E i venti dell’industria soffiavano nell’antro fiammeggiante della Creazione; fuoco, fiamme, il traffico dei materiali trasportati da un lato all’altro dell’officina. Mentre una tecnica cooperativa, frutto di molteplici epoche di pratica, si concretizza nella realizzazione e fisico assemblaggio di un’idea: che l’antica conoscenza tecnologica, col progredire della civiltà, non ha perso il proprio valore intrinseco. Ed ogni minuto, ogni ora, ogni generazione spesa nella fabbrica delle opportune soluzioni può trovare ancora un senso nella pratica del vivere odierno. Anche se all’interno di una scala differente; sebbene se al confronto di quei tempi andati, possa costituire una cosa da niente. Eccome! Se così esordiscono gli articoli in materia: “Il grande calderone gamasot (가마솥) ha la sua origine dal chung (충) di bronzo dei tempi antichi ed è strettamente interconnesso al concetto pre-moderno di famiglia allargata. Con il progressivo ridursi del nucleo domestico, esso è stato infine sostituito del tutto dalla macchina elettronica per cuocere il riso.” Una frase in apparenza semplice & diretta, che nasconde tuttavia i notevoli conflitti, culturali e sociali, subiti da una popolazione che passa nel giro di appena un secolo dagli arcaici sistemi di governo ed amministrazione ad una delle economie più potenti dell’attuale panorama internazionale. Ed all’interno della quale, in luoghi privilegiati interconnessi con l’epoca trascorsa, taluni approcci, certi metodi si trovano tutt’ora messi in pratica fino alle loro più notevoli conseguenze. Certo: come descrivereste, altrimenti, questo breve video chiarificatore, offerto dal canale “Mr. Process” che parrebbe presentarsi come una versione locale del popolarissimo “Come è fatto” ed offre una finestra approfondita all’interno di una delle poche fabbriche rimaste ancora intente nel mettere in pratica la complicata serie di passaggi, che attraverso una ragionevole giornata di lavoro, porta alla creazione di una delle più imponenti e culturalmente significative pentole dell’Estremo dell’Oriente.
Gamasot è un termine che nasce dall’unione delle due parole significanti “utensile per la cucina” e “ciotola per il riso” per una definizione estremamente semplice e concreta che trova attestazione linguistica fin dalla lontana epoca del regno di Gogureyo (37 a.C. – 668 d.C.) Benché nella misura in cui sia possibile desumere dai ritrovamenti archeologici, simili soluzioni metalliche per cuocere ed immagazzinare il cibo dovessero essere state utilizzate nella penisola coreana fin dalla scoperta dei più antichi metodi per lavorare il rame e lo stagno. Quando quella lega risultante, così importante agli albori della tecnologia umana, era ancora utilizzata per la creazione di spade ed armature, trovando un tipo di battaglie ancor più significative nella vita civile di tutti i giorni. Sotto questo aspetto, l’originale percezione del chung fu quella di un importante oggetto simbolico all’interno dei rituali del potere e determinati momenti religiosi, in quanto simbolo d’abbondanza legato al mondo femminile capace d’incarnare, al tempo stesso, l’ideale maschile della forza e la potenza guerriera. In tal senso, il possesso di una grande pentola simboleggiava il benessere di una famiglia, fosse anche costituita da nobili o membri della corte. Mentre personaggi quali il re Goguk Cheon, alto 9 cubiti e vissuto nel IV secolo d.C, vengono descritti come fisicamente prestanti al punto da poter sollevare la propria stessa pentola gamasot; un’impresa assolutamente non da poco, quando si considera come una moderna e più ridotta interpretazione di tale oggetto possa agevolmente raggiungere i 40 Kg di peso. Mentre in ambito religioso viene tutt’ora detto che in Corea dovranno per sempre continuare ad esistere tre dottrine, confucianesimo, taoismo e buddhismo, alla stessa maniera in cui una pentola può reggersi sopra tre zampe durante l’utilizzo sul fuoco vivo. Il che d’altronde non doveva capitare troppo spesso per il calderone di ghisa, quando si considera la sua integrazione quasi inamovibile all’interno della tradizionale stufa in mattoni refrattari, da cui del resto non sarebbe stato in alcun modo facile spostarlo. D’altra parte, versioni maggiormente maneggevoli dello stesso apparato vengono oggi prodotte in quantità tutt’altro che insignificante, proprio perché il gamasot fornisce alcuni benefici assai particolari al processo di preparazione del riso…
L’ideale associazione gastronomica ad un simile utensile di chiara distinzione è dunque individuabile in modo particolare nel piatto tipico del bap (밥) un termine dall’ampio utilizzo che viene attribuito a vari piatti a base di riso misto a verdure, funghi, tofu, carne o pesce a seconda di una quantità pressoché spropositata di ricette moltiplicatosi attraverso l’intero estendersi della dinastia Joseon (1392–1910) essendo il principale punto di distinzione individuabile nella natura dell’ingrediente principale stesso ed in modo particolare la tecnica alla base della sua cottura. Questo perché il gamasot costruito in ghisa, così come il bronzeo predecessore, possedeva fin dall’epoca remota le qualità inerenti di una letterale pentola a pressione. Ciò grazie allo spessore del metallo usato per costituire il suo fondo, incline ad assottigliarsi verso la cima, ed il pesante coperchio capace di mantenere l’aria intrappolata all’interno mentre l’acqua evapora in parte, venendo assorbita dal riso. Aggiungete a questo la naturale tendenza di un simile metallo, per quanto meno pregiato del più moderno acciaio, a riscaldarsi lentamente per poi mantenere la temperatura maggiormente a lungo, ed avrete l’ideale via d’accesso tecnologica verso un riso particolarmente morbido e glutinoso, pur risultando soddisfacente nella sua capacità di mantenere la forma desiderata. Qualcosa, insomma, di difficilmente emulabile con metodi alternativi di cottura tradizionale, ragion per cui l’effettiva scomparsa della grande pentola dalle abitazioni si è verificata soltanto a partire dagli anni ’70 dello scorso secolo, con l’importazione dal Giappone del concetto di cuociriso elettronico di concezione e funzionamento prettamente contemporanei.
