Tra valli cinesi, la stabilità di un condominio custodito dagli spiriti degli antenati

Tra gli alti edifici della vasta Canton, nei pressi di una trafficata strada di scorrimento, sorge una particolare forma di edificio: moderno e funzionale, il tulou (土楼) moderno ha l’evidente aspetto di un’imponente, ponderosa fortezza dedicata al popolo bisognoso di spazi rispondenti al suo bisogno abitativo. Tonda e con pareti spesse, alte a sufficienza da ospitare un totale di ben sei piani. Ed occupata, nella sua parte centrale, dall’ampio spazio di un cortile interno simile a un anfiteatro, dove si affacciano le finestre di un totale di 360 appartamenti, conformi alle caratteristiche di una vasta residenza popolare. Qualifica, quest’ultima, senz’altro necessaria a definire ulteriormente l’oggetto di una simile descrizione, visto il significato letterale del resto del suo nome principale, usato normalmente per riferirsi al concetto di una “casa di terra” costruita in specifiche circostanze territoriali. E sebbene di quest’ultimo materiale non ve ne sia alcuna traccia, nei 13.771 metri quadri della struttura progettata dallo studio Urbanus, essa è in ogni aspetto rilevante simile a qualcosa che potrebbe rientrare a titolo dimostrativo nell’elenco architettonico dell’UNESCO. Perché di tulou cinesi, potreste averne visto uno in epoca recente; all’interno del film live-action della Disney tratto dal racconto popolare della donna-guerriero Mulan, dove ne compariva un valido esempio, collocato tuttavia in maniera non eccessivamente storica in un’epoca riconducibile grosso modo alla dinastia degli Wei (534-550 d.C.) Senza contare come le scene rilevanti, in cui la protagonista veniva mostrata nel contesto abitativo del suo clan, erano state effettivamente girate presso il gruppo di 46 edifici nella regione di Fujian, situati all’opposto lato della mappa rispetto alla supposta ambientazione settentrionale del racconto. Dimostrando tutte le caratteristiche, per gli spettatori più attenti, di una dimora tradizionale dell’etnia degli Hakka (客家 – Popolo Esterno) destinati a costruirli soltanto a partire dal XII secolo e fino al confine dell’epoca contemporanea. Poiché non c’è niente, nel suo originale contesto d’appartenenza, di più efficiente e pratico di un palazzo fortificato: dove tutti ricevono gli stessi spazi, la comunità è protetta da eventuali banditi o intrusi e la vasta area centrale permette di disporre di un luogo d’incontro, utile a pianificare e coordinare le attività del clan. Inteso come “Gruppo familiare in grado di vantare un antenato in comune” quello, per l’appunto, che si riteneva avesse costruito il tulou. Tanto che a voler approfondire l’argomento, gli studiosi non sono neanche d’accordo sulla definizione di cosa, esattamente, indichi quel termine antico, data l’ampia varietà di forme, aspetti e dimensioni. Il tipico “villaggio in scatola” occupato da fino ad 800 persone poteva infatti avere una forma circolare o quadrata, un numero variabile tra i tre ed i cinque piani, sorgere in montagna o in pianura, isolato o circondato da strutture simili e reciprocamente solidale. Questo poiché secondo la tradizione, ogni esempio andava prima valutato con l’attento studio da parte di un filosofo del Feng Shui (風水) l’arte consistente nello studio degli influssi naturali ed elementali sulle scelte abitative del consorzio umano. Così che, integrando in qualche modo mistico la natura stessa del paesaggio circostante, i tulou diventarono un eccellente esempio di coabitazione tra l’uomo e il suo contesto geografico, l’impianto dei propri bisogni, le più valide speranze del suo domani…

Nota: il video d’apertura è prodotto dal canale Blondie in China di Amy dall’Australia, esperta conoscitrice della lingua, gli usi e la cultura della Cina, che da oltre 5 anni racconta i suoi viaggi attraverso il Regno di Mezzo con un tono particolarmente accattivante, spotaneo e comunicativo.

La dimensione dei tulou può variare in modo molto significativo, da quella di condomini dalle medie dimensioni a vere e proprie città fortezza, che gli abitanti avrebbero protetto con ogni mezzo ed arma a loro disposizione.

