L’airone invisibile che muggisce nel cuore della palude

Maestro del territorio, ago della bilancia, signore dell’acque chete. Aguzzo come una spada quando solleva il becco in direzione del sole, sapendo che molto difficilmente, l’eventuale nemico che cerca di catturarlo, potrà riuscire a carpirne la sagoma tra multiple canne sovrapposte; il tarabuso. Gran bittern per gli anglofoni o botaurus in lingua latina, poiché si diceva emettesse lo stesso suono profondo del bue (bos) e del toro (taurus) messi assieme, sfruttando un qualche tipo di lunga cannuccia raccolta a tal fine, oppur l’acqua stessa come una sorta di cassa di risonanza naturale. Laddove la scienza moderna, oggi, può ben dire di aver identificato la natura del suo segreto: nient’altro che muscoli situati attorno all’esofago, all’interno di quel flessibile collo, capace di estendersi o accorciarsi a comando. Airone degli acquitrini di dimensione medio-grande con i suoi 100-130 cm di apertura alare, questo uccello suddiviso in due specie geograficamente distinte (B. s. stellaris e B. s. capensis) è solito approcciarsi alle situazioni con estrema cautela e senso di segretezza, tanto che a lungo è stato considerato molto difficile da studiare, per la facilità con cui riusciva ad eludere gli umani. Ciò anche in funzione delle sue ottime capacità mimetiche, inclusive del piumaggio maculato e il sottogola a strisce, perfettamente idoneo a farlo sparire nel mezzo della vegetazione, oltre all’istinto a restare immobile al primo accenno di minaccia. Ciò detto, la femmina del botauro può anche combattere, quando vede minacciato il suo nido, allargando le ali come un gufo e sollevando le piume per sembrare più grande, trasformandosi in una visione particolarmente magnifica e impressionante.
Lungamente considerato portatore di sventura all’interno del suo vasto areale, che si estende nell’intera fascia centro-settentrionale dell’Eurasia fino in Cina e Giappone, occupando nel frattempo una significativa parte d’Africa con la sua variante meridionale, questo esperto pescatore viene ritenuto anche alla base di numerose leggende folkloristiche e credenze relative a mostri misteriosi, data l’impressione restituita dal suo verso, capace di suggerire la presenza di una creatura molto più grande ed in qualche modo, sovrannaturale. Nell’area culturale slava, in particolare, esso venne spesso associato al mito del drekavac o drekalo, spirito carnivoro di un bambino non battezzato, ritornato dalla tomba per ghermire i viandanti. Del tutto inconsapevole di una così sinistra associazione, tuttavia, il singolare rappresentante della famiglia degli ardeidi ha continuato a costruire il suo nido nei luoghi più riparati del suo bioma d’appartenenza, adottando a seconda dei casi, uno stile migratorio o stanziale…

Il verso del tarabuso viene chiamato, in inglese, booming e costituisce un importante strumento di studio dell’uccello, data la tendenza di quest’ultimo a nascondersi talmente bene da scomparire.

A seguito dell’accoppiamento, che si verifica annualmente tra la fine di marzo e l’inizio di giugno (qualche volta ripetuto una seconda volta nel caso in cui il nido vada perduto) nel tarabuso è soltanto la femmina che si occupa di accudire i piccoli, partendo dalla costruzione del nido, effettuata mentre i maschi si accoppiano, in media, con 4 o 5 partner riproduttive. Piattaforma per le uova di rami e sterpaglie, dall’aspetto disordinato ma dotata della capacità di galleggiare sull’acqua della palude, scomparendo letteralmente in mezzo ai giunchi del genere Phragmites, famiglia delle graminacee. Una volta portato a termine tale passaggio, quindi, lei depone le sue 4,2 uova a stagione, che dovrà covare per circa un mese. É questo il periodo più difficile nella vita dell’operosa bittern, poiché per nutrirsi dovrà più volte lasciare il nido, potenzialmente oggetto di pericolose attenzioni da parte di varie specie di mustelidi europei o in Estremo Oriente, il Nyctereutes procyonoides, cane procione o tanuki che dir si voglia. Nella caccia, tuttavia, questi uccelli vantano riflessi e una vista particolarmente sviluppati che gli permettono di ghermire, in aggiunta ai pesci, anche insetti, rane, lucertole, molluschi e ragni. Una volta schiuse le uova quindi i piccoli, piuttosto precoci, imparano a spostarsi autonomamente nel giro di un paio di settimane, conoscendo istintivamente tecniche efficaci di nuoto, particolarmente utili nel caso in cui occorra mettersi in salvo dall’attacco di un predatore. Essi rimarranno, tuttavia, dipendenti dalla madre per il cibo rigurgitato nel loro becco, nel corso di ulteriori due mesi al termine dei quali, finalmente, potranno lasciare del tutto il nido.
L’attuale stato di conservazione del tarabuso è considerato di minor preoccupazione dallo IUCN, data la grande quantità d’individui (110.000/340.000) e l’estrema estensione del suo areale, benché studi recenti abbiano dimostrato una progressiva riduzione della sua popolazione nel complesso e in alcune specifiche regioni, dovuta all’inevitabile drenaggio delle paludi con obiettivi agricoli o d’altra natura. Nel Nord e Centro Italia, ad esempio, antiche zone di sosta nel corso delle loro annuali migrazioni, i maschi cantòri e in età riproduttiva di questa specie si sono ridotti a circa 75-90 esemplari, essendo stato inserito a pieno titolo nella normativa dell’ AEWA (Agreement on the Conservation of African-Eurasian Migratory Waterbirds) accordo internazionale mirato a proteggere i volatili chiave da ogni tipo di caccia o abusi ad opera degli umani. Una notevole eccellenza a tal proposito, nel nostro paese, risulta essere il progetto LIFE+ del lago Salso in prossimità di Manfredonia (Puglia) dove l’intenzionale mantenimento, a partire dal 2007, di un acquitrino con profondità di almeno 30 cm nella zona del canneto dovrebbe favorire negli anni a venire l’insediamento e la riproduzione di questo ed altri preziosi volatili della palude.

Qui accolto presso il centro di assistenza per gli animali della naturalista russa Yoll, il tarabuso viene sottoposto a un’attenta analisi dello stato di salute, chiaramente fraintesa dall’orgoglioso “toro” della palude. La tendenza a farsi il più grande possibile, a quel punto, è pressoché istantanea…

Stranamente poco conosciuto nonostante la sua onnipresenza, tranne quei luoghi dove, per fortune o particolari caratteristiche del territorio, viene a insediarsi in prossimità di un territorio umano, il tarabuso è uno di quegli uccelli che riescono, molto spesso, a venire dimenticati. Nonostante ciò cacciato con grande enfasi in passato, al fine di acquisirne le preziose piume e servirne la carne sulle tavole dei potenti, come assoluta rarità e supposta prelibatezza, in passato il suo rapporto con i dominatori dell’ambiente e la natura terrestre non fu sempre proficuo.
Con almeno un’eccezione in campo letterario, dove il caratteristico suono del suo verso ha trovato spesso l’impiego metaforico in poesia, senza alcuna necessità di sottoporre incolpevoli esemplari alla terminazione irrimediabile della loro preziosa esistenza materiale. Un paio d’esempi, gentilmente forniti dalla rilevante pagina di Wikipedia?

And, as a bitore bombleth in the myre,
She leyde hir mouth un-to the water doun
— Geoffrey Chaucer, The Wife of Bath’s Tale (1476)

The Bittern knows the time, with bill ingulpht
To shake the sounding marsh
–James Thomson, The Seasons (1735)

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