Lo strano disco volante con cui la Russia voleva cambiare la storia dell’aviazione

In uno spiazzo innevato presso il piccolo villaggio di Ivanovskoye, non troppo lontano da Mosca, giace semi-abbandonato l’oggetto che avrebbe potuto costituire la chiara testimonianza veicolare di un tentativo d’invasione aliena. A differenza di Roswell nel Nuovo Messico tuttavia, dove il disco volante sarebbe custodito all’interno del (presunto?) hangar sotterraneo gestito da dipartimenti segreti dell’esercito statunitense, il bizzarro velivolo è stato trasformato in questi lidi in una sorta di attrazione locale, mentre qualcuno sembrerebbe averlo abbellito con l’aquila bicefala della Federazione Russia, oltre alla dicitura in lingua inglese “EKIP – aviation concern” (azienda dell’aviazione) laddove l’acronimo, diretta traslitterazione del russo ЭКИП, vorrebbe in effetti sottintendere l’espressione ottimista “Ecologia & Progresso”. Due princìpi alquanto insoliti dal punto di vista di un ipotetico visitatore proveniente dallo spazio, che per sua natura potrebbe anche non possedere simili concetti e comunque, di certo non li metterebbe in alfabeto cirillico al centro di un suo avventuroso progetto d’esplorazione terrestre. Vagamente tondeggiante, privo di coda e con un paio di ali chiaramente troppo piccole per le sue dimensioni, l’oggetto inizia lentamente a ricoprirsi con la ruggine, sebbene alcuni tentativi sembrino essere stati condotti nel ridipingere e preservare un così strano pezzo di storia. Il che inizia a rivelare, un poco alla volta, l’effettiva natura dell’oggetto che potremmo presumere volante, per lo meno all’epoca in cui ebbe modo di vivere giorni migliori; non il frutto di un extraterrestre ingegno, bensì la diretta risultanza della fantasia e visione di un singolo individuo, che tanto seppe coinvolgere e guidare l’opera di tecnici e scienziati a ridosso, e successivamente alla caduta dell’Unione Sovietica. Fino alla creazione di un qualcosa che avrebbe potuto, e forse dovuto, cambiare radicalmente il corso della storia tecnologica dell’uomo.
È il 17 luglio del 1975 e milioni di persone in tutto il mondo si trovano ipnotizzate davanti ai loro televisori, per assistere a uno spettacolo dalla portata generazionale. Non è lo sbarco sulla Luna (avvenuto 6 anni prima) ma il coronamento del cosiddetto progetto Apollo-Sojuz, in cui le rispettive capsule lanciate dai due lati della cortina di ferro vengono accuratamente fatte incontrare nell’orbita terrestre, permettendo ai due rispettivi equipaggi d’incontrarsi e come nulla fosse, stringersi la mano. Ciò costituisce il simbolo di un tardivo tentativo di avvicinarsi tra i rispettivi paesi, in una nuova ed inimmaginabile forma di diplomazia, nonché la fine della lunga e sofferta corsa allo spazio, per cui le due maggiori superpotenze globali tanto avevano investito fino a quel fatidico momento. Ma anche l’occasione di confronto e crescita da parte di una grande collettività scientifica, ospitante alcune delle menti più abili ed esperte nel complesso ambito di far volare le persone, fin oltre i confini della placida atmosfera terrestre. Uno di essi è Lev Nikolayevich Schukin, ingegnere esperto in motori che fu successivamente posto a capo, nel 1979, del bureau governativo di Korolev chiamato per l’appunto EKIP, con l’obiettivo di offrire alla Russia un nuovo metodo per far spostare i propri passeggeri da un lato all’altro del suo vasto territorio e fino all’altro capo del globo. L’idea di partenza è la stessa esplorata dall’italiano naturalizzato russo Robert Ludvigovich Bartini circa 10 anni prima, per un velivolo di trasporto “definitivo”, capace di trasportare carichi ingenti a grande distanza e che fosse capace di decollare nella più totale assenza di una pista, sfruttando semplicemente l’acqua, uno spiazzo pianeggiante o una distesa ghiacciata. Lasciando come unica soluzione tecnologica possibile, nonché assolutamente percorribile, quella dell’ekranoplano o GEV (Ground Effect Vehicle). Materiale dimostrazione dell’intuizione tipicamente associata all’aviazione russa, in base alla quale l’effetto suolo di una massa d’aria generatosi naturalmente sotto il velivolo può consentirgli di mantenersi, con un dispendio d’energie del tutto trascurabile, a una rispettosa distanza di sicurezza dalle asperità del terreno. Ma non di allontanarsene eccessivamente, a meno fino all’integrazione così fortemente voluta da questo geniale innovatore del volo…

