Il mistero tassonomico del procione vegetariano

“Ispettore, credo che la dinamica degli eventi risulti essere piuttosto chiara.” Lo sguardo del vice si alzò un’altra volta verso il soffitto ombroso della foresta, indicando il ramo dell’albero di ficus direttamente sopra il punto in cui si stava svolgendo l’indagine di polizia. “L’animaletto stava cogliendo un frutto, quando improvvisamente ha perso la presa ed è precipitato a terra, da circa 25 metri di altezza. L’urto l’ha ucciso causando la frattura immediata della sua colonna cervicale. Una morte rapida. E indolore.” La sua controparte, vice-capo di un distretto periferico di Sorocaba, nella regione di São Paulo, si portò allora pensierosamente la mano alla lunga barba, valutando la precisa dinamica dell’incidente. L’esemplare in età evidentemente avanzata di kinkajou (Potos flavus) giaceva perfettamente immobile, in una posizione del tutto innaturale: la testa rivolta verso l’alto e il quarto posteriore ruotato esattamente di 180 gradi, con le zampe allargate sul terreno a vaga imitazione di un disegno anatomico leonardesco. La lunga coda, nel frattempo, pareva disegnare un punto interrogativo. Tra le due manine anteriori, stranamente simili a quelle di una scimmia, stringeva ancora il fico fatale all’altezza del petto orsino, sul quale erano visibili  le tacche inflitte dal paio di canini eccezionalmente appuntiti della creatura. Mentre veniva a patto con le caratteristiche della scena, l’espressione perplessa del vice-capo lasciò il posto a un comprensibile senso di rammarico per la vetusta vittima (poteva avere almeno 35-40 anni) mentre estraeva dalla tasca della divisa la macchina fotografica per le realizzare le foto da inviare alla Protezione Animali brasiliana. Fu allora che a un tratto, notò qualcosa: la lingua dell’esemplare deceduto, lentamente, era fuoriuscita dal suo muso semi-aperto e scimmiesco, avvicinandosi alla sommità del frutto. “I-Ispettore…” Sentì esclamare il suo aiutante: “Possibile… Che?”
A questo mondo popolato d’infinite variazioni sul tema di ogni forma di vita immaginabile dalla mente umana, ci sono esseri snodati e ce ne sono di MOLTO snodati. Quindi, in una categoria a parte, rientra il dorato “lemure/gatto/leone” o cercoletto, noto in buona parte del Sudamerica per le sue scorribande arboricole notturne, la pacifica grazia e la capacità di appendersi a qualsiasi ramo, non importa quanto rigido, verticale, obliquo e/o oscillante. Un traguardo raggiunto tramite un’ampia serie di adattamenti evolutivi, non ultimo dei quali la capacità d’invertire completamente, come il galletto di una banderuola segnavento, ciascuna parte terminale dei propri arti, facendo presa con le affilate unghie sulla scivolosa corteccia delle sue giornate. Per non parlare poi del suo tronco, caratterizzato dalla stessa insolita capacità funzionale. Questo in funzione del fondamentale “quinto arto” di cui è dotato, la coda della lunghezza di 40-50 cm, pari al resto dell’animale, dalla muscolatura possente e capacità prensile simile a quello di un piccolo primate o di un’altra nostra vecchia conoscenza, il binturong (Arctictis b.) del Sud-Est asiatico, l’unico appartenente all’ordine dei carnivori che condivide la stessa propensione ad appendersi a testa in giù. Chi dovesse ritenere le due creature in qualche modo simili, dimensioni maggiorate a parte, potrebbe restare tuttavia sorpreso: la piccola controparte sudamericana non ha infatti alcunché a che vedere con i viverridi (genette, zibetti etc.) rientrando invece a pieno titolo nella famiglia dell’arcinoto ladro quadrupede, con tanto di mascherina e subdola coda a strisce, che funge da antonomasia scientifica per l’intera famiglia dei Procyonidae degli Stati Uniti.

Il kinkajou nel suo ambiente naturale ha un tenore di vita generalmente placido e rilassato, grazie alla quasi totale assenza di predatori fatta eccezione per i comunque inevitabili uccelli rapaci. Se minacciato, tuttavia, è pronto a mordere con rapidità e nessun pregiudizio.

