Nell’estate tra il 1974 e il 1975 colpita dalla perturbazione metereologica della Niña, durante un periodo di piogge stranamente intense presso il territorio dell’Australia meridionale, il grande bacino endoreico del lago Eyre, chiamato dagli aborigeni Kati Thanda, si ritrovò nuovamente collegato alla serie di fiumi situati nella sua parte nord-occidentale, incluso il turbinante corso del Warburton. In breve tempo, i suoi confini normalmente aridi vennero nuovamente ricoperti dalle acque, mentre l’altezza di queste ultime cresceva, e cresceva ancora fino ad oltre 10.000 Km quadrati. Questo repentino mutamento delle regole ambientali portò quindi, assieme al vento dei monsoni capaci di attraversare buona parte del Pacifico, un’ingombrante, chiassosa ed affamata presenza: quella di molte migliaia di uccelli. Chi fosse stato indotto ad aspettarsi, in quel contesto, creature piumate affini a storni migratori, anatre o altri visitatori d’occasione dei nostri bacini idrici stagionalmente rinnovati, si sarebbe scontrato con l’effettiva imponenza di questi agili volatori dalle proporzioni di 152-188 cm, di cui circa un terzo occupati dal più eccezionale rostro labiale attualmente osservabile nell’intero regno naturale frutto di millenni d’evoluzione. Una creatura, in altri termini, di chiara e comprovata eleganza con il suo piumaggio candido e le ali nere come la notte, gli occhi grandi, tondi e cerchiati di giallo, al punto che il suo soprannome più diffuso resta quello di pellicano con gli occhiali. Sebbene in ambito scientifico, sia da sempre definito Pelecanus conspicillatus, per apprezzabile scelta del suo primo classificatore e naturalista Coenraad Jacob Temminck, che nel 1824 volle evidenziare il suo aspetto “attento” e la presunta inclinazione ad osservare. Laddove nell’universo mitologico del popolo aborigeno dei Wangkamura, il pennuto visitatore viene direttamente associato al Dio Goolay-Yali, che nei tempi immemori insegnò ai bambini della tribù a procacciarsi il cibo mediante l’invenzione della rete da pesca costruita mediante la corteccia dell’albero noonga (gen. Brachychiton), facendo inoltre dono del fuoco e degli opali all’intera umanità. E non è poi tanto improbabile immaginare un qualche tipo d’associazione, e conseguente ispirazione, tra tale primario strumento della civiltà umana e le tecniche di foraggiamento utilizzate dalle attuali versioni tangibili del nostro amico, la cui vistosa sacca golare, comune agli altri appartenenti della famiglia Pelecanidae serve non tanto a immagazzinare il cibo bensì essere immersa, con estremo pregiudizio e senso d’aspettativa, in luoghi sufficientemente umidi e pescosi, ben sapendo di riuscire a trarne l’auspicata ricompensa in termini di cibo. Una procedura che notoriamente presuppone, per gli esponenti della specie, un’estrema propensione allo spostamento periodico, lungo le coste e presso le regioni dell’entroterra dell’outback, ogni qualvolta la popolazione complessiva di un particolare recesso aumenta eccessivamente, portando all’insufficienza di risorse sfruttabili per il sostentamento dei nuovi nati. Portando perciò all’inaspettata e imprevedibile partenza di veri e propri eserciti dalla limpida uniforme, pronti a sollevarsi e planare anche per periodi di 24 ore di seguito, fino all’arrivo preso un nuovo luogo in grado di ospitare la loro grande e costante fame. Con comprensibile preoccupazione dei pescatori umani locali, che storicamente erano soliti fare il possibile per scacciare o dissuadere i pellicani, almeno fino all’entrata in vigore verso la metà degli anni ’90 dell’attuale regolamento di salvaguardia e protezione naturale. Per non parlare della tardiva ma importante realizzazione, di come le precise preferenze gastronomiche del pellicano lo portino in realtà a nutrirsi primariamente delle specie di pesci introdotte accidentalmente come la carpa europea (Cyprinus carpio) i pesci rossi ferali (Carassius auratus) e il pesce persico o bass (Perca fluviatilis) facendo in realtà un favore alle più preziose specie locali, che tendenzialmente vedono la propria popolazione stabilizzarsi, o persino aumentare, in seguito alla caotica venuta dei pellicani. Il cui intento certamente non risulta essere malevolo, né benevolo, bensì la mera conseguenza di quella necessità di perpetrar se stessi e i propri discendenti, attraverso le complesse tribolazioni di un clima in continuo cambiamento…
