dare un nome a fenomeni o eventualità immanenti. Ed altre che derivano dalla soggettività delle percezioni umane, eternamente soggette al fenomeno individuale della suggestione acquisita da o per conto di terzi. Il che non le rende in alcun modo meno interessanti o nello schema generale delle cose, meno probabili alla puntuale verifica scientifica della loro esistenza. Anzi!

Lascia un commento