Un’ultima corsa, soltanto un’ultima prima di staccare per la notte come sarebbe stato consono per qualsiasi comune tassista della Città Giardino. E che giardino, davvero! Alberi pendevano a lato della vecchia carreggiata, nascondendo dalla luce della Luna il nastro grigio dell’asfalto appesantito dai suoi segreti. E ricordi… Ma chi l’avrebbe mai detto? Adesso una figura in abito bianco alzava il suo braccio ai margini dell’area illuminata da un lampione. E lui che facendo seguito al suo dovere professionale, nonostante ogni briciola d’istinto lo spingesse a fare l’opposto, si fermava pronto a caricare il misterioso passeggero. Una donna, in effetti, dai lunghi capelli sciolti e neri, che incorniciavano un volto dai tratti stranamente indistinti. Una voce acuta dai risvolti freddi pronunciò dunque in chiare sillabe: “Base di Seletar, per favore.” Una corsa relativamente lunga, avrebbe tardato. Ma il rifiuto a questo punto non era più un’opzione. “Yes, ma’am” rispose l’uomo al volante in un’inglese delle circostanze, staccandosi con fare cauto dalla banchina. La Strada era deserta, ancor più che durante una normale giornata di primavera. Ma ogni persona nel suo campo presto o tardi tendeva ad apprendere come non si potesse mai essere troppo attenti agli imprevisti, soprattutto lungo un tratto di percorso da una quantità simile di curve e svolte cieche. Un paio di tentativi fallimentari di fare conversazione non riuscirono assolutamente a sdrammatizzare. Finché giunto in un particolare, saliente punto del tragitto, non cominciò gradualmente a rallentare. Tutti, a Singapore, conoscevano quel tratto di strada e lo stretto angolo acuto definito “Piegatura del Diavolo”, per la quantità d’incidenti che storicamente si erano verificati prima del successivo rettilineo. Il punto forse più spettacolare, ed indubbiamente maggiormente celebre, dell’intero Gran Premio locale che qui aveva trovato il suo scenario all’apice degli anni Sessanta ed a seguire. “Qui è dove ho perso il mio Han-kyeom. Colui che pur volendo ricambiarmi, preferì inseguire sogni di gloria…” Pronunciò all’improvviso l’improbabile passeggera. “Ah, questo è il posto in cui dovevo essere. La ringrazio, la ringrazio di cuore.” Pronunciò ella con marcato accento coreano. Una notazione tanto imprevista che il tassista rallentò ulteriormente, giungendo quasi a fermarsi. Allora si voltò da una parte per una frazione di secondo, mentre iniziava a ruotare il volante verso destra per restare nella sua corsia. Il che bastò ad accorgersi che la donna era sparita. Al suo posto, figurava la forma tondeggiante di un vecchio pneumatico da competizione.
Old Thomson Road, pronunciate queste parole. Non senza un certo senso di rispetto e se possibile, timore reverenziale. Dopo tutto questo luogo liminale, scarsamente trafficato al giorno d’oggi causa l’implementazione di nuovi tratti di strade moderne a doppia corsia, figura pressoché continuamente negli elenchi dei siti maggiormente stregati dell’intera isola e città stato, secondo il sistema leggendario del mondo degli hantu, gli spiriti dei morti di provenienza malese. A causa della sua storia sportiva relativamente breve, eppure carica di risvolti tragici e sconvolgenti…
Quando nel 2008 durante il rinnovato Gran Premio di Singapore, il pilota della Renault Nelson Piquet Jr. dichiarò di essersi schiantato intenzionalmente alla curva 17 della gara inaugurale del nuovo circuito stradale di Marina Bay, affinché la safety car fosse fatta uscire dai box, favorendo la vittoria del compagno di squadra Fernando Alonso, l’intero pubblico mondiale della Formula 1 non poté fare a meno di restarne scandalizzato. In un processo alle intenzioni che avrebbe in seguito portato all’esclusione dal campo delle gare per cinque anni del direttore tecnico Pat Symonds ed a vita per il capo del team Flavio Briatore, la maggioranza individuò la giusta mano della giustizia. Per parte della popolazione locale, d’altra parte, sembrò il tentativo d’impedire il trasferimento generazionale di una maledizione. Quella strettamente interconnessa al precedente esempio di una gara motoristica locale, che era finita per costare all’epoca la vita di 7 persone. Ed in tempi più recenti, altri due giovani studenti del Politecnico locale, colpevoli soltanto di essere contravvenuti alla sapienza popolare. “Qualunque cosa succeda, a meno di essere guidatori molto esperti, non imboccate la Thomson Road dopo il tramonto. Troverete il Diavolo stesso, ad attendervi…”
