Onggi: il prezioso vaso che respira l’aria della montagna coreana

Avvicinandosi dall’esterno ad una casa tradizionale della penisola coreana, costruita con materiali ecologici come pietra, legno e terra, con un soffitto di tegole ornate che proteggono dalle intemperie le porte e finestre realizzate con semplice carta, sarà possibile talvolta scorgere il piano rialzato che trova la definizione di jangdokdae (장독대) utilizzato principalmente al fine di ospitare nel tempo la collezione di famiglia dei grandi recipienti di ceramica, ricolmi degli ingredienti che costituiscono i due punti cardine nella cucina di questo paese: il misto di varie verdure messe a maturare nel kimchi (김치) e la salsa fermentata di riso, fagioli e peperoncino, chiamata gochujang (고추장). Ciò che immediatamente potrà colpire l’occhio dello spettatore, tuttavia, è la maniera in cui tali vasi ed anfore siano spesso lasciati privi di coperchio, in modo che l’aria possa entrarvi all’interno mentre i batteri continuano imperterriti il processo di trasformazione che permette al sapore di emergere, ed al cibo di conservarsi straordinariamente a lungo. Esistono, in effetti, due modi per sfruttare con profitto questo processo che ha saputo dimostrarsi assai utile per tutto il corso della storia umana presso la penisola che estende a meridione della Manciuria. Il primo, che consiste nell’immagazzinamento lontano dalla luce e dal cuore, in condizioni anaerobiche e strettamente controllate, affinché nulla d’inaspettato possa compromettere la futura consumazione del puro prodotto dell’ingegno culinario nazionale. E la seconda fondata, più di ogni altra cosa, sulle speciali caratteristiche e i pregi unici della ceramica onggi (옹기, 甕器).
Questa espressione infatti, che allude con la sua specifica grafia nell’alfabeto fonetico hangul (한글) alla forma stessa del vaso costituisce una branca separata della produzione di attrezzi gastronomici dalla produzione maggiormente rappresentativa di questo paese, caratterizzata da una finezza decorativa assai ricercata ed avanzate tecniche di vetrinatura secondo la cognizione successiva. Laddove il tipico vaso da fermentazione assume un aspetto grezzo benché armonioso, e privo di caratteristiche fatta eccezione per la sua dote maggiormente importante: la notevole porosità delle pareti, grazie all’impiego di una materia prima rara e preziosa cotta a fuoco lento, affinché non possa svilupparsi alcun tipo di crepa o fessura. Trattasi, nello specifico, di un impasto di terra e fango misto a foglie secche autunnali, aghi di pino e baccelli di semi parzialmente decomposti raccolto in montagna, tale da formare un tutt’uno semi-denso che prima di assumere una forma, viene lungamente compresso e battuto con appositi martelli. Processo lungo e faticoso, quest’ultimo, messo in atto dal gruppo di artigiani specializzati chiamati onggijang (옹기장) e che viene ampiamente dimostrato nel corso di questo nuovo video del canale Eater, dal giovane praticante Jin-Gyu all’interno del suo forno di famiglia. Uno degli ultimi 10 rimasti capaci, per sua stessa amissione, di creare l’onggi tradizionale gradualmente sostituito, nella società contemporanea, da semplici contenitori di metallo, plastica ed una delle scoperte tecnologiche più importanti del XIX secolo: la macchina a energia elettrica per la produzione del freddo. Non può tuttavia esserci un vero kimchi, senza il paziente processo che lo porta ad assumere quel particolare colore, sapore ed odore. Il che equivale a dire che nel profondo del cuore che costituisce la più vera identità coreana, risiede l’antica tecnica per la produzione dell’onggi

Il carattere e l’obiettivo fondamentale delle onggi secondo l’approccio tradizionale è identificabile nello specifico luogo in cui vengono immagazzinate: non quello più protetto della casa, bensì all’aperto, avendo cura di togliere nuovamente il coperchio ogni qualvolta le condizioni climatiche sono abbastanza serene.

