Biglie acute nella giungla e incontri ravvicinati del tarsio tipo

Quando si considera la serie di caratteristiche comunemente riferite al Gremlin, inteso come mostro cinematografico degli anni ’80, non è tanto la sua capacità di replicarsi in modo asessuato quando bagnato con l’acqua, né la trasformazione malefica se mangia dopo la mezzanotte, a trovare una corrispondenza pratica nel mondo naturale. Quanto l’atipica commistione nello stato primigenio, di creatura sonnecchiante e al tempo stesso famelica, in qualche modo alieno stranamente intelligente. Quasi come se riuscisse a incorporare i tratti tipici di una piccola scimmia, con quelli di un essere proveniente da un ramo estremamente differente del grande albero dell’evoluzione. Così osservando quell’essenziale dualismo, è una forte tentazione ricondurre la creatura di nome Gizmo a un qualche tipo di lemure malgascio, sebbene la nazionalità del venditore d’animali visitato dal protagonista umano Randall possa offrirci un valido spunto di approfondimento: la lunga barba e baffi, il senso persistente di misticismo asiatico, la collocazione del suo negozio all’interno del quartiere newyorchese di Chinatown. Abbastanza da riuscire a prendere in considerazione un preciso contesto geografico. Ed all’interno di quest’ultimo, la più probabile ispirazione trasformata sotto la lente fantastica della cinematografia di genere: la famiglia tassonomica dei tarsi o Tarsiidae, suddivisa in tre generi originari d’Indonesia, le Filippine, la Malesia e il Brunei. Le cui orbite gemelle, grandi come telecamere, sembrano scrutare dento l’anima stessa di chiunque riesca a ritrovarsi al loro cospetto.
Quando si considera l’ecologia dei predatori notturni, prendendo come esempio quello a noi più noto del comune gatto domestico, è piuttosto facile individuare tra questi un’importante costante morfologica: quella del tapetum lucidum ovvero l’elemento al posto della fovea dietro il bulbo oculare, che riflettendo e amplificando le fonti di luce permette loro d’individuare la più piccola e sfuggente delle prede. Certamente notevole, nonché piuttosto inaspettato, appare il fatto che una soluzione alternativa possa non soltanto esistere, ma riuscire ad ottenere risultati quasi altrettanto validi nella maggior parte delle circostanze. C’è mai stata l’effettiva possibilità d’altronde, di ottenere risultati meno che soddisfacenti, dando una risposta positiva alla domanda “E se provassimo a farli più grandi?” E imponenti riesce ad esserlo senz’altro, questo paio di finestre lucide sul mondo, al punto da riuscire a risultare in talune specie ancor più grandi del cervello dell’animale stesso. Tanto sproporzionati, rispetto a creature in grado di raggiungere al massimo i 16 cm di lunghezza, da trovarsi addirittura impossibilitati a muoversi, guardando essenzialmente innanzi come telecamere di tipo digitale. Tutto il contrario del pupazzo meccanico Furby, i cui sguardi sornioni da un lato e dall’altro finiscono piuttosto per avvicinarsi a quelli di tutt’altra genìa. Per una soluzione che parrebbe uno svantaggio significativo nella quotidiana corsa per la sopravvivenza, finché non si apprende la notevole facilità con cui il tarsio può voltare la testa da una parte e dall’altra, arrivando a girarla agevolmente fino a 180 gradi dalla parte opposta al ramo a cui è solito aggrapparsi coi propri arti prensili dalle lunghe dita. Tra l’altro dotati, per quanto concerne quelli anteriori, di una lunghissima estensione del metatarso, da cui incidentalmente viene anche l’etimologia del suo nome. Altrettanto degna di esser menzionata la presenza, nella maggior parte dei casi, di polpastrelli a forma di ventosa in grado di massimizzare l’aderenza a superfici di tipo scivoloso, mentre la creaturina tenta di raggiungere luoghi abbastanza alti da effettuare i notevoli balzi che caratterizzano il suo metodo preferito di spostarsi all’interno delle vaste giungle di provenienza. Alla costante ricerca di nuove fonti di cibo, principalmente costituiti da insetti, piccoli mammiferi, uccelli, rane, lucertole di passaggio… Un pasto come un altro, per l’ultimo primate esclusivamente carnivoro di questo mondo.

Perfettamente specializzati nella vita arboricola, i tarsi possiedono caratteristiche tali da poter trascorrere la maggior parte delle loro esistenze abbarbicati a rami disposti verticalmente a mezza altezza nella canopia, tra cui spiccano balzi di fino a 6 metri.