Inserito convenzionalmente nella stessa derivazione biologica del grande albero della vita popolata dai cosiddetti olingo, variegato gruppo di procioni centro e sudamericani, questo personaggio degno di un cartoon della Dreamworks presenta tuttavia dei tratti di distinzione particolarmente caratteristici, che permettono di distinguerne facilmente la notevole importanza sistemica all’interno del suo habitat di appartenenza. In primo luogo, la dieta composta quasi esclusivamente da frutti e fiori, quest’ultimi consumati mediante la lunga lingua flessibile, che il kinkajou è solito fagocitare in maniera notevolmente disordinata. Ciò a causa di una conformazione del cranio e della mandibola conforme a quella del proprio ordine carnivoro di provenienza, che gli impedisce sostanzialmente di masticare qualcosa di solido e tondeggiante con estrema efficienza. Già durante il pasto, dunque, il piccolo arrampicatore dissemina semi e polline da tutte le parti, per trovarsi quindi a trasportarne quantità notevoli nel pelo e all’interno del proprio stesso organismo. Una volta che si è saziato, quindi, la digestione risulta essere particolarmente rapida e poco distruttiva, con banchetti frequenti che lo portano a espellere i potenziali alberelli futuri in ogni angolo disponibile della foresta. Ciononostante restando pur sempre un carnivoro per classificazione e di fatto, l’orsetto del miele (soprannome condiviso con un’altro abitatore degli alberi del Sud-Est asiatico, l’Helarctos malayanus) non disdegna l’occasionale pasto a base d’insetti o piccoli vertebrati, mentre è stato ipotizzato capace di sottrarre, occasionalmente, le uova d’uccello direttamente dal nido. Un’ipotesi comunque mai dimostrata.
Dal punto di vista riproduttivo il cercoletto presenta uno stile sociale particolarmente insolito, che porta alla costituzione di nuclei familiari composti da tre individui: maschio dominante, maschio subordinato e la femmina. La quale tenta di accoppiarsi effettivamente con entrambi, benché la funzione riproduttiva venga effettivamente svolta soltanto dall’esemplare più forte, mentre il secondo si occupa di proteggere e marchiare il territorio, contribuendo al procacciare il cibo per il cucciolo successivamente alla sua venuta la mondo. Uno soltanto, nella stragrande maggioranza dei casi, il che prefigura una riproduzione lenta che permise, fin da subito, di comprendere come dovesse trattarsi di una creatura dalla durata della vita particolarmente estesa. Eppure contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ancora a rischio d’estinzione benché vulnerabile, nonostante la caccia occasionale che ne viene fatta per il pelo e la carne, considerata una prelibatezza nei suoi paesi di appartenenza. Quando non sovrascritta, per sua fortuna, in funzione di una qualità molto apprezzabile dal punto di vista degli umani: quella di essere un (quasi) perfetto animale domestico, per lo meno se tirato su nella maniera appropriata.

Il grande naturalista YouTube-iano Coyote Peterson alle prese con un adorabile esemplare di kinkajou. “Potrebbe mordermi da un momento all’altro” esclama speranzoso l’autolesionista divulgatore col cappello da cowboy. Ma il piccolino si dimostra, fortunatamente, più pacifico che mai.

E di certo non sorprenderà nessuno la definizione occasionalmente ripetuta online di “essere più grazioso al mondo” vista la vaga somiglianza con un gatto dal muso più allungato, il manto dal colore leonino e l’indole notoriamente affettuosa nei confronti del suo padrone/coinquilino, dal quale si lascia spesso prendere in braccio aggrappandosi saldamente alle braccia o le spalle umane. Il kinkajou risulta inoltre del tutto privo delle ghiandole odorifere possedute da mustelidi (furetti & co.) e viverridi (genette & co.) essendo stato nel frattempo descritto come avente le qualità migliori di una piccola scimmia, senza i problemi che queste ultime sembrano causare nella maggior parte degli ambienti domestici e urbani. Detto questo, l’effettiva adozione di qualsiasi animale appartenente all’ordine dei procionidi è formalmente vietata in molti paesi del mondo, inclusa l’Italia. Ciò in funzione, tra le altre cose, della capacità di trasportare il Baylisascaris procyonis, un verme parassita capace di attaccare direttamente il cervello umano. Non che questo abbia dissuaso, nei fatti, i più avventurosi possessori di animali domestici americani, che negli anni hanno alimentato un commercio mai effettivamente illegale, benché talvolta lesivo per l’effettiva conservazione naturale degli habitat interessati dalla presenza di tali inconfondibili creaturine.

La leggendaria lunghezza della lingua del kinkajou è stata connessa scientificamente a una sua possibile affinità evolutiva coi formichieri. Oltre a risultare pressoché ideale per svuotare e ripulire completamente una bottiglia di ketchup o similare.

Pomeriggio inoltrato, clima terribilmente umido, il richiamo distante di un pappagallo. Sotto gli occhi increduli dei due ufficiali di polizia, la “vittima” precipitata dall’albero iniziò ad esplorare con la punta della lingua il suo presunto ultimo pasto, come fosse la sommità di un gelato. Quasi rinvigorito da quel sapore, a quel punto, l’anziano esemplare di cercoletto voltò le zampe posteriori mantenendo la propria posizione coricata, tornando a una configurazione fisica più tipica dei viventi.
Con uno sguardo apparentemente assonnato nei confronti degli spettatori, si voltò ancora una volta, balzando agilmente in piedi, poi gettò a terra con noncuranza il frutto parzialmente mangiucchiato e iniziò una lunga passeggiata verso le propaggini non troppo remote della città di Sorocaba. “Ay, porra!” Fece l’ispettore al suo vice: “Il mio oroscopo l’aveva detto, stamattina: mangiate il frutto alla base dell’albero di fico, ne sarete rinvigoriti. E adesso chi ha il coraggio di trasformare una simile metafora, in verità…”

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