Dal punto di vista tecnica, questa specifica classe di ceramica viene definita come dotata di vetrina impermeabilizzante soltanto in parte efficace, e in quanto tale trova l’origine nel periodo arcaico dell’epoca Mumun (無文) grossomodo collocato tra il 1500 e l’850 d.C, durante cui le genti di Corea non avevano ancora padroneggiato la manifattura del bronzo ma già disponevano di strutture sociali e circostanze rituali particolarmente distintive. In quel contesto, nel corso dei rituali funebri, iniziarono quindi ad essere incorporati riconoscibili recipienti di terracotta, il cui studio archeologico ha permesso d’identificare come i più remoti antenati dell’attuale tradizione onggi. L’attuale e riconoscibile aspetto di tali vasi dall’uso versatile simile a quello delle anfore romane, quindi, può essere individuato per la prima volta durante il periodo medievale della dinastia Joseon (1392-1897) continuando a possedere il caratteristico aspetto rossastro a causa della contaminazione di una certa quantità di ferro. Soltanto nel secolo successivo, grazie alle moderne tecniche di filtratura e separazione dell’argilla, l’impasto necessario a creare questa preziosa tipologia di recipienti avrebbe guadagnato la sua ideale tonalità neutra tendente al marrone ed assieme ad essa, un’essenziale purezza capace di garantire l’integrità del processo di fermentazione. Ciò detto, all’inizio del Novecento i vasi semi-permeabili all’aria avrebbero trovato gli impieghi più diversi attraverso l’intero territorio nazionale, ciascuno caratterizzato da una specifica dimensione e il relativo termine usato al fine d’identificarlo. Vedi, tra alcuni degli esempi citati più di frequente, il ssal-hang (쌀항) delle regioni di Kwang (광) e Daechung (대청) usato per l’immagazzinamento del grano; o il mokyork-tong (목욕통) che aveva lo scopo di riscaldare l’acqua per fare il bagno; o ancora lo hwak-dok (확독) con la finalità di custodire il pesce ed altri prodotti delle attività di pesca nelle regioni costiere; e come dimenticare, infine, l’irrinunciabile ddong-hang (똥항) posizionato sul fondo di una toilette di compostaggio, che dovrà quindi essere trasportato fino ai campi al fine d’impiegarne come concime il naturale, per quanto sgradevole contenuto.
Un’integrazione ai livelli più pervasivi nello stesso stile di vita rurale di questa gente, perfettamente in grado di apprezzare i meriti di un qualcosa che non solo viene prodotto completamente a mano, ma deriva da una serie di materie prime liberamente reperibile all’interno del contesto naturale. Almeno fino al 1989, quando avendo rilevato una progressiva caduta in disuso dei metodi tradizionali, causa il diffondersi di recipienti dall’uso maggiormente semplice ed omni-comprensivo, il governo ritenne di dover iscrivere la ceramica onggi tra le Proprietà Culturali Umane della Corea, affinché continuasse a venire praticato mediante la concessione di sussidi e garanzie di tutela del suo mercato.
Inizia, a questo punto, il periodo per così dire “alto” della ceramica traspirante peninsulare, con le poche fabbriche rimaste operative che applicano i metodi lungamente tramandati alla produzione di una quantità minore di pezzi ma dalla fattura più ricercata, capaci d’integrare i valori e i meriti di un’estetica volutamente minimalista, direttamente riconducibile allo stile esemplificato dalle arti dei monaci Zen. Autore di estremo rilievo, in questo ambito, risulta essere la figura del maestro Lee Kang-hyo, che diversamente dalle creazioni pensate per l’uso di tutti i giorni mostrate nel video di Jin-Gyu, applica il suo lavoro all’ottenimento di recipienti da mettere nel posto d’onore ed esporre all’interno della propria collezione. Per ammirare un interessante stile decorativo, basato sull’applicazione di uno strato di pittura letteralmente “gettato” a mano libera, quindi cosparso per la creazione di uno strato variegato e riconoscibile, estremamente rappresentativo della sua particolare visione d’artista.

Le ceramiche onggi di Lee Kang-hyo, regolarmente esposte all’interno di gallerie e nel corso di mostre dalla fama internazionale, raggiungono un valore complessivo commisurato alla loro unicità. Sul sito dell’artista è infatti possibile ammirare alcuni esempi dal costo abbondantemente superiore ai 15-20.000 euro.

Potente simbolo d’aggregazione dotato di una funzione tutt’ora valida (poiché arte nobile, complessa ed imprevedibile, è quella di far fermentare il cibo) la ceramica onggi rientra quindi a pieno titolo nel variegato corpus, tanto a lungo ingiustamente trascurato dalla cultura di massa, delle arti e tradizioni caratteristiche della penisola di Corea. Mentre moderni studi scientifici, condotti nell’ultimo ventennio (Sun Lee et al, 2005; Hiroaki et al, 2018) hanno intrapreso una strada che permetta finalmente di definire che cosa esattamente doni a questi contenitori il perfetto equilibrio di non-permeabilità e traspirazione, che garantisce a tali ceramiche un utilizzo e vantaggi d’impiego rimasti essenzialmente invariati attraverso tanti secoli di storia. Come in ogni altra cosa, tuttavia, ci vuole la giusta pazienza. Poiché il fuoco eccessivamente caldo finisce per distruggere ogni cosa. E soltanto con il tempo, sarà possibile apprezzare il caratteristico gusto ed aroma del vero kimchi.

Lascia un commento