Non vista, non sentita e nota solamente per la sua reputazione, una creatura oscura in più di un senso tende ad aggirarsi tutto attorno all’isola di Sumatra. Secondo le leggende dei nativi, essa usa le sue corna per arrampicarsi sulla cima delle montagne e con le stesse è solita restare appesa agli alberi di sera, per non cadere preda della fame dei predatori. Storie assai probabilmente esagerate ma non poi così tanto, se si prendono in considerazione le noti uniche e l’agilità di questo essere, filosoficamente nato sotto il segno zodiacale del Capricorno. E che da esso ha preso in prestito una parte dell’aspetto ed il nome, se è vero che il Capricornis sumatraensis rientra a pieno titolo nella tribù tassonomica dei rupicaprini o capre di montagna pur presentando una conformazione fisica talmente distintiva, da aver portato in molti a dubitare al ungo che potesse essere imparentato con un dei più tipici animali della fattoria. Basso e tarchiato con un collo ampio (maschi e femmine possiedono lo stesso aspetto e dimensioni) non più alto di un metro al garrese eppure dal peso di fino a 30-40 Kg, questo ruminante dotato di grandi orecchie quasi equine assieme a piccole corna rivolte all’indietro è solito muoversi liberamente soprattutto verso le ore del tramonto, quando perlustrando i confini esterni del suo territorio va in cerca di erba nutriente, frutta e i rami più bassi, da introdurre masticando all’interno del suo sofisticato sistema digerente. Ed è soltanto in tale circostanza che talvolta, alle genti native capita di scorgerne la sagoma in lontananza, oppure si verifica l’inquadratura da parte di una delle fototrappole disposte strategicamente, lasciando sospettare un’incipiente rarità dell’essere stravagante, che comunque ormai da tempo è stato indicizzato come vulnerabile da parte dell’associazione internazionale IUCN. Il che si applica in modo particolare per la sottospecie locale così come tutte le altre nel loro vastissimo areale che include il Vietnam, la Cambogia, la Malesia ed il Laos, senza parlare delle due varianti cinesi chiamate C. milneedwardsii. Le ragioni sono molteplici, a partire dalla caccia con scopi alimentari passando per la solita predilezione della medicina tradizionale dell’Asia Orientale nei confronti ingredienti tratti da specie a rischio, nonché la sempre problematica superstizione, che ha fatto di quest’animale schivo e solitario una visione ritenuta infausta. Fino all’estremo del caso giapponese, dove la specie strettamente imparentata del C. crispus è stata chiamata per diversi secoli la “capra demone” o “mucca a nove code”. Ma il problema fondamentale, che tutt’ora impedisce a molti paesi d’inserirlo in una categoria protetta, è che il serow di Sumatra in effetti resta largamente sconosciuto, risultando privo di quel carisma implicito che attraverso gli anni ha portato allo sforzo collettivo atto a preservare i grandi carnivori, gli erbivori e gli scaltri primati sulle cime degli alberi antistanti. Persino nell’ambiente scientifico, dove si contano sulla dita di una mano gli studi scientifici pregressi, mentre manca ad esempio qualsivoglia tipo di approfondimento sul sistema di accoppiamento, la cura dei piccoli e l’effettivo ruolo ecologico di queste capre nei loro territori d’appartenenza. Mentre quel poco che sappiamo può configurarsi, senza ombra di dubbio, nella categoria degli argomenti meritevoli di almeno un transitorio approfondimento…

L’intero genus del serow, originariamente suddiviso in sei specie poi ridotte a quattro, causa l’accorpamento di creature eccessivamente simili, vede quindi l’esistenza corrente di tre varietà oltre al C. sumatraensis, tre delle quali prive di alcun apprezzabile pericolo d’estinzione: sto parlando del già citato C. crispus, oltre al più piccolo C. swinhoei dell’isola di Taiwan ed il C. rubidus, dalla colorazione rossastra, originario dei territori di Bangladesh e Burma. La struttura sociale piuttosto atipica, per un ruminante di tale natura, vede i serow preferire una vita per lo più solitaria, riunendosi soltanto per brevi periodi ed in un numero massimo di 6-7 esemplari. In condizioni normali e trascorsa la stagione degli amori, quindi, essi sono soliti tornare ad isolarsi con l’occasionale eccezione del proprio partner riproduttivo, con il quale intrattengono talvolta una relazione capace