I 100 occhi di Argus, fagiano danzante dell’Asia Meridionale

Un’offerta da non perdere, l’occasione di portare un tocco di classe nella vostra vita entro il concludersi di questa settimana: per Natale, regalatevi un Argusianus argus, con tutti gli optional degni di nota. L’ultimo modello s’intende, dotato di livrea cangiante dagli ocelli in ordine perfetto, i lunghissimi ornamenti caudali ed il contegno raffinato di un vero gentiluomo della giungla nel suo ambiente nativo di Borneo, Sumatra e penisola Malese meridionale. Fino a 200 cm di lunghezza per appena 2,72 Kg di peso (una buona parte sono soltanto piume, dopo tutto) manovrati agilmente grazie al paio di forti zampe, usate per spostarsi al ritmo sostenuto e soprattutto, quando l’occasione lo consente, mettersi improvvisamente a danzare. Già perché il bisogno di esibirsi per un essere dotato di una tale grazia e splendore innati non deriva certo dalla musica, il contesto sociale o l’occasione di giornata, bensì la pulsione che potremmo definire il fondamento stesso dell’esistenza di qualsiasi animale su questa Terra: tramandare con successo i propri geni, verso la prossima generazione intrappolata nell’inconsapevole attesa. Ecco quindi la ragione di una simile, straordinaria scena: lei dalla tranquilla livrea marrone, priva di caratteristiche particolari tranne l’imponenza sempre significativa per la sua famiglia di appartenenza (72-76 cm) che si aggira noncurante nel sottobosco, mentre uno dei più ineccepibili spettacoli della natura si dipana innanzi ai suoi occhi tondi e neri: dapprima un richiamo intenso e assai potente, trascrivibile con l’onomatopea “kow wow” ripetuta più volte, ancora e ancora. Fino all’individuazione della spettatrice ragionevolmente inconsapevole ed impreparata, che costituisce il segno che è il momento di dar via alle danze.
Diversamente dal pavone con la sua ingombrante coda, tuttavia, l’evoluzione del fagiano maggiore di Argus ha fatto in modo di piazzare la sua principale arma di seduzione in corrispondenza delle piume secondarie situate sotto le ali. Il che, pur facendone un volatore tutt’altro che ineccepibile, contribuisce nel contempo a dare vita ad una serie di movenze straordinariamente originali. Che invito ad ammirare mentre lui, piroettando in una serie di assalti da più lati, gira e rigira attorno al suo bersaglio, aprendo a più riprese il suo mantello quasi draculiano dai plurimi ocelli in successione regolare, neanche si trattasse della lama di un coltello a serramanico o un rapidissimo ombrello. C’è una sorta di ritmo, in ciascuna scenografica apertura con la testa portata quasi fino a terra, che parrebbe dirsi attraversare intonso crismi estetici delle culture contrapposte e le diverse macro-zone interpretative del concetto di grazia ulteriore ed eterna. Il che giustifica, immediatamente, la singolare associazione tassonomica scelta da Linneo in persona, al fine di classificare questo uccello incomparabile, di cui doveva aver soltanto sentito parlare verso la metà del XVIII secolo. Basata su niente meno che il nome latino del gigante Argo Panoptes, il quale si diceva possedere una quantità spropositata di occhi lungo l’intera estensione del suo corpo, tali da permettergli di rimanere sempre sveglio e attento alla venuta dei suoi nemici. Almeno finché il dio Ermes in persona non decise di punirlo irretendolo per la sua voracità e arroganza (nonché il fatto che avesse rapito l’incolpevole ninfa Io) suonandogli il racconto della soave storia d’amore tra Pan e Siringa. Grazie a una melodia tanto rilassante da convincerlo per qualche ora a riposarsi. Ultima ed incauta scelta, prima di finire brutalmente assassinato dallo spietato messaggero dell’Olimpo, causa l’ira invereconda del sommo Zeus…

Il richiamo del fagiano di Argus risulta udibile a distanze molto significative, grazia all’ampiezza delle sue tonalità e la notevole gamma auditiva. Difficilmente, inoltre, esso può essere confuso con quello di altri uccelli presenti all’interno del suo ambiente di appartenenza.