La maggior parte delle riprese reali del “disco volante” russo disponibili online sembrerebbero caratterizzate da una scarsa qualità video ed audio non molto migliore. Il che, tutto sommato, si conforma perfettamente al loro prototipico contesto d’appartenenza tra i vagheggianti confini dello scibile umano.

L’idea alla base del primo prototipo dell’EKIP dunque, oltre alla sua conformazione di ala volante con grande carlinga simile a una campana, dotata in questa sua prima versione anche di una coda a forma di T, era l’integrazione di due coppie di motori, dei Saturn/Lyulka AL-34 incaricati rispettivamente di generare e mantenere costante il cuscino d’aria, mentre le controparti all’interno dello scafo sarebbero state accese soltanto al momento del decollo propriamente detto, spingendo il disco volante fino alla velocità di 700 Km/h e un’altitudine di 12.800 metri. Altrettanto centrale, nel progetto di Lev Schukin, risultava essere un innovativo sistema di gestione ed instradamento dei flussi d’aria, all’interno di canali modulabili a comando e tra le pinne mobili situate nella parte inferiore del suo velivolo rivoluzionario. Ciò avrebbe dovuto permettere, idealmente, non soltanto una maggiore manovrabilità del mezzo ma anche e soprattutto l’instradamento proficuo dei vortici generati dalla sua strana forma, diminuendo sensibilmente il suo consumo di carburante, che tra l’altro poteva essere indifferentemente costituito da benzina per jet a base di kerosene, gas naturale liquido, idrogeno o persino Aquazine, la benzina di concezione russa basata su scarti chimici derivanti dalla processazione degli idrocarburi, mescolati ad una quantità del 58% di semplice acqua da bere.
Era un momento imprecisato del 1990 conseguentemente quando, al termine di una lunga e articolata serie di test, il prototipo L1 dell’EKIP venne fatto decollare in condizioni climatiche non propriamente ideali, finendo per essere deviato da venti di traverso che l’avrebbero portato a schiantarsi contro un alto cumulo di neve. Fortunatamente, trattandosi di una versione preliminare dal peso di “sole” 9 tonnellate e pilotata tramite un telecomando, non ci furono conseguenze gravi, ma il governo espresse dubbi sull’effettiva fattibilità di un così insolito progetto, portando nel vigente clima di risparmio all’immediata dismissione dello stabilimento di Korolev. Il che non avrebbe tuttavia fatto vacillare in alcun modo la determinazione di Lev Schukin, che aveva nel frattempo riunito i suoi collaboratori più competenti sotto il logo di una vera e propria azienda, e ricevendo un invito ufficiale dal capo degli stabilimenti di Saratov, dove venivano costruiti fin dalla seconda guerra mondiale gli aerei della serie Yakovlev, riuscì a disporre delle risorse necessarie a riprendere il suo progetto. Tra questi circa 90 hangar, mentre l’Unione Sovietica si avvicinava sempre più al periodo della sua dissoluzione tra il 1988 e il 1991, l’ingegnoso inventore del disco volante riuscì quindi a preparare un secondo prototipo, l’EKIP L-2, questa volta dotato oltre al cuscino d’aria anche di un carrello d’atterraggio di tipo convenzionale. Le prime prove tecniche, effettuate sempre via radiocomando, si dimostrarono quindi tanto incoraggianti da agevolare il coinvolgimento della figura commerciale di Anatoly Savitsky, e tramite la sua collaborazione, un significativo finanziamento da uno dei primi oligarchi della nascente industria petrolifera russa, Alexander Mikhailovich Mass. L’ekranoplano partecipò anche a diversi prestigiosi eventi internazionali, tra cui l’Air Show di Parigi del 1993. Nonostante la pubblica dissociazione dall’ekranoplano volante da parte dello TsAGI, l’Istituto Centrale di Aerodinamica moscovita, i suoi successi catturarono l’attenzione del mondo politico in cerca di una qualche rivalsa nelle relazioni pubbliche, diventando un simbolo importante della competenza nazionale per il segretario del Concilio di Sicurezza Russo Oleg Lobov, nonché lo stesso Boris Yeltsin, premier della nazione. In questo periodo, fino al 1995 vennero ipotizzate almeno in via teorica ulteriori tre versioni del velivolo, ciascuna maggiore per dimensioni e potenza, fino alle 600 tonnellate per 82 metri di lunghezza dell’EKIP L4-2 che sarebbe stato idealmente in grado di trasportare fino a 2.000 passeggeri o (naturalmente) l’equivalente in equipaggiamento militare, veicoli o altri simili implementi di guerra. La crescente crisi del sistema sovietico tuttavia, con la conseguente crisi economica, avrebbe finito per prevenire l’effettiva costruzione di un simile gigante, portando al progressivo dissolversi dell’iniziativa nonostante una l’interesse dimostrato, almeno in linea di principio da un totale notevole di circa 255 investitori. E qui avrebbe anche potuto terminare la nostra storia…

