L’airone combattente che ha saputo ereditare l’illusione ottica della falena

Negli oscuri spazi dell’intercapedine tra i rami sudamericani, una sottile forma che si aggira vibrante: ali grigie come nubi di tempesta, e striate per cercare un qualche tipo di mimèsi. Zampe lunghe lievemente piegate. Occhi rossi e minacciosi. Ed è lo sguardo stesso dello spettatore, ideale parte imprescindibile di questa scena, per quanto esterna e fuori dall’inquadratura, che tendenzialmente si ritrova a suscitare un valido interrogativo: quanto è grande, quali sono le sue esatte proporzioni? Ragno, bruco e coda di scorpione. Tronchi, ghiande o radici. Tutto questo si confonde in un indiviso maelstrom di forme colorate. In mezzo al quale, all’improvviso, appare il becco semi-aperto dell’animale. Sei stato avvistato! Adesso, guarda: è l’inizio di un’impressionante trasformazione. Là dove in origine c’era soltanto l’accenno di una piccola creatura, sorge repentina l’alba duplice di un impossibile Pianeta, come un basso e trasversale accenno del triangolo di cielo. È la parte più visibile di un formidabile soldato. Il suo nome: tarabuso del Sole o Eurypyga helias. Eppure a ben vedere, se vogliamo essere più tassonomicamente corretti, esso non è affatto ciò che implica quel nome, inteso come appartenente alla sottofamiglia del botauro (B. stellarisvedi), mimetico rappresentante degli aironi celebre per il suo collo serpentino e la capacità di assomigliare quando immobile ad un tronco o giunco di palude. Bensì membro monotipico di un suo particolare genere, una propria famiglia e addirittura un ordine, quello degli Eurypygiformes, condiviso con soltanto un altro pennuto vivente assieme al possesso del sistema delle piume autrigeneranti dette feather down (piumino). Cognato il cui aspetto non potrebbe essere maggiormente diverso; sto parlando infatti del bizzarro kagu o cagou (Rhynochetos jubatusvedi) vagamente simile a un piccione col riporto, capace di trasformarsi in un’alta cresta ogni qual volta egli ritiene necessario imporre i limiti del suo territorio. Non che l’effettivo atteggiamento del suo più prossimo congiunto noto, questo uccello cercatore delle acque basse attorno ai 45 cm massimi di lunghezza, dimostri un atteggiamento molto più accomodante, data la tendenza a reagire all’avvicinamento di un possibile nemico in modo diametralmente opposto al rapido decollo di un “vero” airone. Cui preferisce abbassare la testa, aprire le ali ed iniziare ripetutamente a sibilare. È una vista che oggettivamente non può fare a meno di colpire, anche per la rapidità con cui ciò sembra permettergli di cambiare colore. Mentre il disegno arancione, rosso e giallo nascosto tra le pieghe delle piume si spalanca alla maniera di un ventaglio kabuki, creando l’illusione di un paio d’occhi fiammeggianti e al tempo stesso confondendo le proporzioni del suo possessore. Ciò in quanto il qui presente fossile vivente o fischiante, pur essendo in grado di staccarsi da terra nei validi casi in cui dovesse rendersi necessario, preferisce in genere spostarsi a livello del terreno, fatta eccezione per le volte in cui necessità di far ritorno al suo nido costruito in media a 6-9 metri di altezza. Una netta, ma non unica distinzione rispetto alla classe di creature da cui si è ritrovato a prendere in prestito il proprio nome…

Agile e scattante, questa versione del tarabuso condivide se non altro le particolari tecniche di caccia del suo omonimo, pur possedendo un’eredità genetica tassonomicamente distinta. Che lo renderebbe discendente, secondo alcune teorie, dagli adzebill (Aptornis) preistorici, imponenti pseudo-struzzi del peso di 18 Kg.