Detto ciò, non c’è nulla di ostile o guerrafondaio in questo notevole rappresentante dell’ordine dei galliformi, noto per la sua indole schiva e tranquilla, fatta possibilmente eccezione per i giovani maschi, che diventano comunque più mansueti al raggiungimento dell’età adulta entro il terzo anno di vita. Esistono due generi di Argus, per un totale di quattro sotto specie: il fagiano di Rheinart crestato (Rheinartia ocellata ocellata) e il suo simile ma più piccolo Rheinart malese (Rheinartia ocellalla nigrescens) seguìti nell’elenco dagli Argusianus propriamente detti, del Borneo (A. argus argus) e della Malesia (A. argus grayi) ancor più imponenti e notevoli nell’aspetto. Questi uccelli non molto studiati dalla scienza, forse a causa dell’ambiente difficile da raggiungere e progressivamente più remoto, possiedono quindi uno stile di vita non particolarmente dissimile da quello dei fagiani delle nostre parti, benché sia proprio il momento del corteggiamento a distinguere in maniera significativa il loro comportamento. Inclini a correre piuttosto che volare per scappare via dai predatori, essi riescono a cibarsi di una dieta notevolmente varia, che include semi, insetti, frutta caduta a terra e qualche volta, piccoli mammiferi o lucertole, se gli riesce di catturarle. Una volta sopraggiunta la stagione degli amori nei mesi primaverili, il maschio tenderà quindi ad accoppiarsi con una singola femmina e restare con essa per almeno un intero ciclo riproduttivo, benché sia essenzialmente lei da sola ad occuparsi della costruzione del nido tra l’erba alta e la covatura delle uova, che sono normalmente soltanto due, cifra stranamente bassa per un galliforme. La distinzione tra i sessi per i piccoli, piuttosto precoci e in grado di volare dopo appena tre settimane, risulta quindi facile da effettuare anche poco dopo il sopraggiungere di tale data, vista la maniera in cui le ingombranti piume caudali e secondarie dei maschi iniziano a crescere verso la notevole estensione che dovranno raggiungere al fine di catturare l’attenzione della partner futura. Una chiara dimostrazione, se vogliamo, dell’altro tipo di darwinismo, quello altrettanto praticabile ma ostinatamente poco discusso, in base al quale non sarebbe sempre il bisogno di sopravvivere a determinare i tratti che caratterizzano ciascuna specie, bensì anche il gusto estetico e le preferenze delle sue rappresentanti femminili, insostituibili registe del destino futuro iscritto a lettere di fuoco sul grande albero dalla vita. Durante l’intero periodo della crescita, i piccoli del fagiano di Argus vengono quindi sorvegliati attentamente da entrambi i genitori, pienamente coscienti della loro incapacità di sfuggire all’eventuale assalto di un predatore, fino al raggiungimento dell’indipendenza e quindi, l’inevitabile migrazione verso un proprio territorio distinto. La vita massima raggiunta da uno di questi uccelli in cattività si colloca attorno alla cifra notevole di 30 anni.

Simpatici quanto anonimi nel loro aspetto temporaneo, i giovanissimi pulcini di Argus si aggirano confusi sul terreno dello zoo dello Smithsonian. Ma la chioccia protettiva, con la sua notevole imponenza, non permette che alcun cuculo possa disturbare le loro timide esplorazioni.

Esiste un’interessante disquisizione pluri-secolare in merito al fagiano del Borneo, che ne vede una piuma trovar posto, fin dal remoto 1871, presso il British Museum di Londra. Tale segno residuale, giunto in Inghilterra con una fornitura di materiale per cappelli, mostrerebbe dunque le caratteristiche pienamente simmetriche di un diverso tipo di livrea, la cui disposizione degli ocelli potrebbe idealmente risultare abbastanza diversa da giustificare l’individuazione di una specie distinta. Chiamata idealmente Argusianus bipunctatus, sebbene nessuno sembri averne mai visto un esemplare vivente, lasciando sospettare a molti enti naturalistici il fatto che possa essersi trattato di un uccello estinto, o in alternativa, una rara mutazione degli Argus a noi già noti.
Spiegazioni tutto considerato alquanto probabile, visto come tale uccello considerato ad oggi vulnerabile, causa la spietata caccia fatta in passato per la sua carne e le piume usate in un’ampia varietà di copricapi ed abiti tradizionali del Borneo, sia stato in effetti una vista piuttosto comune all’interno del suo habitat per molte generazioni. Almeno prima che il commercio delle volatili creature nelle gabbie, fondamento di ottimi propositi di guadagno, non arrecasse un ulteriore colpo alla sua popolazione già in lenta e costante diminuzione. Così che, volendo, risulta ancora facile scorgere l’aspetto inconfondibile di questi uccelli in mezzo ai tronchi del parco naturale di Kayan Mentarang, in Borneo, ma essi diventano progressivamente più rari non appena si lascia tale area protetta, causa il progressivo disboscamento ed accaparramento di territori contaminati dalla cupidigia dell’uomo. Ecco perché il “possesso” di un essere vivente nato libero, in linea teorica, dovrebbe trovare sfogo unicamente nello spazio metaforico della conoscenza. L’ammirazione, in fondo, non richiede alcun tipo di esclusività. Ed qualsiasi ballerino trascinato dal suo ritmo interno, prima o poi, si volterà in ciascuna direzione. A patto che il pubblico possa dirsi abbastanza rispettoso, e paziente.

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