Si narra che all’origine dei tempi, presso la montagna che prendeva il nome di Katiku Tana Mata Wai (“La Testa della Terra da cui Sgorgano le Acque”) sette uccelli si riunirono per sette volte, allo scopo di determinare il fato degli esseri viventi e il moto stesso dei corpi celesti. Su incarico del sommo Creatore, che ultimata la preparazione di ogni luogo ed elemento, era giunto a un fondamentale dilemma: quanto a lungo sarebbero durati i cicli della vita materiale, prima di procedere a rigenerare se stessi cominciando dai principi della loro esistenza? Secondo il piccione di foresta dal piumaggio variopinto, mangiatore di frutta dell’isola del Borneo, il tramonto non avrebbe dovuto mai giungere sul nostro pianeta, così come gli esseri umani avrebbero dovuto vivere per sempre. Per questa ragione, di essi avrebbero dovuto esisterne soltanto qualche decina allo stesso tempo, se non addirittura un paio soltanto, un uomo e una donna. Contrariamente alla sua opinione, l’uccello detto Ciko Cako riteneva che la notte avrebbe dovuto giungere entro il trascorrere di un certo numero di ore, seguìta altrettanto velocemente dall’alba, e che le persone avrebbero dovuto riprodursi liberamente, ma morire al concludersi della loro esperienza materiale. Nella maggior parte delle interpretazioni filologiche, questo personaggio leggendario corrisponde al Filemone di Taninbar (P. plumigenis) agile passeriforme delle foreste pluviali dell’entroterra di Sumba. Ma nell’interpretazione di taluni e certe versioni del mito, si tratterebbe piuttosto di una varietà di kuau, un tipo di fagiano che tutt’ora razzola nel sottobosco emettendo il proprio querulo richiamo. Della più diffusa e celebre famiglia di galliformi selvatici in queste terre a noi remote, d’altra parte, esistono diversi rappresentanti, principalmente appartenenti al genere Lophura dai colori scuri o la livrea a strisce, spesso comunemente definiti con il termine ibrido di gallopheasants, per metà latino e l’altra metà inglese. Così che, volendo dare per giusta una simile associazione, non permangono particolari dubbi su quale potesse essere l’effettiva e singola specie a prendere parole in un simile convegno mistico di primaria importanza: chi, se non il Sempidan kalimantan o fagiano di Bulwer (Lophura bulweri) semplicemente uno dei volatili più esteriormente notevoli di questo intero pianeta? Creatura dallo spiccato dimorfismo sessuale, la cui femmina presenta il semplice aspetto di un’abitante in grado di mimetizzarsi tra gli alberi e la corteccia del proprio ambiente d’appartenenza, mentre il maschio sembrerebbe dare la priorità a tutt’altro. Con le piume scure sormontante dal clamoroso disco candido di una stretta ed alta coda simile alla vela di una nave, nonché il complicato bargiglio di colore azzurro a forma di falce che circonda e corona la sua testa, capace di gonfiarsi e prendere bizzarre configurazioni durante il fondamentale rituale di corteggiamento. Ma questo affascinante partner riproduttivo, almeno in apparenza portatrice di un’antica sapienza, non può formalmente scegliere di dare fondo al suo splendore in singole e particolari circostanze. Vivendo in conseguenza di ciò in uno stato di costante pericolo, il che lo ha reso attraverso i secoli particolarmente schivo e attento ad evitare la prossimità degli esseri umani. Ragion per cui, probabilmente, si era già trasformato in una vista ragionevolmente rara anche nei suoi territori isolani di Sabah, Sarawak, Kalimantan, Malesia, Indonesia e Brunei, ancor prima che la progressiva riduzione del suo habitat e conseguente sofferenza in termini di popolazione contribuisse a renderlo eccezionalmente raro.
