Balla coi lupi, libera i bisonti: il contenzioso ventennale di un monumento

La mancata presa di coscienza che non è possibile in alcun modo per l’uomo sopravvivere, senza sfruttare o imbrigliare i processi della Natura, è il fallimento fondamentale che deriva dal considerarsi al di fuori del nostro stesso mondo. Quasi come se la società moderna, grazie alle sue industrie, i veicoli, le macchine e i meccanismi, potesse sorgere allo stesso modo sulla Luna o su Marte, alimentata unicamente dalle ottime speranze o l’intercessione di un qualche tipo di entità superna. Laddove l’uomo primitivo, limitato nel suo senso di superiorità dal più semplice bisogno delle circostanze, possedeva la comprensione istintiva che uccidere fosse un comportamento del tutto necessario e paradossalmente, tendeva molto meno a farsi trascinare dall’ideale massimizzazione dell’efficienza. C’è qualcosa di assolutamente ragionevole, e persino poetico d’altronde, nella caccia tecnologicamente limitata di un animale delle Grandi Pianure, come un bisonte. L’eterna battaglia tra i giovani della tribù ed i vecchi, saggi animali, allo stesso modo consapevoli di possedere un futuro interamente condizionato dall’arco di tiro di una singola freccia o lancia. Ma gli “indiani” Lakota, una delle tre principali sotto-culture del popolo dei Sioux, erano fondamentalmente convinti che se soltanto un membro del branco a loro contrapposto fosse sopravvissuto ad un inseguimento, esso avrebbe insegnato ai suoi simili il pericolo costituito dalle persone. Così quando l’uomo bianco fornì loro i primi cavalli addestrati all’inizio del XVI secolo, fu del tutto inevitabile che trovassero il modo di trasformarli nella loro versione di un’arma d’uccisione di massa. Fino al verificarsi, reiterato ed assolutamente terribile, di scene come queste.
L’attimo raffigurato nella grande scultura monumentale dell’ex-biologa del Servizio Forestale, Peggy Detmers costituisce l’apice di un inseguimento drammatico e sconvolgente. Con 17 figure bronzee, raffiguranti i cacciatori nativi a cavallo e le loro imponenti prede bovine, nel mezzo di quello che gli storici hanno tradizionalmente definito un “Salto del Bufalo”. Ecco, allora, che il branco grande una volta e mezzo le proporzioni reali si ritrova spinto, con il frastuono delle grida di battaglia, le minacce e il rombo degli zoccoli, giù per la discesa di un metaforico dirupo, in un eccidio di massa che avrebbe rappresentato per secoli la via per l’opulenza ed il principio di riscossa delle sette bande Lakota. Il che merita, senz’altro, una collocazione contestuale che possiamo collocare non lontano dalla storica cittadina un tempo illegale di Deadwood, covo di fuorilegge, cercatori d’oro ed un letterale esercito di prostitute. Prima di ottenere per gentile concessione della Corte Suprema il predominio sulle terre un tempo proprietà delle tribù locali in mezzo alle Black Hills del Dakota Meridionale, con i caratteristici metodi notoriamente attribuiti all’uomo bianco. La stessa autorità legale, caso vuole, coinvolta ormai da più di 15 anni nella diatriba tra la già citata produttrice dell’opera e niente meno che l’attore hollywoodiano Kevin Costner, effettivo committente di un così specifico ed inconfondibile capolavoro statuario. I cui progetti andarono effettivamente incontro, come quelli di molti di noi, all’inflessibile realtà dei tempi correnti…

Nativa del Dakota da quattro generazioni e grande amante degli animali, Peggy Detmers rappresenta una figura a tutto tondo capace di amministrare un ranch, organizzare eventi di beneficienza e costruire opere degne di ottenere valutazioni tutt’altro che trascurabili. L’impegno nel campo della conservazione ecologica è al centro della sua comunicazione online.