Il che non sembrerebbe d’altra parte, almeno a giudicare dagli spezzoni facilmente reperibili online, aver interrotto le filiere di produzione in essere attraverso le molte iterazioni del commercio, così come la fabbrica presa in esame dal nostro misterioso amico “Mr. Process”. Dove il probabile riciclo, non mostrato, di componentistica appartenuta a vecchie realizzazioni siderurgiche (motori, parti nautiche, elementi architettonici strutturali…) viene polverizzata mediante la cottura intensa con il carbon coke, fino all’ottenimento di un fine ossido pronto all’inserimento negli stampi di fabbricazione. Per una successiva fusione prima d’essere inseriti negli appositi stampi metallici di tipo a conchiglia, e per questo riutilizzabili, con la particolare forma che potremmo descrivere come vagamente simile ad un disco volante. Ciò per l’interpretazione così tradizionale del concetto di una maniglia, rappresentata in questo caso da una flangia discoidale che circonda il calderone stesso, agendo ulteriormente come punto d’appoggio nell’apposito alloggiamento della stufa di casa o di un ristorante. Mentre l’effettivo spostamento manuale una volta raggiunta la temperatura idonea, in realtà particolarmente raro per pentole di queste dimensioni, dovrà necessariamente avvenire tramite l’impiego di apposite presine in legno, data la totale continuità del materiale surriscaldato fino al suddetto punto di appoggio. Molto interessante nel processo dimostrato è quindi la maniera in cui la pentola viene levigata e lucidata a mano, quindi scaldata nuovamente tramite l’impiego di una fiamma ossidrica (chissà cosa si usava nell’antichità?) prima di essere cosparsa di una certa quantità d’olio finalizzato a garantirne la resistenza alla corrosione. Simili utensili da cucina d’altra parte, se trattati adeguatamente, risulteranno virtualmente indistruttibili venendo tramandati attraverso le generazioni, violando inevitabilmente una delle più basilari regole del commercio: mantenere una base installata stabile mediante la necessità di sostituire i propri beni. La prova che siamo di fronte ad un processo antico e tradizionale, ancor più di qualsiasi altra delle implicazioni presenti all’interno di quel video. E chi siamo noi, per criticare un simile valore aggiunto ai margini di questa intramontabile idea?
La passione dei coreani per le antiche pentole di ghisa, potenzialmente indicativa di una qualità ulteriore ed ineffabile offerta da quel particolare metodo di cottura, potenzialmente superiore agli approcci tecnologici contemporanei, viene quindi dimostrata dal curioso episodio della mega-gamasot costruita presso la contea di Goesan, nell’entroterra mediano del paese sudcoreano all’interno della provincia di Chungcheong. Pentolone del diametro di 17,8 metri ed un’altezza di 2,2, finalizzato a simboleggiare la ricchezza e la prosperità della popolazione locale, prevedibilmente utilizzato principalmente nei giorni successivi alla sua inaugurazione. Per poi venire relegato a mera curiosità locale pochi mesi dopo, non riuscendo neppure a conseguire il record per il Guinness dei Primati, causa il superamento da parte di un ancor più grande calderone costruito in Australia. Così che l’oggetto, costruito mediante la spesa di un totale di 500 milioni di won parzialmente prelevati dal budget militare in tempo di guerra, ha finito per generare un’ampia serie di polemiche e critiche del mondo politico dei contrapposti schieramenti.
Questo perché il conflitto formalmente ancora in corso con i vicini del Nord, in linea di principio, avrebbe idealmente richiesto un impiego maggiormente produttivo di ogni risorsa stanziata dall’erario di stato. Il che costituisce, in conclusione, un’ottimo spunto d’analisi ai margini dell’intera faccenda: per un paese che ha subito senza poter fare nulla la suddivisione in popoli severamente contrapposti. Ma che ancora oggi, come all’epoca degli antichi Tre Regni, preferisce qualche volta ricordare e celebrare un passato d’unità trascorso. Piuttosto che affilare ulteriormente le punte di lancia di un esercito che potrebbe anche non raggiungere, ed idealmente non dovrebbe, i campi di battaglia di una paventata battaglia finale. Cosa che saremmo maggiormente inclini a comprendere, in maniera oggettiva, se i Re dei nostri tempi fossero ancora costretti a sollevare e trasportare la propria stessa pentola. Piuttosto che affidarla a alle fiaccate schiene dei propri sudditi indivisi. Perché l’assoluta unità d’intenti, per quanto encomiabile, non dovrebbe costituire la tomba dell’individualità umana. Pena la perdita dei punti di contatto continuativi rispetto ai nostri antichi metodi e predecessori. Che nessuno, in alcun modo, potrà mai riuscire a tirar fuori nuovamente dall’oscuro e ribollente calderone delle idee.