Vive come uno scoiattolo, pesa quanto una marmotta. Mangia formaggio?

Nell’aria densa e crepuscolare della fitta foresta ai piedi della Sierra Madre (Luzon) da non confondere con la Sierra Madre de Chiapas (Messico) qualcuno sollevò d’un tratto gli occhi e puntò il dito. “Amici miei, guardate lassù!” Esclamando all’indirizzo dei turisti, in un bagno di sudore per il tasso d’umidità pericolosamente prossimo al 100% “È uno sciuride gigante! Forse uno scoiattolo indiano?” Al che trascorsi pochi attimi d’esitazione, la risposta: “Stai scherzando! Si tratta di un mammifero arboricolo. Chiaramente un lemure di qualche tipo.” Alcuni dissentirono: “Non gli avete visto i denti. Di un colore giallo paglierino intenso. Difficile negare che si tratti di un castoro particolarmente agile, forse scappato da un circo.” Con un fruscio simile a quello del vento, la posizione dell’animale, grande quanto un cane di taglia medio-piccola, si fece all’improvviso evidente. Sporgendo il corto muso incorniciato dalle orecchie aerodinamiche, il suo manto bianco e nero stranamente contrastante, l’animale si sporse tra le fronde. “Il corridore… Il corridore tra le nubi. La sua priorità biologica è un fondamentale segno di rivalsa. Eroe di tutto ciò che rosica e rosicchia, mangia, rumina trangugia. Ma non per questo pare giusto sottovalutare il segno della sua unicità ecologica immanente.”
Per la serie: animali endemici di un particolare territorio e soltanto quello. La tribù tassonomica dei Phloeomyini, costituita dagli appartenenti a cinque generi distinti e tutti rispondenti all’essenziale descrizione d’imponenti topi arboricoli, possiede tratti fenotipici ragionevolmente variabili. Con dimensioni tra i 20 ed i 50 cm ed un peso in grado di raggiungere i 2,7 Kg, tali creature per lo più notturne risultano comunque accomunati da particolari elementi di distinzione. Una natura prevalentemente erbivora, piuttosto che onnivora, con stomaci adattati alla digestione di fronde giovani, germogli e l’occasionale pezzo tenero di corteccia; piedi lunghi e artigli prensili, perfetti per arrampicarsi sempre più in alto; una sola serie di capezzoli nelle femmine, per questo inclini partorire numeri particolarmente contenuti di figli o addirittura un singolo erede. Il che potrebbe renderci inclini a considerarli come una presenza ragionevolmente rara nello straordinariamente biodiverso arcipelago delle Filippine, laddove l’evidenza rende alcune di queste specie pressoché onnipresenti ai margini degli insediamenti umani, con frequenti invasioni dei terreni agricoli e conseguente consumo abusivo di problematiche quantità di messi agricole piantate dall’uomo. Rivale nel controllo degli spazi, che attraverso i secoli ha cacciato, consumato, allontanato e perseguitato queste pervasive creature, come del resto prevede l’usanza e tradizione delle sue prerogative inerenti…

La propensione largamente onnivora della maggior parte dei Muridae (topi) è totalmente assente nel caso dei cloudrunners. Che notoriamente preferiscono consumare cibo di provenienza esclusivamente vegetale, potendo disporre a piacimento di una nicchia ecologica decisamente vasta.

