I resti della nave di 200 anni ritrovata sotto le macerie di Ground Zero a New York

Così tanto simile ad un essere vivente riesce ad essere un moderno agglomerato urbano, come un ingombrante Leviatano di cemento e vetro, che la parte verso cui possiamo volgere lo sguardo costituisce nella pratica sostanza solamente la metà dell’equazione. Mentre uno scheletro sepolto, nascosto nel terreno stesso che ne incorpora e nasconde i segreti, si estende speculare verso l’invisibile sottosuolo. E se qualcosa accade sotto l’incombente luce dell’astro solare, conseguentemente può riflettersi al di sotto. Con conseguenze, molto spesso, assai difficili da prevedere. Non è forse proprio questa la maniera in cui dopo il terribile attentato dell’11 settembre 2001, al crollo dei palazzi da cui conseguì una significativa perdita di vite umane, il mondò cambiò per sempre e assieme ad esso, la città colpita della Grande Mela… Creando onde concentriche destinate a propagarsi nella percezione culturale del mondo, i suoi sistemi, i metodi di comunicazione. Ed anche, in quelle strade ricoperte di polvere e macerie, dove fosse logico scavare, e cosa ne potesse emergere di fronte all’indistinta percezione del senso comune. Vedi il modo in cui i mezzi pesanti dei cantieri entrarono a far parte a pieno titolo della popolazione di Manhattan per oltre un decennio, mentre con le loro benne si trovavano a varcare la membrana della superficie per com’era stata lungamente definita dall’evidenza. E verso la fine di luglio del 2010, tra la terra ed i detriti del sottosuolo, videro riemergere qualcosa di oblungo e… Legnoso. Parti, se vogliamo, di un qualcosa di eccezionalmente significativo all’interno del panorama pregresso di New York City. Niente meno che un’imbarcazione, completamente sepolta in un presumibile momento antecedente del percorso storico umano. Lungo il percorso, per essere più precisi, dell’attuale Washington Street situata dove al tempo sussisteva unicamente l’acqua ragionevolmente trasparente dell’Hudson River. Prima che l’intraprendenza degli antichi costruttori di questa svettante meraviglia urbana dei moderni non portasse, attorno alla metà del XIX secolo, ad estenderne la pianta costruendo vaste piattaforma di terra reclamata. Ovvero accumuli nell’acqua della baia di vaste quantità di materiali, rifiuti e perché no, l’occasionale imbarcazione dismessa, idonea fornitrice di massa inerte e largamente idonea ad essere riutilizzata in una simile maniera. Una situazione tanto simile a quella degli scavi archeologici che tendono a fermare tanto spesso i lavori negli antichi agglomerati d’Europa, ma che risulta di sicuro più rara nell’appropriatamente denominato Nuovo Mondo, oltre a sollevare in quel frangente il ragionevole antefatto di un complicato mistero. Che avrebbe iniziato a palesarsi con la misurazione e datazione del relitto, tali da sottolinearne una latente difficoltà di classificazione…

In molte metafore descrittive impiegate dai giornali, la nave è stata paragonata allo scheletro di una balena fossilizzata, parallelo facilmente giustificabile in base a una radiografia come questa. Perciò nulla impedisce, negli anni a venire, che possa nello stesso modo ritrovare una seconda vita tra le mura di un grande museo.