Tutto ebbe inizio, o almeno così si narra, con i sette Oscar vinti dalla pellicola antologica del 1990 “Balla coi Lupi” a seguito dei quali Mr Costner, nominato ma non premiato in qualità di migliore attore protagonista (premio che sarebbe andato quell’anno a Jeremy Irons per la sua interpretazione ne Il mistero Von Bulow) entrò nell’idea programmatica di “ricompensare generosamente” i suoi amici facenti parte del popolo dei Sioux. Finalità per perseguire la quale, forse ingenuamente o con significativi interessi di prosperità personale, decise di fare un po’ come gli originali coloni di Deadwood, requisendo la terra necessaria per costruire un prestigioso resort, il cui nome sarebbe stato Dunbar. Fu più o meno in questa fase che l’attore entrò in contatto con la Detmers, recentemente premiata per le sue attività artistiche nella raffigurazione di soggetti naturali ed in modo particolare i bisonti, che lui aveva immaginato come cardine centrale del proprio pièce de résistance. Il soggetto del suicidio indotto dei bisonti è d’altra parte un vero e proprio classico dell’arte di frontiera, più volte raffigurato da pittori come George Catlin, Titian Ramsay Peale e soprattutto Charles M. Russell, che lo raffigurò più volte nel corso della sua lunga ed articolata carriera. Farne una scultura bronzea di queste proporzioni e complessità, sufficienti da renderla tutt’ora la terza più imponente al mondo, era tuttavia un’impresa indubbiamente priva di precedenti, nonché una prova d’abilità notevole, considerata la necessità di creare raffigurazioni convincenti di uomini in azione, cavalli e per l’appunto, bisonti. Difficilmente sarebbe dunque possibile affermare che l’autrice non seppe meritarsi i considerevoli 300.000 dollari ricevuti come pagamento per il suo lavoro + i diritti futuri sulla vendita di souvenir, sebbene proprio a partire da quel particolare momento, sarebbero iniziati i problemi. Questo perché Costner, contrariamente ad ogni pronostico, avrebbe ricevuto un veto da parte delle autorità legali alla costruzione del suo progetto dei sogni a causa del possesso tribale dei territori. E poiché il contratto prevedeva che egli dovesse “esporre adeguatamente” il Salto, pena l’obbligo e venderlo e dividere al 50% il ricavato con colei che l’aveva creato, finisse per percorrere un sentiero del tutto alternativo: posizionare letteralmente la grande scultura a lato della strada per Deadwood, denominata per l’appunto Tatanka Drive (Via dei Bisonti) facendone una sorta di attrazione per i viaggiatori. Con l’unica aggiunta di un piccolo museo esplicativo e negozio di artigianato locale in una situazione che, a quanto sappiamo, scontentò notevolmente l’autrice della scultura. Seguì una serie di cause a partire dal 2008, in cui la Corte Suprema del Dakota Meridionale diede ogni volta ragione a Costner, in forza del rispetto per lo meno nominale del principio del suo contratto. Almeno fino alla fine di luglio scorso quando, in occasione dell’ennesimo appello, la Detmers sembrò aver trovato un nuovo tipo d’appiglio.

L’unica descrizione coéva di cui disponiamo della caccia dei bisonti tramite il Salto fu redatta dall’esploratore Meriwether Lewis durante la spedizione del XIX secolo voluta dal Presidente Jefferson, che non la vide mai in prima persona. Esso prevedeva, in base ai suoi diari, la figura chiave di uno o più giovani tribali incaricati di agire come “esca”, un ruolo drammaticamente difficile e quasi altrettanto pericoloso. In seguito la carne sarebbe stata preservata tramite la preparazione del pemmican, un tipo di galletta essiccata.

Sembra infatti che allo stato attuale il pluripremiato interprete di Robin Hood, Waterworld e Un mondo perfetto abbia dimostrato il chiaro intento di vendere l’appezzamento di terra di sua proprietà nelle Black Hills ma NON, cosa indubbiamente singolare, la notevole scultura del salto dei bisonti. Da qui la decisione dei giudici, lungamente rimandata, di costringerlo per forza a trasformarla in moneta sonante, corrispondendo infine la cifra pattuita con colei che l’aveva posta in essere ormai quasi trent’anni a questa parte.
Una prospettiva di rivalsa che potremmo equiparare, fatte le dovute proporzioni, alla progressiva re-introduzione del bufalo americano in tutti quei territori da cui era stato progressivamente eliminato. Grazie a pratiche come il cruento Salto lungamente incoraggiate e praticate su scala maggiore dai coloni stessi, anche soltanto per procurarsi e rivendere le preziose pelli dell’animale lasciando marcire tutto il resto, con il beneplacito dello Stato stesso. Vigeva d’altra parte l’idea, del tutto ragionevole a quei tempi, che eliminando sistematicamente la principale fonte di cibo dei popoli delle pianure anche questi ultimi, ben presto, ne avrebbero condiviso il “destino”. Un fato chiaramente Manifesto, per gentile concessione umana & Divina, in base a cui le genti d’Europa avessero il diritto esclusivo alla conquista del Nuovo Mondo. Almeno finché la via sopraelevata fosse giunta al termine, repentino e irrimediabile quanto l’occorrenza topografica di una scarpata.

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