Un chirottero che non sa volare, un batrace che non sa saltare, un pesce che non sa nuotare. Chi avrebbe mai potuto pensare, tra gli abissi del grande mare, che potesse trattarsi dello stesso animale? Aerodinamico a suo modo, idrodinamico soltanto il necessario, con quattro pinne che assomigliano alle dita troppo ampie di un guanto dismesso, ma funzionano piuttosto come le zampe di un ragno. Per un tipo di creatura che in effetti, passa la gran parte del suo tempo a contatto con il terreno. Quello del fondale, s’intende, a una profondità variabile tra i 200 e i 1.000 metri. Non così remota, tutto considerato, visto che stiamo parlando di un appartenente a pieno titolo all’ordine dei Lophiiformes alias “rane pescatrici”, tra i pochi predatori di un ambiente che risulta essere, nella maggior parte delle circostanze, quasi totalmente privo di prede. Ed ecco spiegata la funzione della loro prototipica canna da pesca, chiamata dalla scienza illicio, in realtà il primo raggio della pinna dorsale collocato in corrispondenza di quello che potremmo chiamare il “naso” e con conformazione idonea a rappresentare un piccolo regalo concettualmente non dissimile dall’insidioso cavallo di legno dei Greci. Se soltanto avesse avuto la forma di un piccolo pesciolino e il compito di “entrare” le fauci di un divoratore, per poi scomparire e far entrare, quest’ultimo, all’interno delle fauci del nostro amico. Benché non ci sia nulla nella famiglia degli Ogcocephalidae, ad una presa di coscienza della realtà delle circostanze, che sia in alcun modo riconducibile persino al suo bizzarro ordine di appartenenza. Facendo di costui l’esempio, forse uno dei migliori noti, di una letterale creatura fuori dal contesto, come una sorta di alieno prodotto da processi evolutivi totalmente diseguali e non paralleli. Declinato, per buona misura, in ben 78 singole specie e 10 generi disseminati dai Caraibi al medio Pacifico, fino ai distanti fondali dell’Oceano Indiano. Per una lunghezza media molto variabile, ma che può raggiungere al massimo i 40 cm. Sebbene la sua varietà più famosa, soprattutto su Internet, possa essere facilmente individuata nel pesce pipistrello delle Galapagos (O. darwini) il cui tratto distintivo dominante è la colorazione rossa intensa sul suo ventre, che si estende fino al contorno della bocca donandogli l’aspetto di una vecchia strega dalle labbra voluttuose e dipinte. Per un effetto complessivo, più che lievemente inquietante, ancor migliorato dall’espressione perennemente imbronciata posseduta da questa intera genìa di creature, frutto ragionevolmente apprezzabile di una più che semplice coincidenza. Sebbene sia possibile, scherza il famoso commentatore inglese di alcune tra le creature più bizzarre, ZeFrank, che si tratti di un contegno mantenuto da colui che ha fatto tutto il possibile per essere diverso dai suoi più prossimi parenti, soltanto per trovarsi soprannominato “pipistrello” esattamente alla stessa maniera di almeno una mezza dozzina di pesci dagli aspetti ed ecologie più disparate. Davvero il culmine dell’ingiustizia onomastica, se mai dovesse esistere un siffatto concetto…
Premettendo come spesso capita per i pesci abissali, sebbene qui siamo di fronte a un caso relativamente più accessibile di altri, che la scienza non conosce moltissimo sull’ecologia e lo stile di vita degli Ogcocephalidae, c’è d’altra parte molto che possa essere desunto dalla loro specifica morfologia evidente. A partire dall’unica maniera in cui gli sia possibile spostarsi da un luogo all’altro, con la mancanza di arti che possano dirsi efficienti nel nuoto ed un rateo di galleggiamento negativo, tanto che all’interno di vari studi scientifici sono stati alternativamente ricondotti al movimento un rospo che affoga o una mucca che va a fondo. Mentre il sopracitato commentatore internettiano, andando ancor più dritto al punto, ha usato il termine di