Il conte Caproni e l’ambizioso sogno transatlantico del noviplano

Estremamente fluido ed adattabile risulta essere, a seconda delle circostanze, il concetto fondamentale di “casa”. Che può essere, a seconda dei casi, il luogo, le persone, una determinata e irripetibile atmosfera. Per qualcuno, addirittura, il luogo in cui si pratica l’attività preferita, ovvero una perfetta unione di tecnologia, ingegno e desiderio. Di almeno un’aspetto, tuttavia, possiamo essere sicuri: le case non volano… Normalmente? 10 metri di altezza, come un palazzo di tre piani; 23 di lunghezza, e 30 di apertura alare. Moltiplicata per tre ordini di superfici, ripetuti per ben tre volte; ed otto uomini d’equipaggio, di cui tre incaricati di gestire le manovre al posto di comando (rigorosamente all’aperto, s’intende) mentre i restanti si occupavano di regolare la potenza degli otto motori Liberty L-12 da 400 cavalli ciascuno. Abbastanza per spingere, nell’idea del suo nobile inventore, le oltre 14 tonnellate del Ca.60 Transaereo fino all’altro lato dell’Atlantico con il suo carico di 100 passeggeri, per completare un sogno particolarmente auspicato dalle coéve moltitudini di viaggiatori: compiere nel giro di ore, quello stesso, fondamentale tragitto marittimo per cui i battelli impiegavano settimane.
Era ancora il 1919, quando Giovanni Battista Caproni, ingegnere, imprenditore e possidente depositava i primi brevetti relativi a una straordinaria tipologia di velivolo, quale il mondo non aveva mai neppure immaginato prima di quel momento.
Lungi dall’essere un prodotto della mera e semplice immaginazione, ad ogni modo, il cosiddetto Capronissimo era l’evoluzione idrovolante di quell’impressionante serie di bombardieri, a due e tre ali, fatti costruire dal rinomato progettista per assolvere alle esigenze belliche del Regno d’Italia. Destinati ad essere adottati, nei feroci anni della grande guerra, anche da Francia, Regno Unito e Stati Uniti d’America per i loro primi, timidi, bombardamenti a tappeto, mentre dalle sue stesse officine scaturiva, in via preliminare, la proposta del primo aereo da caccia della storia, il Caproni Ca.20. Con l’auspicabile dissolversi del conflitto, inevitabilmente, il futuro conte di Taliedo non poté che fare quello stesso passo compiuto da tanti dei suoi colleghi professionali, rivolgendo le capacità e l’intento progettuale al campo confinante dell’aviazione civile. Giovanni Battista o “Gianni” com’era soprannominato dalla stampa, aveva una sua idea molto particolare in merito a cosa fosse possibile spedire in alto tra le nubi e fino alle destinazioni più remote, incluse quelle prive d’infrastrutture stradali come la Cina, nonché i contatti necessari a vederlo realizzato. Personaggi come il generale delle forze aeree Omodeo De Siebert, l’ex ministro della guerra Ivanoe Bonomi e il celebre teorico della guerra nei cieli Giulio Douhet, che si era dimostrato fin da subito contrario all’idea. Continuando, nonostante tutto, a sostenere l’esperto personaggio ed amico fino alla concessione da parte dello stato di uno spazio presso le rive del lago Maggiore, a Sesto Calende, dove le officine di Caproni s’industriarono a produrre l’imponente hangar necessario al complicato obiettivo finale. Il calendario era ormai stato voltato fino all’anno 1920 quindi, quando questa iniziativa un tempo di un singolo, trascinante visionario aveva cominciato a prendere forma, attraverso la perfetta congiuntura di risorse umane, finanziarie e competenza tecnica all’apice della coéva generazione. Ben presto, ciò nondimeno, egli stesso cominciò a nutrire alcuni dubbi evidenti sull’effettiva praticabilità di una così avventurosa idea…

In questo cinegiornale d’epoca è possibile apprezzare, attraverso i pannelli scritti come commento, tutta la follia e stravaganza espresse nelle prime decadi del Novecento da un progetto come un volo transatlantico per 100 e più persone. Strano come l’impossibile, col tempo, fosse destinato a diventare verità…

