L’oblungo anfiosso, antesignano di ogni essere dotato di un DNA complesso

Ed in fondo quale tipo di sofonte, essere pensante del conosciuto universo, mancherebbe di guardare una creatura dall’anelito leggiadro e definirla “fratello”? Pensate a tal proposito alla mosca, insetto volatore con due occhi, arti simmetrici, un cervello. Persino le ali utili a spostarsi tra la tana e i luoghi usati per il suo foraggiamento. Benché proprio gli esseri corrispondenti alla categoria fondamentale degli insetti siano, per quanto concerne le proprie intrinseche caratteristiche, qualcosa di effettivamente ed indiscutibilmente alieno. Da contrapporre alla maniera in cui ogni animale vertebrato possieda, di contro, una fase del proprio sviluppo embrionale detta gergalmente filotipica, al raggiungimento della quale si presenta dal punto di vista morfologico del tutto indistinguibile da qualsiasi altro. Dopo quattro settimane per gli umani, dieci giorni per un topo, uno solo per un pesce. Ed altrettanto per quest’ultimo… Protagonista della scena nonostante sia del tutto privo di uno scheletro e con esso la caratteristica colonna e non soltanto quella. Semi-rigido pezzo di tubo lungo dai 2,5 agli 8 cm a seconda della specie (ce ne sono 35) senza occhi, senza nessun tipo di concentrazione neuronale. Il che significa che il suo pensiero, se così possiamo chiamarlo, sembrerebbe scaturire da un sistema decentrato di gangli nervosi. Ma così non è, trovandosi in effetti concentrato nella punta della parte che potremmo definire maggiormente simile a una corda. O noto-corda, per andare in fondo alla questione, forma primigenia di quello stesso complesso di segmenti in assenza del quale ogni orgoglioso essere sarebbe solamente uno strisciante verme. Ed un qualcosa di concettualmente simile a quest’ultimo diventa, invece, un anfiosso. Oppure lancelet, come lo chiamano gli anglofoni, a voler alludere a una sorta di piccola lancetta, chiaramente appartenente al segnatempo delle Ere geologiche e tutto ciò che è stato in grado di derivarne. Essendo rimasto sostanzialmente invariato per un periodo di circa 100 milioni di anni, fin dall’epoca dello strato di argillite di Burgess risalente al Cambriano medio, giacimento fossilifero di una pletora di esseri periti al cambio generazionale dei fenotipi evolutivi marini. Tutti tranne il misterioso Pikaia gracilens, primo tra i cordati ad essere sopravvissuto al famelico contegno dei primi nuotatori dell’Oceano indiviso. Un filtratore, nient’altro che questo, ma in potenza l’essenziale punto di partenza per creature come mammiferi, cetacei, persino rettili ed uccelli! Poiché caratterizzato dal potere, totalmente senza precedenti, di dividere le proprie cellule in maniera strategicamente rilevante. Grazie al sistema della metilazione…

Scena di anfiossi che si nutrono nelle ore notturne in mezzo ai pesci indifferenti della Tamba Bay, Florida. La difficile reperibilità di scene simili dimostra la poca fama posseduta da queste creature, ignote anche a molti frequentatori degli ambienti marini.