La compagnia archeologica AKRF dunque, incaricata di supervisionare il sito fin dal 2009, intervenne immediatamente per raccogliere e documentare l’insolito ritrovamento. E trasportati dei campioni delle assi maggiormente integre presso il Three Rings Laboratory dell’Università della Columbia, ha prontamente fatto realizzare un progetto di datazione dendrocronologica, ovvero basata sulle caratteristiche e la composizione del legno. Verso l’ottenimento non soltanto di un anno di abbattimento degli alberi utilizzati come materia prima, il 1773, ma anche una realistica provenienza geografica, vista la corrispondenza ad un particolare tipo di quercia bianca (Q. alba) originaria delle foreste del sud-est della Pennsylvania. Il che avrebbe collocato con ragionevole certezza il cantiere dell’imbarcazione in questione presso la città di Filadelfia, benché aspetti della sua effettiva costruzione continuassero insistentemente a sollevare non pochi interrogativi di contesto. In primo luogo per l’effettiva composizione della parte di relitto ritrovata inizialmente, che era stata nel frattempo determinata appartenere alla parte posteriore o poppa, pur essendo costituita di assi troppo piccole per corrispondere a qualsiasi misurazione standard. Oltre ad essere dotata, verso la sua parte centrale, di un grande recipiente metallico, possibilmente un forno o parte di arcaico sistema di propulsione a vapore. Soltanto il rinvenimento, a esattamente un anno distanza nell’estate del 2011, di una seconda parte del vascello corrispondente questa volta alla prua avrebbe infine permesso di determinarne la lunghezza ed effettiva natura progettuale. Trattandosi di niente meno che un brigantino (in inglese: brig, non brigantine) a due alberi di concezione civile e della lunghezza di 15 metri, del tutto conforme a quelli utilizzati in tale epoca per il commercio con la zona delle cosiddette “Indie Occidentali” (i Caraibi). Di sicuro interesse, al fine di comprenderne la storia, anche il ritrovamento contestuale tra i molti detriti di un bottone fabbricato in peltro marcato con il numero “52” probabilmente appartenuto ad un soldato semplice di un reggimento di fanteria inglese, per l’appunto coinvolto attorno all’epoca dell’affondamento dell’imbarcazione nelle operazioni militari contro i ribelli dell’epoca coloniale. Il che lascerebbe intendere, per l’appunto, un possibile reimpiego in fasi successive della storia del relitto come trasporto militare per le truppe, almeno finché non venne accantonato o sostituito con soluzioni migliori. Ed è qui che emerge il secondo nodo della questione, poiché la piccola nave è stata determinata aver lasciato il servizio attivo in un periodo tra i 10 e 20 anni, di gran lunga inferiore alle normali aspettative di vita utile per questo tipo di vascelli. Essendo presumibilmente rimasta attraccata, per di più, lungo il corso dell’Hudson River per un periodo di svariati mesi ed anni, come osservabile dalla presenza di particolari mitili abbarbicati al fasciame. Ed ecco dunque l’origine della teoria secondo cui avesse potuto effettivamente costituire una sorta di deposito galleggiante, per merci non deperibili ed altri oggetti scaricati presso i molti newyorchesi più vicini, prima di andare incontro ad un improvvido deperimento causa infestazione dell’impietoso verme del legno teredo, che aveva visibilmente cominciato a divorarne l’essenziale architettura strutturale. Una sorprendente quantità d’informazioni desumibili da pochi resti e in condizioni tutt’altro che ottimali, benché l’ambiente anossico del sottosuolo avesse contribuito se non altro a mantenerne integri i componenti di massima, aprendo un letterale passaggio utile all’osservazione di un’epoca remota, cronologicamente collocabile attorno al punto di svolta storica del Boston Tea Party. E il conseguente conflitto che ne sarebbe ben presto scaturito.

A poca distanza dalla strada dove è stato ritrovato il relitto, la piscina riflettente del sito dell’ex-WTC, a sempiterna memoria dello spietato episodio che cambiò il mondo. L’acqua imperturbabile mantiene viva la memoria, ma richiede anche un frequente e ininterrotto processo di manutenzione.

Trasportati nel 2011 presso la Texas A&M University per ulteriori studi ed approfondimenti, i resti della nave hanno quindi per la prima volta raggiunto la parte meridionale degli Stati Uniti, lontano dai recessi appartenenti al percorso del fiume Delaware dove si era lungamente aggirata all’epoca del proprio impiego operativo. Dopo aver catturato per diversi anni l’immaginazione pubblica, attraverso i numerosi articoli sull’argomento pubblicati da diverse testate internazionali, essa si è vista quindi riservare 1,1 milioni di dollari da parte del museo di stato di Albany a partire dal 2015, per ulteriori operazioni di conservazione e la messa in condizione di essere esposta all’interno della suddetta prestigiosa istituzione divulgativa. Un progetto ancora in corso ma che ha visto denominare la nave del WTC con l’appellativo del tutto arbitrario di S.S. Adrian, in assenza di alcuna fonte storica capace di rintracciarne quello reale. Non che ciò risulti necessario al fine di restare imprescindibilmente colpiti dalla sua esistenza pregressa, assieme al modo in cui è riuscita a sopravvivere al passaggio di oltre un paio di secoli. Soltanto per parlarci delle aspirazioni, stile di vita e problematiche di alcuni dei nostri dimenticati predecessori.

Illustrazione dallo studio tecnico della AKRF, pubblicato nell’agosto del 2013.

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