Al tempo in cui la Città Giardino entrava nella decade degli anni ’60, forte di una posizione economica e capacità d’attrarre i turisti molto superiori alla media della sua area geografica, il Ministro della Cultura Sinnathamby Rajaratnam ebbe un’idea in un certo senso rivoluzionaria: tentare d’utilizzare lo sport, per incrementare ulteriormente il numero di persone disposte a spendere denaro nella sua giurisdizione. Proprio lui contattò dunque l’associazione dello SMC (Singapore Motor Club) per prendere in esame dove, esattamente, sarebbe stato possibile organizzare una competizione prestigiosa in grado di attirare i migliori piloti di auto e moto dei cinque continenti. Una volta scartato un ampio numero di strade che fosse possibile trasformare ragionevolmente in circuiti, per il disagio che la loro chiusura avrebbe portato alla popolazione, i membri della commissione scelsero l’impossibile: il tortuoso sentiero veicolare risalente ai primi anni del Novecento, tracciato negli anni coloniali per unire la base della RAF nel nord dell’isola al centro cittadino occupato dalle famiglie degli ufficiali britannici di più alto grado. Denominato, per l’appunto, Thomson Road in onore del governatore dei cosiddetti Stabilimenti dello Stretto, nei remoti anni tra il 1841 ed il 1853. Il piano risultante fu perciò innegabilmente impegnativo e nell’opinione di molti, diabolico non soltanto nella scelta della nomenclatura. Mai nella storia pregressa dell’automobilismo professionale, era esistito un tracciato di 4,9 Km e 19 curve con tanti toponimi destinati a suscitare un senso innato di assoluto terrore. Passaggi come “la Gobba” che minacciava regolarmente di far sollevare i partecipanti su due ruote, non appena prendevano velocità dopo la partenza, la rapida Chicane della Fermata dell’Autobus ed il temibile Tornante del Circo, così chiamato perché proprio lì furono piazzate le tribune degli spettatori di maggior prestigio. Poco prima d’entrare nella serie di quattro curve note come “i Serpenti”, piene di angoli ciechi e difficili da unire in una singola fluida manovra. Per sfociare, dopo quel punto, alla “Piega del Diavolo” in più di un senso l’alfa, e l’omega dell’intera faccenda. Il punto in cui perirono la maggior parte delle 7 vittime (quasi una l’anno) a partire dal commissario che avrebbe finito per essere colpito da una ruota staccatasi da un veicolo sfortunato, per poi proseguire coi piloti finiti nel burrone a ridosso del tratto di strada con la forma di una letterale lettera “V” o quelli che persero il controllo cappottandosi nelle auto prive dei sistemi di sicurezza odierni. L’eventualità d’incidenti futuri, in effetti, apparve chiara sin dalla prima edizione al pubblico che accorse per vedere il Gran Premio di Singapore. Incrementando in modo persino maggiore, per quanto inquietante, la sua epocale popolarità.
Ciò detto, a seguito di una prima edizione miracolosamente ancora priva di incidenti pur essendo in grado d’attirare una quantità di persone superiore alle 200.000, l’intera serie d’iniziative dell’Anno dell’Oriente indetto dal ministro Rajaratnam venne dichiarata un successo, portando all’istituzione della gara multi-veicolo come un evento ricorrente inserito nel campionato internazionale di Formula Libre. Venendo ribattezzato sin dalla sua seconda edizione con l’appellativo di Gran Premio della Malesia, esso continuo in tale guisa fino al 1965, quando la città stato dell’isola del Leone Marino ottenne finalmente l’indipendenza tanto desiderata, portando la gara a ritrovare il vecchio nome di GP di Singapore. Esso avrebbe raggiunto, dunque, le 13 edizioni con l’ultima tenutasi nel 1974, nonostante apparisse chiara a molti l’inadeguatezza della sua configurazione, troppo stretta, difficile ed imprevedibile per i piloti. Finché allo stesso SMC non venne formalmente vietato dal governo di continuare ad organizzare la gara. Ancorché sia possibile affermare, ancora oggi, che il moderno circuito di Marina Bay capace di ereditare tale mansioni resti tutt’ora il più pericoloso dell’intero campionato di Formula 1, con il potenziale di risultare altrettanto letale se non fosse stato per l’implementazione delle misure ed accorgimenti di sicurezza dell’epoca contemporanea.
Il che non sembrerebbe aver impedito, d’altronde, alle nuove generazioni al volante di continuare a cercare il brivido di quel luogo che sovrasta la città, idealmente diabolico, collegato a un così alto numero di evitabili tragedie. E l’implacabile svolta, sui margini di una cengia composta d’assoluto terrore.