L’idea si è palesata per la prima volta, ad essere precisi, tramite uno studio del 2018 pubblicato sulla rivista Nature, con una quantità notevole di autori internazionali tra cui Ferdinand Marlétaz, Panos N. Firbas […] portato a termine grazie ai progressi compiuti nell’allevamento e conservazione in laboratorio di questi piccoli abitanti dei mari. È in effetti una ben nota cognizione in campo scientifico, risalente almeno al lavoro di Ernst Hackel del 1860, che gli anfiossi potessero costituire a tutti gli effetti una sorta di organismo modello, l’anello mancante tra il prototipico antenato comune e l’odierna pletora di forme di vita terrestri. Una visione solamente rafforzata dall’introduzione in epoca contemporanea della biologia molecolare, ed il conseguente approfondimento del suo intero codice genetico di partenza. In quale modo, tuttavia, una presenza tanto diversa dagli esseri umani poteva vantare una progressione del proprio sviluppo in qualche modo riconducibile alla nostra stessa esperienza di esseri viventi? Qui è stata trovata la chiave, tramite l’osservazione comparativa in vitro dei rilevanti processi di sviluppo al microscopio elettronico, grazie alla sorprendente scoperta del modo in cui gli embrioni di anfiosso procedono nel dare forma ai diversi organi e relative parti del corpo: ovverosia inducendo l’effettiva soppressione epigenetica del gruppo metile di determinate basi azotate. Giacché come saprete da escursioni scientifiche pregresse, ogni cellula nasce uguale nelle sue caratteristiche fondamentali, almeno fino al momento in cui diviene parte di un determinato apparato come quello respiratorio, muscolare, relativo alla circolazione del sangue… E dunque proprio la percentuale di mattoni della vita attivamente sottoposti a quel processo tende spesso a corrispondere, nel vasto catalogo della vita, all’effettiva complessità di un determinato organismo. Con cose come mosche (drosophyla) farfalle, funghi o batteri, che ne mostrano una padronanza molto limitata, andando incontro ad un processo di sviluppo dal grado di complessità notevolmente inferiore. E l’oblungo anfiosso, superficialmente non dissimile da un verme che si è mangiato un bastone per sbaglio, nel ruolo di eccezione che conferma la regola, essendo dotato di una percentuale pari all’80-88% di metilazione del proprio codice genetico, non così lontano da quella dei mammiferi complessi, umani inclusi. Come, dove o perché? Lascerò che siate voi a trarne le responsabili ed inevitabili conclusioni. Dando il necessario benvenuto a questi nostri cugini delle occulte profondità dei mari…

Un rito di passaggio nella preparazione di ogni biologo degno di questo nome, l’osservazione approfondita degli anfiossi può essere un momento catartico. In cui si scopre come non tutto ciò che sembra un pesce debba necessariamente essere tale. O restare, metaforicamente, in silenzio.

Preoccupiamoci piuttosto, anche brevemente, di contestualizzare questo intero ordine di creature relativamente rare, benché diffuse in tutti i mari della Terra. Filtratori di materia planktonica da cui traggono l’opportuno nutrimento, attraverso una rudimentale bocca che si apre verso l’atrio centrale della loro anatomia, essi trascorrono lunghe giornate infilati verticalmente nella sabbia, da cui escono al tramonto per salire quasi in superficie nelle ore notturne, guidate da un gruppo di cellule fotosensibili corrispondenti alla “testa”. Discendendo progressivamente, mentre lasciano risplendere la propria dotazione di proteine debolmente fluorescenti al fine di attirare cobepodi, larve di pesce e le altre creaturine di cui tendono naturalmente a nutrirsi. Dioici dal punto di vista riproduttivo, possiedono due sessi che procedono allo scambio senza nessun tipo d’incontro, quanto piuttosto liberando i necessari gameti a più livelli della colonna acquatica d’appartenenza. Consumati occasionalmente anche come cibo umano dal sapore simile alle aringhe soprattutto in Asia, gli anfiossi erano noti fin dall’epoca della dinastia Tang (VII-VIII secolo) anche grazie ad un elevato riferimento mitologico, che li voleva discendere dalla popolazione dei vermi scaturiti dal decesso del coccodrillo gigante cavalcato nei cieli dal Dio della letteratura, Wen Chang. E sarebbero occorsi ulteriori dieci secoli perché a qualcuno venisse in mente di mettere in dubbio questa storia della loro origine, così chiara ed omni-comprensiva dal punto di vista dei processi documentali. Il che spiega perché ancora oggi, in molti, riescano a dubitare del necessario processo d’evoluzione, che nei fatti costituisce l’unica modalità possibile, affinché i vermi primordiali diventassero i nostri antichi progenitori. Ed iniziassero a calcare il suolo di questo azzurro mondo.

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