Ogni tipica considerazione sul destino manifesto ed il diritto esclusivo allo sfruttamento degli spazi tendono d’altronde a ritrovarsi in secondo piano, nel momento in cui si scruta per la prima volta dritto dentro gli occhi di una di queste creature, a loro modo caratterizzate da un certo invidiabile grado di personalità graziosa ed empatia magnetica all’indirizzo delle controparti. Pacifici, mansueti ma scattanti quando necessario, come esemplificato dal loro appellativo comune in lingua inglese di cloudrunners, un doppio senso probabilmente voluto tra la biosfera della foresta nebulosa/pluviale e il semplice concetto di “nubi” ovvero un luogo superno, ove forse un tempo le superstizioni volevano che questi topi avessero la loro augusta dimora. Ambiguità dei termini per tale lingua pienamente integrato nella cultura di questo arcipelago che, in maniera alquanto tipica, ricorre nelle due scelte linguistiche impiegate per riferirsi rispettivamente ai cuccioli, kitten (come un gattino) e i rari gruppi o sciami d’esemplari avvistati, plague (come avviene per il ratto nero, portatore di malattie). Laddove questi animali pienamente a loro agio nella canopia, che spesso partoriscono i propri pochi piccoli all’interno del cavo degli alberi, raramente risultano ostili o mordono gli intrusi, almeno finché non si ritrovano convinti di essere ormai alle strette ed impossibilitati alla fuga. Eventualità segnalata da un basso e prolungato ringhio, che costituisce anche uno dei pochi suoni emessi dall’animale. Molto varabile, incidentalmente, lo stato di conservazione di queste presenze della giungla, con le due varietà più comuni del topo gigante di Luzon (Phloeomys pallidus) e la sua controparte meridionale (P. cumingi) figuranti anche tra le schiere dei più imponenti, diffusi fino a 900 metri d’altitudine nell’entroterra di questi ambienti dal clima per lo più tropicale. Più difficile, nel contempo, la situazione di specie dalle dimensioni ridotte e un ambito d’appartenenza costiero, in zone per lo più abitate e controllate dagli abitanti dei contesti urbani. Vedi ad esempio il topo delle nubi di Dinagat (Crateromys australis) non più lungo di 27-30 cm, lungamente considerato estinto dopo che un singolo esemplare era stato avvistato nel 1975, prima di essere fotografato nuovamente nel gennaio del 2012, dalla studiosa della Repubblica Ceca Milada Řeháková, che si trovava sull’isola omonima assieme al marito per effettuare studi relativi al tarsio delle Filippine, uno dei pochi primati carnivori al mondo. Analogamente caratterizzato dalla propensione a uscire dalla sua tana esclusivamente di notte, come per l’appunto la stragrande maggioranza dei cloudrunners, fatta eccezione per talune specie solo ed esclusivamente nel corso della stagione delle piogge. Un’altra specie formalmente minacciata è nel frattempo quella del topo di Panay (Crateromys heaneyi) scoperto tardivamente nel 1996 e caratterizzato da una coda particolarmente folta e lunga. Mentre risulta incerta ma probabilmente critica la situazione del topo dell’isola di Ilin, la cui ultima fotografia è datata al 1953, mentre l’intero ambiente d’appartenenza è ormai disseminato di campi coltivati, condomini e resort turistici di variabile natura.

Poco studiate risultano essere le interazioni sociali in natura e comportamenti reciproci di questi animali, che tuttavia sembrano adattarsi sorprendentemente bene alla vita in cattività, arrivando a vivere anche più di una decina d’anni. Ragion per cui la stragrande maggioranza dei dati da noi raccolti, allo stato attuale, proviene da esemplari custoditi all’interno di zoo ed altre simili istituzioni.

Largamente conosciuto e preso in considerazione fin da tempi antichi nel sistema agricolo delle isole delle Filippine, il topo delle nubi riesce tuttavia a integrarsi in determinate province oggetto della sua presenza occasionalmente invadente. Con alcuni sondaggi condotti come parte di sforzi tesi alla conservazione dimostratisi capaci di rivelare un certo grado d’inaspettata tolleranza nei suoi confronti da parte della popolazione rurale, probabilmente almeno in parte per il suo aspetto grazioso unito alla mancanza di fattori patogeni che possa veicolare ai danni dell’uomo. Senza dimenticare come l’attitudine a spostarsi di notte, con chiara ed invidiabile furtività, gli permetta spesso di costituire l’oggetto di un avvistamento sproporzionatamente raro. Laddove i paleontologi ritengono, a partire da taluni ritrovamenti di ossa nel 2021 all’interno delle grotte carsiche dell’isola di Luzon, che i loro antenati della grandezza approssimativa del doppio di uno scoiattolo grigio, ed abitudini probabilmente diurne, siano stati cacciati fino all’estinzione in un periodo successivo alla costituzione di comunità umane ragionevolmente preponderanti. Il che pone interrogativi alquanto interessanti sulla pressione evolutiva causata dalla convivenza ai margini della società cosiddetta civile. Anche per chi è in grado di elevarsi, correndo via leggiadro in mezzo ai rami. Libero, grande…

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