Semplice tecnologia al servizio dell’uomo, instradata mediante una visione alternativa delle cose. Per un velivolo forse maggiormente praticabile nelle sue accezioni dalle dimensioni più contenute. Eppure, non sarebbe la prima volta che finiamo per rimanere sorpresi.

Un altro passo falso nella storia della tecnologia volante? Un ulteriore tentativo di cambiare le cose, la dove affidabilità comprovata e rispetto dei modelli pregressi sembrano dominare ormai da tempo ogni possibile ed avventurosa sperimentazione? Non proprio, quando si considera come, almeno ufficialmente, il progetto EKIP non sia mai stato cancellato. Generando una serie di leggende quasi folkloristiche sull’effettivo destino dei prototipi prodotti durante quegli anni d’oro, nonché i passi compiuti dallo stesso Schukin fino al giorno della sua morte in tarda età nel 2001, poco prima della quale, si dice, avrebbe visitato segretamente gli Stati Uniti al fine di trovare un nuovo terreno fertile per il suo sogno di vecchia data. Il che troverebbe riconferma, del resto, nella serie di documentari in lingua inglese prodotti dall’azienda in quegli anni, chiaramente concepiti per attrarre l’attenzione di un pubblico occidentale. Lungi dallo scomparire completamente, l’ideale disco volante avrebbe continuato a fare atto di presenza negli eventi del settore almeno fino all’intera durata degli anni 2010, grazie all’opera degli eredi professionali del suo inventore compreso un consorzio formato da diverse università russe, sebbene ogni tentativo d’approfondimento da parte dei giornalisti fosse destinato ad ottenere sempre la stessa impressione: quella di un’ipotesi tecnologica remota, ormai andata incontro al suo irrimediabile disfacimento procedurale all’interno di hangar parzialmente abbandonati e popolati da figure professionali di dubbia competenza. Così senza una base solida, che sia tecnologica e politica, ma anche economica, tendono a fallire i tentativi di cambiare radicalmente le aspettative delle persone! E i dischi volanti, assieme agli altri oggetti mai identificati che percorrono l’oscuro sogno della ragione, finiscono nel regno inconoscibile della mitologia. Ma non solo l’Araba Fenice, quando i giorni si colorano di strani bagliori, può annunciare con un nuovo grido il suo presunto anelito, a vantaggio degli strati superiori dell’atmosfera…

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