di durare anche più anni di seguito. Tale da vedere i rispettivi territori sovrapporsi almeno in parte, pur mantenendo la propensione a trascorre le proprie giornate in solitudine. Persino il singolo cucciolo normalmente partorito dalle madri dopo un periodo di gestazione di 7 mesi, al raggiungimento dell’indipendenza dopo 2-4 anni viene immediatamente costretto a recarsi altrove, ripristinando quella pace ed il silenzio situazionale che tanto sembra essere apprezzato da queste caprine frequentatrici delle foreste d’altura. Una volta raggiunta l’età adulta e sviluppate le ghiandole odorifere sul muso ed in mezzo agli zoccoli, quindi, anche i nuovi arrivati inizieranno a definire i limiti del proprio spazio vitale, defecando in aggiunta nei punti di confine, perché a nessun membro della propria stessa specie possa venire in mente d’invaderlo e competere per le relativamente limitate fonti di cibo. Un approccio, quest’ultimo, che risulta chiaramente meno efficace nel caso di leopardi e tigri, i principali predatori di quest’animale in condizioni ambientali non modificate dall’uomo. Mentre in determinate circostanze geografiche, il serow rappresenta il caso atipico di un erbivoro a maggior rischio d’estinzione rispetto ai vertici carnivori del proprio stesso ambiente, in funzione dei fattori contingenti antropogenici sopracitati. Ulteriore prova, se mai se ne sentisse ancora il bisogno, che l’obiettivo di salvare la natura non può partire dalla vetta, ma deve trovare necessariamente la sua genesi nella tutela di tutte quelle specie considerate umili, o in qualche maniera meno distintive. Benché ogni animale possieda, come scintilla imprescindibile, il diritto continuativo all’esistenza.
Diverse iniziative sono state compiute quindi attraverso gli anni per preservare la specie maggiormente a rischio del serow di Sumatra (talvolta anche chiamato s. continentale) a partire dal remoto 1932, quando fu posta in essere la legge che ne vieta la caccia in tutta l’Indonesia. Molto più recente la misura adottata nel territorio Cinese e Vietnamita, con divieti di caccia emanati soltanto verso l’inizio degli anni 2000, ed ancor dopo in Malesia, vista l’elezione a specie protetta nel 2010. Nessuna norma specifica, nel frattempo, è stata mai creata nei paesi di Cambogia, Myanmar e Tailandia, dove l’animale viene ancora liberamente ucciso dai nativi con la più vasta tipologia di giustificazioni, non ultima quella di creare un particolare tipo di trofeo con il suo cranio cornuto, considerato possedere un qualche tipo di potere apotropaico da taluni gruppi etnici locali. Il che ha collaborato con lo sfruttamento sistematico dell’habitat, incidentalmente, ad una progressiva riduzione della popolazione stimata attorno al 30% nelle ultime tre generazioni, una situazione molto grave che necessità d’interventi particolarmente immediati ed omnicomprensivi. Pena l’irrimediabile e progressiva sparizione, di quella che tutt’ora viene considerata la più simile all’ancestrale antenato della capra selvatica, eco preistorico di un tempo in cui simili esseri danzavano indisturbati sulla cima delle montagne del mondo.

Cercate quindi oggi il serow su Google, e la maggior parte delle informazioni che troverete saranno sul modello di motocicletta 225 della Yamaha, così chiamata per associazione con le notevoli doti fisiche di questo erbivoro dai muscoli svelti ed efficienti. Mentre ben pochi, comparativamente, sono gli estimatori dell’originale ispirazione a tale meraviglia tecnologica, come ad esempio l’istituzione del Sumatra Camera Trap Project, capeggiata dal suo portavoce poco più che ventinovenne Pungky Nanda Pratama. Che mettendo a frutto la sparuta dozzina di fototrappole ricevute in dono dai suoi fan su Internet, è ad oggi il principale produttore di un’alta percentuale dei pochi video di cui possiamo disporre per continuare a farci un’idea dell’ecologia, l’aspetto e lo stato di conservazione del serow di Sumatra. La cui sopravvivenza, come specie estremamente indicativa del benessere di quel sistema naturale, è ormai diventata imprescindibile per il benessere futuro dell’intero ambiente di quest’isola, rimasta senza pari nel mondo. E chi può dire cosa esattamente, tra un agile balzo e il quieto brucare di un tardo pomeriggio di speranza, potrà riuscire a belare nei nostri confronti il domani…