paragone di “Uno qualsiasi di voi, con le braccia legate attorno al corpo e gettato giù da un ponte, con la sola possibilità di agitare le dita delle mani.” Benché in aggiunta al comparto delle quattro pinne rivolte verso il terreno, il pesce pipistrello possa godere anche dell’assistenza di una forte coda e il getto idrico dagli opercoli situati in corrispondenza delle branchie, utile ad effettuare dei rapidi cambi di direzione. Esaurito quello che sappiamo in merito a tale argomento, ciò che colpisce maggiormente l’occhio dello spettatore è l’aspetto complessivamente mimetico dell’animale, ricoperto di tubercoli ed incrostazioni calcificate in aggiunta alle sue escrescenze ineguali, tali da renderlo se non proprio corazzato, quanto meno estremamente spiacevole da masticare. Il che dovrebbe costituire, almeno in linea di principio, il suo principale ed unico strumento di autodifesa contro i predatori, come dimostrato in un eclettico studio da Bradbury et al. (1998) che coraggiosamente giunse a leccare alcuni esemplari (si, davvero) per scoprire la loro eventuale tossicità. Senza riportare, a quanto scrisse, alcun tipo di conseguenza avversa. Altro aspetto degno di nota, nel frattempo, risulta essere la relativa piccolezza dell’illicio in questi pesci, che pur essendo in proporzione molto grande in età giovanile, resta delle dimensioni uguali mano a mano che il pesce raggiunge l’età adulta, con presumibile diminuzione nella sua efficienza. Se non fosse per la maniera in cui, rispetto alle altre rane pescatrici, l’Ogcocephalidae possiede la caratteristica di nutrirsi primariamente di creature come vermi, lumache, molluschi ed altri esseri che usano pochissimo la vista, facendo quindi affidamento più che altro sulla capacità del suddetto organo di rilasciare una serie di composti chimici in grado di attrarre le prede, con conseguente aumento funzionale dei suoi presupposti di predatore. In merito, infine, alla maniera in cui queste creature si riproducono ed i loro ciclo vitale, tutto ciò che possiamo dire con certezza è che la fecondazione avviene tramite liberazione dello sperma direttamente nella colonna oceanica abissopelagica, cui fa seguito un’escursione della femmina fino a strati meno profondi, dove procede alla deposizione delle uova tenute assieme in una sorta di zattera di muco semi-galleggiante. La stima della quantità di quest’ultime è molto alta, con una cifra raggiunta ad esempio dalla specie O. cubifrons pari a 5.973 discendenti.
Ciò detto, lo stato di conservazione dei pesci pipistrello abissali è largamente ignoto e mancano informazioni di qualsiasi tipo sia negli indici del CITES che dello IUCN, causa l’irraggiungibilità dei loro ambienti di provenienza. Sebbene si ritenga, in modo totalmente prevedibile, che la riduzione degli habitat marini e il mutamento climatico possano aver avuto un effetto negativo sulla loro popolazione complessiva. Mentre l’allevamento in cattività, sebbene non sistematico, ha mostrato continui e significativi margini di miglioramento, con molti acquari e zoo disseminati nel mondo che ad oggi posseggono popolazioni stabili di varie specie di Ogcocephalidae, i cui esemplari più longevi riescono a raggiungere anche i 12 anni di età. Ciò anche grazie alla naturale adattabilità e resistenza di questi pesci, nonché la capacità di abituarsi a vivere in gruppo, sebbene in età giovanile sembrino dotati di una naturale inclinazione a difendere il territorio. Ma senza mai giungere a dei veri e propri combattimenti, né alcun tipo di conseguenza a lungo termine. Chi vorrebbe mai combattere per sopravvivere, possedendo l’indole che è frutto del vasto oceano indiviso? Dove c’è spazio per tutti, e ce ne sarà sempre di più, sia belli che brutti, con il trascorrere degli eoni. Ma la bellezza, si sa, è negli occhi dello spettatore. E le labbra, le zampe, l’appuntito rostro bitorzoluto della controparte…