Questo stesso processo della riproduzione, senza particolari connotazioni stagionali ma che in genere si espleta successivamente ad uno dei notevoli raduni presso una località ancora ricca di risorse alimentari, comporta d’altra parte un importante sacrificio per ciascun coppia temporaneamente monogama di padre e madre. I quali una volta portata a termine la scelta reciproca anche grazie alla colorazione temporaneamente rosata e maggiormente accesa del maschio, si occuperanno di costruire e delimitare il nido, in genere poco più che una buca nel terreno circondata da rami e sterpaglie, per poi completare l’accoppiamento della durata massima di appena 22 secondi e permettere a lei di produrre la tipica coppia di uova, destinate ad una covatura di circa 32-35 giorni. Al termine della quale i risultanti pulcini, completamente glabri e dipendenti dai genitori, dovranno essere nutriti a turno per un periodo di ulteriori tre mesi. Ed è proprio questo il problema, perché nella maggior parte dei casi, senza nessun meccanismo biologico per distinguere i due pargoli l’uno dall’altro, il più forte dei due finirà nella maggior parte dei casi per avere l’accesso privo di dispute alla quantità maggiore di risorse, fino al deperimento e la morte per fame del suo fratello minore. Qualche volta accelerata anche mediante l’attacco diretto, con il beneplacito o persino l’assistenza della madre. Il che potrà sembrare orribilmente crudele, ma è in realtà un importante meccanismo dal punto di vista ecologico, che permette al pellicano di disporre di una sorta di “assicurazione” nel caso in cui uno dei due pulcini nasca malato, senza dover poi per questo esaurire se stessi nel tentativo potenzialmente fallimentare di trovare abbastanza cibo per entrambi. Il che non rende tuttavia impossibile, in annate molto fortunate come quella del 1975, durante cui l’abbondanza di pesce permise a molte coppie di fratelli di riuscire a sopravvivere entrambi, con conseguente aumento della popolazione complessiva di questa notevole ed importante presenza. Superata tale fase particolarmente in bilico della propria esistenza, d’altra parte, i pellicani australiani vanno incontro ad un periodo di prosperità ragionevolmente assicurata, data l’assenza di predatori naturali di alcun tipo fatta eccezione come già accennato all’uomo, purché gli riesca di trovare luoghi di rifornimento sufficientemente nutrienti nel corso delle loro lunghe e reiterate peregrinazioni. Verso un’acclarata propensione al vagabondaggio capace di sfiorare proporzioni leggendarie, che ha storicamente portato non soltanto questi uccelli a visitare e sostare più volte nella vicina isola della Nuova Zelanda, bensì anche le Fiji, Nuova Caledonia, Nauru e l’arcipelago delle Vanuatu. Mentre in casi ancor più rari, accompagnati da venti favorevoli, esemplari sono stati trovati addirittura in Indonesia presso l’isola di Java, e in un particolare frangente capace di far titolo presso i media locali, presso la provincia di Sarangani nell’isola filippina di Davao: stiamo parlando di circa 3.700 chilometri, molti dei quali da percorrere attraverso lunghe distese d’oceano privo di alcun tipo di punto di sosta per riposarsi. Davvero niente male, come trasferta alla ricerca di un valido ristorante…
Al raggiungimento dell’età dell’indipendenza, quindi, i pulcini di ciascun assembramento di pellicani sono soliti lasciare il nido natìo per unirsi in gruppi di fino a 100 giovani esemplari, chiamati in gergo delle creche. Dove resteranno fino alla maturità sessuale, che normalmente sopraggiunge verso i tre-quattro anni d’età.
Ed è una vista già piuttosto affascinante, quella offerta dalle strategie di nutrimento messe in atto da un così abile pescatore, capace di ghermire prede ittiche più grandi mediante l’impiego del rostro estremamente affilato posto nella parte frontale del suo becco, capace di dimostrarsi altrettanto utile per la cattura di rettili e mammiferi, inclusi in qualche tragica occasione alcuni piccoli cani domestici, nonché pulcini della sua stessa specie. Mentre ciò che colpisce in maniera ancor più immediata è l’intelligenza strategica di quest’animale, perfettamente capace di adattarsi alla convivenza con le persone al punto di recarsi periodicamente presso coloro che impara a riconoscere come i più probabili fornitori di vivande, arrivando a mettersi in fila presso ristoranti e negozi, aspettando il proprio turno assieme al resto degli avventori umani. Mentre altrettanto probabile risulta essere l’esibizione spontanea e prevedibile di interi gruppi di pellicani presso località turistiche, con la conseguente aspettativa di ricevere in cambio il necessario pagamento gastronomico d’occasione. Il che contribuisce, d’altra parte, ad uno stato di conservazione della specie tutt’altro che problematico, diversamente da quanto si potrebbe pensare viste le dimensioni dell’uccello e classificazione preventiva (status: Least Concern) da parte dell’indice internazionale dello IUCN. Anche e soprattutto per l’areale tanto straordinariamente ampio, capace di estendersi per un territorio stimato attorno ai 20.000 Km quadrati. Ma soprattutto flessibile e adattabile, grazie all’innata capacità di effettuare valutazioni di questi scaltri uccelli, dotati di una sorta di prescienza in grado di guidarli, di volta in volta, presso i luoghi dove potranno acquisire le migliori vie d’accesso alla prosperità. Sembrerebbe dunque dopo tutto, che il naturalista Temminck giunto dalla remota Olanda non avesse sbagliato affatto, nella sua scelta di chiamare questo saggio pellicano, conspicillatus!