Il voler cercare, a questo punto, un elemento in comune tra le svariate migliaia di esempi di tulou esistenti nella Cina meridionale non può fare a meno di condurci alla questione fin qui accennata dei loro metodi costruttivi. Che basandosi su una struttura lignea di partenza, procedevano a seguire nel riempirla con uno spesso strato di terra e fango calcificati, mediante l’aggiunta di una vasta serie d’ingredienti segreti, quali zucchero, chiara d’uovo e l’acqua del riso. Verso l’ottenimento di uno strato tanto solido e resistente, che si diceva piantare un chiodo risultasse assai difficoltoso, mentre persino i colpi d’arma da fuoco sarebbero rimbalzati sulle pareti esterne della vera e propria fortezza senza lasciare il benché minimo segno. Ciononostante, nella loro area interna, i vasti edifici degli Hakka erano tiepidi e accoglienti, con un netto distacco rispetto a quanto si sarebbe potuto immaginare dall’esterno. Qualche volta, nell’area centrale veniva disposto un ulteriore edificio, rispondente alla funzione collettiva di un piccolo tempio. Altrettanto ingegnosa la disposizione degli spazi dedicati a ciascun nucleo familiare, definiti essenzialmente da un intero spicchio andante dal piano terra a quello superiore; così che nella più tipica suddivisione operativa disposta in tre piani, il primo avesse lo scopo di funzionare come cucina, il secondo era un magazzino per gli alimenti ed il terzo, le camere da letto. Questo specifico schema era tuttavia poco più che un punto di partenza, visto come attraverso i secoli i tulou fossero destinati a crescere in maniera esponenziale, fino a costituire dei veri e propri giganti dove vigeva soprattutto la regola dettata dal concilio anziano del clan. Notevole, a tal proposito, il gruppo di edifici noto come Tianluokeng nella contea di Nanjin, soprannominato sicai yitang (四菜一汤 – “quattro piatti e una zuppa”) per il suo essere composto da un tutt’uno inscindibile di cinque tulou, di qui quattro tondi ed il restante dalla pianta chiaramente quadrata. O per fare un altro esempio celebre, i colossi più spropositati come lo Yuchanglou di Xiabanliao, fondato dal clan Liu nel 1308, con 36 metri di diametro e circa 50 stanze per ogni piano, verso un totale di 270 disposte nel notevole totale di cinque livelli sovrapposti. Edificio noto anche come “palazzo a zig zag” per l’errore compiuto all’epoca della misurazione, che ha portato a una caratteristica piegatura in alternanza delle colonne di sostegno per ciascuno di essi, tuttavia non abbastanza grave da comprometterne la resistenza attraverso sette turbolenti secoli a questa parte.
Principale punto debole nella costruzione dei tulou, molto spesso, era la mancanza di un pozzo centrale. In parte motivata dal bisogno culturale di rispettare i dettami del Feng Shui, ma anche dall’occasionale carenza di falde acquifere nelle regioni in cui trovavano la loro collocazione, limitando essenzialmente la loro capacità di resistere ad eventuali assedi. Ancora al giorno d’oggi, quindi, la mancanza di tubature ed acqua corrente costituisce il principale ostacolo al continuativo utilizzo di simili antiche soluzioni abitative, oltre alla disposizione in aperta campagna che ha portato all’abbandono da parte delle nuove generazioni, in cerca di opportunità lavorative nei contesti di tipologia cittadina. Così parzialmente abbandonati, oppure mantenuti nelle migliori condizioni possibili da un gruppo di persone ormai in là con gli anni, molti di questi tondeggianti castelli hanno conosciuto un silenzio duraturo e totalizzante, fatta eccezione per le ricorrenze annuali in cui i discendenti degli antichi abitanti vi facevano ritorno, al fine di soggiornarvi brevemente e commemorare in questo modo le epoche trascorse. Diverso il caso, invece, in cui la qualifica specifica dell’UNESCO dal 2008 ha portato fama internazionale a determinati gruppi, come Chuxi, Zhengcheng o Chengqi Lou, nella contea di Yongding, e lo sfruttamento con finalità turistiche ha portato a un vero e proprio rinascimento di questi edifici, molti dei quali sono stati trasformati in degli atipici musei. Molto interessante anche il caso del tulou di Qingde, vicino la città turistica di Taxia, trasformato da un imprenditore locale in hotel turistico funzionante a tutti gli effetti, inclusa l’installazione senza precedenti di un efficace sistema di acqua corrente. Approntare questo tipo di ammodernamento su larga scala, tuttavia, risulterebbe non soltanto assai costoso ma altrettanto lesivo per l’autenticità di simili antichi luoghi.

In questo reportage della tv di stato cinese CGTN viene mostrato il tulou di Yongding, all’interno di uno dei gruppi maggiormente significativi della regione di Fujian. Con atipica collocazione, nel cortile centrale, di un ulteriore anello concentrico abitabile dalla scala più ridotta, una probabile aggiunta successiva.

Patrimonio estremamente tangibile e duraturo della cultura ereditaria cinese, il tulou rappresenta anche una preziosa speranza per il futuro. Come esemplificato almeno in parte dalla casa popolare di Canton/Guangzhou, reinterpretazione moderna dalle significative alterazioni proporzionali e funzionali. Nella maniera che potrebbe anche realizzarsi, nelle prossime generazioni, da un’adozione su larga scala del concetto originario di partenza, incluso l’impiego dell’umile terra prelevata notevolmente, con un approccio che vanta significativi vantaggi dal punto di vista dell’impronta ecologica (carbon footprint) dell’impresa di costruzione. Lo stesso architetto canadese Jorg Ostrowski è celebre per aver affermato, con dati alla mano e a seguito di un studio incontrovertibile, come il tulou del XVIII secolo di Chengqi Lou potrebbe soddisfare, con largo margine, lo standard d’isolamento ed efficienza termica previsti dai più alti livelli della certificazione della LEED. E tutto questo senza neanche prendere in considerazione quanto meglio potrebbe essere, tutto questo, includendo tubi e rubinetti funzionanti a vantaggio di coloro che ne abiteranno gli antichi e futuribili spazi a venire!

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