Dal punto di vista della classificazione, in modo interessante, la famiglia dei tarsi è stata fatta rientrare soltanto in epoca recente nell’ordine degli aplorrini o “scimmie dal naso semplice”, cui appartengono la maggior parte dei primati dall’intelligenza e struttura sociale più complessa, contrapposti agli stepsirrini “dal naso ricurvo” entro cui figurano, tra gli altri, lemuridi e casi a parte come il loris lento. Questo nonostante il fatto si fosse pensato, fino a poco tempo fa, che i tarsi fossero creature esclusivamente solitarie e prive di una significativa inclinazione a comunicare tra loro, per le osservazioni pregresse effettuate principalmente in merito alla specie Carlito syrichta, originaria delle Filippine. Ma provate voi ad immaginare le necessità di un cacciatore nato, alla presa con alcune delle vittime elettive più attente e pronte a reagire a ogni possibile minaccia, per comprendere come la discrezione debba essere una delle qualità maggiormente utile ai suoi scopi operativi. Così da aver saputo generare, attraverso i soliti meccanismi della natura, uno speciale metodo di vocalizzazione in grado di sfruttare gli ultrasuoni, scoperto quasi accidentalmente grazie alla registrazione dei loro versi inaudibili come parte di uno studio pubblicato sulla rivista Biology Letters (2012, N. Dominy) tale da scoprire una complessa serie di idiomi, finalizzati a veicolare messaggi di avviso, corteggiamento, protezione del territorio e avviso nei confronti del pericolo, sempre importante per la collocazione di simili esseri ben lontano dalla cima incontestata della catena alimentare. Quando gli riesce di sfuggire abbastanza a lungo ai suoi molti nemici notturni, tra cui uccelli da preda, serpenti e lo stesso sopracitato loris, fino al raggiungimento dell’età riproduttiva di due anni, il tipico appartenente alla famiglia darà quindi la vita verso la fine della stagione delle piogge a un singolo cucciolo per gestazione di 6 mesi, già ragionevolmente autonomo e precoce al momento in cui viene al mondo. Benché la necessità di rimanere costantemente attaccato alla madre, mentre viene portato in giro tra i rami degli alberi, tenda a sussistere per un periodo almeno altrettanto esteso.
Suddiviso come dicevamo in tre generi distinti, Carlito, Cephalopachus e Tarsus, questo gruppo di piccole scimmie presenta caratteristiche comportamentali per lo più uniformi, ma significative distinzioni di tipo morfologico. Che vedono gli occhi tanto caratterizzanti delle dimensioni maggiori nel secondo gruppo, in realtà corrispondente all’unica specie del tarsio di Horsfield (C. bancanus) mentre sono relativamente piccoli nel gruppo cosiddetto orientale, fino ai casi estremi del T. spectrum e T. pumilus o pigmeo. Varianti raramente in grado di superare i 10 cm di lunghezza, coda esclusa, per cui l’utilizzo dell’udito diventa ancora più importante, come esemplificato dalla dimensione delle orecchie triangolari superiore in proporzione, tale da massimizzare i risultati ottenibili mediante il caratteristico movimento a scatti di quest’ultime effettuato dall’animale. Un piccolo aiuto nell’identificazione delle varianti viene inoltre dalla dimensione del ciuffo al termine della coda, che risulta essere più grande nella specie occidentale rispetto a quella filippina, e quasi del tutto assente negli esemplari di dimensioni inferiori. Assai più complesso risulta essere capire invece l’appartenenza ad una sottospecie piuttosto che un’altra, conclusione raggiungibile talvolta mediante l’osservazione della tonalità del pelo, proposito non semplicissimo viste le abitudini prevalentemente notturne o crepuscolari del tarsio. Benché l’attività diurna, occasionalmente, sia in effetti attestata in molti membri di un così sorprendente gruppo familiare di creature.

Rara è la ripresa priva di potenti torce elettriche dei comportamenti ed il particolare stile di vita del tarsio durante l’estendersi delle ore notturne. Un processo che difficilmente potremmo giudicare come gradito al piccolo e riservato animale.

Ragionevolmente al sicuro dall’estinzione per quanto concerne le specie più diffuse, nonostante la progressiva riduzione dell’habitat e grazie ad un certo grado di adattabilità tipico dei primati, il tarsio presenta alcune varietà che considerate vulnerabili o a rischio medio-alto, principalmente distribuite nella parte orientale del suo ambito geografico di distribuzione. Nonostante le molti leggi promulgate in merito, ed accorgimenti come quelli atti a scoraggiare la cattura per il mercato degli animali domestici, all’interno del quale continua purtroppo ad avere una certa subdola distribuzione. Questione assai problematica, poiché i tarsi si adattano molto male allo stress domestico, subendo una riduzione drastica fino alla metà dei loro naturali 24 anni di vita, dovuta all’insorgere di malattie, infezioni e crisi di nervi, talvolta culminanti nell’autolesionismo.
Una triste verità dei fatti in qualche modo data quasi ad intendere, nelle deleterie conseguenze vissute al cinema dal giovane americano trovatosi ad accudire, malauguratamente, un potenziale devastatore di tutto ciò che aveva maggiormente caro al mondo. E di certo la creatività fantastica potrebbe funzionare altrettanto bene ai margini del processo di conservazione, in tante situazioni simili, se soltanto avesse di ritornare a mostrare i lati negativi assieme alla bellezza implicita dell’ennesima creatura scelta come mascotte. Avete mai pensato voialtri, ad esempio, di poter accogliere davvero nella vostra residenza la Cosa di John Carpenter o l’alieno xenomorfo immaginato da H.R. Giger?

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