Si tratta di un uccello per fortuna non a rischio d’estinzione, data la sua buona capacità riproduttiva, l’assenza di predatori numericamente preponderanti e l’estensione molto ampia dell’areale di riferimento per la serie tipo, che include anche territori remoti dei paesi situati tra il Guatemala ed il Brasile, con particolare concentrazione in corrispondenza del bacino dell’Orinoco. Più rara, nel frattempo, risulta essere la sottospecie peruviana E. h. meridionalis, con attestazione soprattutto alle altitudini tra 800-1830 metri all’interno della catena montuosa andina. Mentre la terza delle varianti, E. h. major, viene avvistata fino all’estremo margine settentrionale del territorio, entro i confini del Messico. Espressioni piuttosto simili della stessa creatura, così come tendono a essere largamente indistinguibili i suoi due generi, con maschio e femmina differenziati unicamente dalla disposizione di taluni disegni e macchie corrispondenti alla parte posteriore del collo. Tanto che anche su siti specializzati, spesso si vedono fotografie accompagnate dalla notazione “sesso incerto” a cui un semplice navigatore d’Internet dovrà purtroppo tendere a rassegnarsi. Ancorché resti una prerogativa per così dire incidentale, la maniera in cui l’eccezionale aspetto delle ali aperte dell’animale trovi un doppio impiego, oltre a quello dell’autodifesa, nel momento in cui i membri in cerca di una partner della stessa specie lo usano per scoraggiarsi o allontanarsi a vicenda, rendendolo in un certo senso una caratteristica di avvenenza e valido strumento di supporto al tentativo di riprodursi. Una volta completata la coppia, verso l’inizio della stagione piovosa, i due tarabusi del sole collaboreranno quindi per la costruzione del nido sopraelevato simile a una ciotola di rami, entro cui la femmina provvederà a deporre in media tra le due e le tre uova. Covate in seguito a turno dai genitori, fino alla schiusa e nascita di piccoli piuttosto precoci e indipendenti, ma che preferiranno rimanere all’interno del nido per svariate settimane. Questo è naturalmente il periodo in cui coloro che li hanno messi al mondo risultano maggiormente aggressivi, con un palese intento di far sentire la propria voce e mostrarsi ingigantiti all’indirizzo di ogni essere percepito come una minaccia. Guai, perciò, a qualunque escursionista commettesse l’errore di avvicinarsi alla loro dimora.
Una volta raggiunta l’età adulta, ed iniziato a cacciare autonomamente, il tarabuso del Sole mostra dunque un atteggiamento predatorio molto simile a quello dell’airone a cui fu originariamente accomunato, con movimenti lenti e cadenzati presso il margine dell’acqua, cui far seguito con esplosivi attacchi del suo becco acuminato all’indirizzo di pesci, gamberi, rane, granchi, invertebrati di varia natura. Benché non disdegni di cacciare talvolta a riva, catturando varie tipologie d’insetti, larve o ragni. Un’importante tratto di distinzione rispetto alla controparte tassonomica, incidentalmente, resta essere la sua preferenza per corsi d’acqua scorrevoli piuttosto che zone paludose. Il che lo porta il più delle volte ad occupare nicchie ecologiche chiaramente e del tutto distinte.

Quando effettua la sua dimostrazione di aggressività, il tarabuso non si limita ad aprire la ali e produrre suoni, ma intavola una sorta di danza guerriera. Mentre oscilla da una parte all’altra, mantenendo la testa perfettamente stabile come quella di un venefico cobra.

Come una creatura fuoriuscita da un libro delle fiabe, questo uccello atipico pare dunque costituire il fondamentale incontro tra due mondi originariamente distinti: quello dei lepidotteri, falene o farfalle, con l’intento ed il tipico atteggiamento di un saltellante, aerodinamico dinosauro. In tal senso rappresentando, a tutti gli effetti, l’esempio di qualcosa che il mondo ha saputo produrre soltanto in pochi altri casi al suo attivo: un singolare caso di convergenza evolutiva tra due phylum nettamente distinti. Ed è forse proprio questa, una delle chiavi analitiche di maggior rilievo per la comprensione finale dell’Universo. Perché non è forse vero che se una tale strategia funziona, per creature tanto differenti all’interno della vasta selezione della nostra Terra, lo stesso potrebbe idealmente verificarsi anche entro i confini di mondi assai distanti? Dimostrando ed in ultima analisi confermando, la struttura geometricamente prevedibile dell’intero scibile vigente, fino alla possibile ipotesi dell’Universo olografico, indistinguibile da una simulazione basata sul sistema matematico dei frattali. Lo stesso schema ripetuto, una riga dopo l’altra, negli arcani codici sopra le ali di questo uccello. E la profonda serie di metafore che in qualche modo, per lo più spontaneo, esso sembra premurarsi di veicolare.

Lascia un commento