Scoperto e descritto scientificamente per la prima volta dallo zoologo e biologo inglese Richard Bowdler Sharpe, che nel 1874 decise di dedicarne il nome all’insigne amministratore coloniale del Borneo Sir Ernest Henry Bulwer Gascoyne, questo uccello dall’aspetto straordinariamente insolito sarebbe diventato in seguito un importante simbolo dei suoi particolari territori d’appartenenza. Potendo fare affidamento, di fronte alla visione collettiva delle cose naturali, sui propri 75-80 cm di straordinaria ed innegabile unicità…
Ecologicamente parlando, il fagiano di Bulwer è un tipico rappresentante per lo più frugivoro del genere dei Lophura, particolarmente incline a seguire i cinghiali barbati e i traguli (un piccolo ungulato anche noto come kanchil) nel corso delle loro frequenti peregrinazioni, in cerca di sezioni di foresta ancora sufficientemente ricche di risorse. A completare la sua dieta, la consumazione occasionale di grandi quantità d’insetti, catturati con la massima efficienza tra l’erba ed anche presso le rive sabbiose dei torrenti, per costituire un’importante fonte di proteine. Di notevole interesse, come riportato nel 2012 da Phil McGowan e Steve Madge, l’esistenza di una significativa relazione reciprocamente vantaggiosa tra questi uccelli e taluni cervidi dell’ambiente indonesiano, particolarmente quando i rappresentanti di una delle due categoria sono intenti ad abbeverarsi, mantenendo l’attenzione concentrata sugli altri, che provvederanno ad avvisarli mettendosi in fuga non appena dovesse comparire un qualsivoglia tipo di predatore. Comunione d’intenti abbastanza valida da portare i primi a seguire i secondi nel corso delle loro frequenti migrazioni. Oppure, chi può negare che avvenga l’esatto contrario? Concentrato primariamente tra i 300 e i 1.500 metri di altitudine, questo fagiano mostra ad ogni modo un comportamento insolitamente monogamo che lo porta a scegliere una compagna e rimanere con essa lungo il trascorrere di diverse stagioni riproduttive, anche per la necessità di attendere circostanze particolarmente favorevoli prima di mettersi a costruire il nido. Il che, prendendo in considerazione le temperature e condizioni climatiche fondamentalmente poco varabili a queste latitudini, rende molto difficile la definizione di un calendario preciso, se non facendo riferimento alla cadenza con cui il piumaggio della notevole coda maschile sembri rinnovarsi ogni anno a dicembre. Guadagnando un numero di penne lunghe tale da passare da 24 a 32, mediante la trasformazione di un certo numero di copritrici in timoniere, con modalità che sono ancora oggi risultate impossibili da osservare negli uccelli in cattività. Inizia a questo punto, dunque, il periodo più difficile nella vita del fagiano maschio di età giovanile, con frequenti e spesso dolorose tenzoni di combattimento nei confronti dei propri simili, al fine di assicurarsi un territorio e l’attenzione della propria futura consorte. Con tale violenza e trasporto da aver contribuito, negli anni, a confermare la difficoltà di allevare e tenere questi pennuti all’interno di uno spazio ridotto, circostanze nelle quali i maschi tendono ad aggredirsi continuamente a vicenda. Ma il problema principale a tal proposito è la gran difficoltà che persiste nel riuscire a farli accoppiare, lasciando presumere che solo l’esistenza di particolari circostanze favorevoli, e fattori ambientali, possa mettere le coppie in età riproduttiva nell’umore “giusto” per contribuire alla continuazione futura della propria specie. La costituzione del nido, quindi, avviene presso la base di un grande albero e non troppo lontano dall’acqua, nascosto tra le sue radici, e vede in genere la deposizione di un numero variabile tra 1 e 4 uova. L’uccello non possiede particolari strumenti per nascondere o difendere la propria prole dai predatori.
Creatura protetta da normative particolarmente stringenti nel suo intero areale d’appartenenza, anche vista la qualifica di specie vulnerabile da parte dello IUCN, l’altrimenti soprannominato fagiano dalle caruncole si concentra primariamente negli ambienti dalla vegetazione sufficientemente densa a scomparire nel giro di pochi attimi, evitando completamente gli spazi aperti e le zone limitrofe agli insediamenti umani. Il che ha, paradossalmente, contribuito alla riduzione progressiva della sua popolazione, per l’assenza di territori abbastanza spaziosi ad indurre gli specifici comportamenti necessari ad iniziare il processo riproduttivo. La maturità sessuale viene raggiunta entro un periodo di circa tre anni, sebbene ciò risulti apprezzabile principalmente dalle osservazioni mediante telecamere di esemplari allo stato brado. Mentre numerose istituzioni nel mondo, tra cui l’importante zoo di San Diego e quello del Bronx, hanno provato per lungo tempo a indurre l’accoppiamento in cattività. Sempre fallendo il difficile obiettivo e fornendo argomenti per l’impressione diffusa secondo cui il maschio e la femmina del fagiano dalla strana maschera color cobalto, fondamentalmente, non si piacciano poi così tanto.
Magnifici, eleganti, appariscenti. Esistono ben poche argomentazioni, che possano essere accampate al fine di qualificare i fagiani di questo mondo come creature del tutto prive di quel fascino ulteriore, capace di dotarle di un significato simbolico profondamente ed innegabilmente simile alla divinità. Forse per questo, indipendentemente dai dubbi che persistono sull’identificazione dell’antica onomatopea ciko cako, sarebbe ingiusto dubitare che il fagiano di Bulwer fosse presente all’originale consorzio della cosmogenesi, quando il destino futuro di tutte le creature fu deciso da coloro che grazie alla capacità di librarsi, potevano osservare la situazione nel suo complesso. Grandi occhi rossi, uno straordinario cappuccio dello stesso colore del cielo: esiste forse una migliore e ancor più chiara manifestazione di stregoneria al di sopra della natura?
Mancherebbe soltanto l’alta cresta erettile, portata nello stile del cacatua. Ma non c’è bisogno di piume sulla propria testa, quando è la pelle stessa a prendere le forme di un’arcana geometria, carica di un antico e imprescindibile significato. Che decide i ritmi della vita stessa e quelli, chiaramente conseguenti, dell’ora cupa che prosegue un lungo periodo di non-esistenza. A meno di voler sottoscrivere il concetto di reincarnazione, attraverso le discipline filosofiche connesse ad altri uccelli d’Asia, il più vasto e misterioso dei continenti.