“Ce ne sono sempre di nuove. Non ha mai fine! Questo è di sicuro il più grande aereo, ma anche quello che ci ha dato un maggior numero di problemi.” Scriveva nei suoi diari colui che tanti problemi di natura tecnica aveva fin qui risolto, quando il 6 febbraio del 1920 ricevette la notizia che alcune centine (elementi strutturali perpendicolari delle ali) si erano spezzate per motivi non del tutto chiari, necessitando un’immediata sostituzione prima di procedere con il varo. Tutto questo dopo che la rampa necessaria a tal fine era stata laboriosamente allungata, causa il fondamentale errore compiuto nella sua misurazione originaria. L’atteso momento, in conseguenza di simili contrattempi, giunse solamente il giorno 9 di quello stesso mese, quando il gigante poté raggiungere finalmente le acque del lago Maggiore, con ai comandi Federico Semprini, pilota senza paura e celebre per la sua abilità più volte dimostrata nel compiere il giro della morte con alcuni dei più pesanti bombardieri della Caproni. In questo primo exploit, era stato deciso che il colossale bolide non si staccasse eccessivamente da terra, compiendo per lo più manovre tra le acque increspate e valutando la stabilità dei controlli. Che si rivelò più che valida, grazie alle specifiche soluzioni aerodinamiche integrate dal conte, tra cui una serie di superfici di controllo facenti a meno del concetto tradizionale di una coda, pur mantenendo un apprezzabile profilo aerodinamico. E speciali galleggianti di stabilizzazione, in aggiunta alla già fluttuante fusoliera centrale, fatti disegnare da nientemeno che Alessandro Guidoni, uno dei più famosi progettisti d’idrovolanti della sua Era. Il Transaereo raggiunse quindi gli 80 Km/h, compiendo anche un lungo balzo fino all’altro lato del lago Maggiore. Unico problema riscontrato, assolutamente non degno di nota, era una lieve destabilizzazione verso la poppa, ragion per cui Caproni, fatti i debiti calcoli, determinò che fosse opportuno aggiungere circa 250 Kg di zavorra in corrispondenza di tale parte dell’aereo.
I preparativi e le modifiche per il secondo volo, a questo punto, avrebbero richiesto quasi un mese, rimandandolo fino al 4 marzo fino a quel fatidico giorno, in cui Caproni, causa un guasto d’automobile si ritrovò bloccato nel vicino paese di Vizzola. Constatato il suo ritardo, tuttavia, Semprini e gli altri decisero lo stesso di procedere secondo il programma, che avrebbe portato questa volta il noviplano fino alla velocità di 100 Km/h. Ed il momento, particolarmente imprevisto e sfortunato, della verità.
Nessuno sa perché, in effetti, il pilota collaudatore abbia deciso improvvisamente di tirare a se con forza il volantino di controllo, inducendo l’enorme belva a staccarsi nettamente e prematuramente dalle avvolgenti acque lacustri che lo avevano tenuto fin lì al sicuro. Alcuni ipotizzano la scelta sia stata motivata dal bisogno di stabilizzare l’aereo, successivamente all’onda inaspettatamente ricevuta sul fianco per il passaggio di un piroscafo distante. Secondo altri, invece, l’effettiva causa fu l’insufficiente fissaggio della zavorra di bordo, che scivolando verso il retro del Transaereo ne fece sollevare il muso, al punto da mandarlo immediatamente in stallo, con conseguenze fin troppo terribili da immaginare. Fatto sta che nonostante l’abilità dell’uomo ai comandi, compiuto il suo folle balzo, l’enorme velivolo ricadde in modo quasi verticale tra i flutti, disintegrando completamente la sua parte anteriore. Il pilota, per sua fortuna, riuscì a salvarsi, ma ben poco dell’aereo che potesse dirsi ancora integro venne trainato con successo fino a riva, causuando tra l’altro ulteriori danni alla fusoliera. Caproni, che giunse sulla scena solo al fatto compiuto, avrebbe in seguito affermato “Così finisce l’aereo che avrebbe dovuto cambiare la storia dell’aviazione. Tutto perso in un momento! Ma non ci si può lasciar prendere dallo sconcerto…” E lui molto appropriatamente, non l’avrebbe fatto di sicuro, continuando a chiedere ed ottenere la fiducia degli uomini al potere. Entro luglio del 1920 lo stesso Ivanoe Bonomi, diventato primo ministro, gli aveva infatti già promesso i fondi necessari a costruire un modello in scala 1/3 del futuro Transaereo. Ciononostante, diverse priorità politiche ne avrebbero spostato in secondo piano la priorità negli anni successivi, mentre le attenzioni dello stesso Caproni si spostavano, necessariamente, alla produzione dei velivoli che avrebbero varcato i cieli di un ancor più feroce conflitto.

Eppur si muove (tra le nubi) potrebbero affermare questi aeromodellisti giapponesi, con la loro fedele riproduzione del Caproni Ca.60. Naturalmente, è pur vero, su questa scala abbiamo visto decollare anche oggetti ben meno aerodinamici, incluso un tagliaerba.

E tutto ciò col senno di poi, non può che apparire come una benedizione sotto mentite spoglie. Molti erano i problemi inerenti, effettivamente, nel progetto magnifico del conte; in primo luogo, l’eccezionale quantità di vortici d’aria generati da una tale quantità d’ali, tali da generare vibrazioni spaventose per tutti coloro che fossero tanto sfortunati da essere caricati nella sua cabina. Per non parlare della resistenza generata dagli oltre 250 di cavi strutturali, con un conseguente aumento esponenziale dei consumi. Lo stesso Caproni, in effetti, non aveva affatto previsto soluzioni utili per l’impiego del suo Transaereo attraverso le lunghe rotte dell’Atlantico, dove dei vascelli avrebbero dovuto trovare posto preventivamente, con la finalità di provvedere a rifornirlo. Affascinante, e al tempo stesso spaventoso, appare dunque un mondo in cui simili bolidi avrebbero attraversato gli azzurri cieli, con le loro panche per i passeggeri disposte a formare dei piccoli scompartimenti nello stile ferroviario. Perché forse, dopo tutto, qualche volta è meglio non guardare verso la direzione in cui ci si sta muovendo.
Nonostante tutto celebrato come uno dei più eccezionali aerei che (non) abbiano mai volato, il noviplano Caproni compare anche nel film animato di Miyazaki del 2013 Si alza il vento (風立ちぬ Kaze tachinu) durante il primo dei tre sogni in cui il giovane progettista dell’aereo da combattimento giapponese Mitsubishi A6M “Zero”, Jirō Horikoshi, incontra il suo ispiratore e immaginifico nume tutelare della distante penisola italiana. Ed è difficile non sorridere, quando si osservano i due percorrere con impossibile stabilità le ali delle loro magnifiche creature, esploratori di un mondo lieve che soltanto oggi, dopo il trascorrere di tante decadi, sta rivelando gli ultimi dei suoi molti segreti.

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