“Ho camminato sulle acque immaginando un mondo in cui uomo e natura possano coesistere in modo pacifico, lasciandomi alle spalle le ingombranti implicazioni della società moderna.” È il tipo di asserzioni che potrebbe assecondare, nel giusto stato d’animo, lo Zai Shui Meshuguan 在水美術館 (Museo dell’Arte dell’Acqua) recentemente inaugurato nel bel mezzo di un lago artificiale presso la città di Rizhao, nella provincia dello Shandong. Con l’aiuto di un architetto che rientra a pieno titolo tra i principali specialisti del suo ambito, nel tradurre il linguaggio abitativo riuscendo ad inserirlo in un contesto pre-esistente, talvolta, persino all’esistenza dell’uomo stesso. Qualcosa che qui Jun’ya Ishigami, lavorando come scultore ancor prima che architetto, sembrerebbe aver perseguito mediante il più eclettico ed inaspettato degli approcci: costruendo una lunga linea grigia dell’estensione di un chilometro, caratterizzata da una sottile striscia di cemento in qualità di tetto. Per uno spazio utilizzabile all’interno di 20.000 metri quadrati, con una larghezza media di 10 metri e senza mai superare i 20. Ciò affinché la città committente, come si confà al nuovo ruolo di centro culturale regionale, possa beneficiare di uno spazio utile per mostre d’arte, esposizioni ed eventi. La cui diretta sperimentazione già costituisca, in modo atipico nonché desiderabile, una via d’introduzione alternativa al tema. Quello stesso discorso inseguito, in molte maniere parallele, da una parte significativa dell’architettura sostenibile contemporanea, benché si tratti molto spesso di una conseguenza di fattori superficiali, motivati dal desiderio di ottenere certificazioni e riconoscimenti. Laddove l’eventualità che si possa nel presente caso essere giunti a tanto appare arbitrariamente subordinata, persino secondaria alla necessità di realizzare un tutt’uno coerente. L’effettivo luogo di transito tra l’esistenza tangibile di un monumento, e l’inconscio. La caratterizzazione, in altri termini, di un percorso meditativo in cui l’acqua viene lasciata compenetrare liberamente in mezzo ad una letterale foresta di 300 colonne metalliche, il cui ripetersi è stato previsto come irregolare, possibilmente al fine d’esemplificare l’imprevedibile progressione dei processi inerenti. Gli stessi responsabili di aver creato, come sfondo, le iconiche montagne di Wulian e Fulai, assieme al resto di quella catena elegantemente ripresa dall’ondulatorio andamento del museo lineare. Il cui ingegno procedurale, ed utili implicazioni funzionali, non si esauriscono senz’altro in questo…
Giacché prendendo in considerazione le passate creazioni di Jun’ya Ishigami, nessuno potrebbe accusarlo di aver mai anteposto le specifiche caratteristiche visuali all’usabilità dei propri edifici o creazioni. Vedi il Padiglione Serpentino costruito nel 2019 a Londra, consistente di uno spazio parimenti ondulatorio sormontato da una pletora di tegole in ardesia spezzettata. Simile, a suo dire, a un’ala d’uccello. O l’estetica parimenti rilevante del suo “giardino d’acqua” Mizuniwa costruito per un hotel nella prefettura giapponese di Tochigi (2021) in cui lo spazio di un boschetto è stato trasformato in un succedersi di stagni elegantemente interconnessi, riportandolo all’ancestrale aspetto di una risaia.
Luoghi sempre organizzati sulla base di una visione specifica a misura d’uomo, a cui Zai Shui risponde a pieno titolo e attraverso una propria via insolitamente conforme. Così l’irregolarità del lineare ambiente, a tratti luminoso e spazioso, in altri sorprendentemente angusto, diviene lo spazio ideale per esporre varie tipologie d’opere d’arte, in base alla quantità di spazio e luce richiesta di volta in volta. Con lo spazio forse maggiormente distintivo individuabile proprio in uno dei suoi punti che assomigliano ad un letterale corridoio, dove il passaggio è stato connotato da una nube irregolare di lampadine appese nel caos apparente. Ciò nonostante tra le inaspettate predisposizioni dell’ambiente figuri anche la possibilità di aprire in estate le grandi lastre di vetro che costituiscono la “fiancata” del lungo parallelepipedo analogamente a quanto viene messo in pratica nelle tradizionali dimore giapponesi, favorendo in questo caso l’ulteriore compenetrazione delle acque all’interno, un effetto sorprendentemente ricercato dallo stesso architetto nei disegni di un luogo destinato a trasportare il visitatore con la mente verso luoghi o frangenti trasversalmente fuori dal prevedibile contesto. Paesaggi della mente, letteralmente sospesi tra cielo ed acqua (o in senso più poetico, cielo e terra) completando in questo modo l’ideale triade la cui terza parte è l’uomo, fondamento d’innumerevoli discipline e l’alchimia stessa dell’Estremo Oriente. “Un edificio solitario, posto ad ergersi nel vasto paesaggio cinese” Afferma dunque l’autore nella documentazione di supporto alla sua ultima creazione: “Tende necessariamente a perdersi tra montagne, fiumi e laghi.” Un effetto in realtà ricercato da molti pittori delle dinastie trascorse, in base ai canoni della filosofia Chan (禅) o Zen volendo usare il termine giapponese. La sfida diventa dunque a suo avviso quella di “Integrare il più possibile la mano dell’architettura alla natura, cercando di rendere quest’ultima la presenza più gentile per noi umani.” Missione indubitabilmente complicata da perseguire, anche potendosi basare sulle conoscenze accumulate dal cinquantenne Ishigami grazie ai suoi lavori precedenti.
Volendo doverosamente menzionare l’effettivo impiego dello spazio interno, il museo lineare appare dunque al momento monopolizzato da una mostra, tra tutte le possibilità immaginabili, relativa alla storia della cioccolata. Che pur non essendo certamente un’esportazione principale dello Shandong (a causa di limitazioni climatiche e territoriali) avrà certamente beneficiato come tematica nella disposizione progressiva di un ambiente tanto distintivo ed atipico, inerentemente idoneo alla descrizione pratica di un lungo e articolato processo. Ciò senza dimenticare lo spazio inevitabilmente riservato all’argomento nelle immancabili dotazioni di un punto di ristoro e negozio di souvenir all’interno. Concessioni inevitabili nei confronti dell’ineccepibile contesto del mondo contemporaneo. In cui ogni luogo di raccoglimento o straniamento filosofeggiante non può comunque prescindere dalla compulsione, profondamente radicata, di trasformare le risorse pecuniarie in beni o servizi. Il che spoetizza in un certo senso opere della suddetta natura, benché contribuisca in un certo senso a nobilitarle. Poiché cos’è in fondo l’apprezzamento per la bellezza, se non l’attribuzione di un valore arbitrario a ciò che riesce ad esistere anche senza il nostro contributo? E continuerà per lungo tempo a farlo, dopo che avremo completato il nostro lungo e articolato processo di autodistruzione oltre la scala di qualsiasi civilizzazione precorsa.